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Incontri letterari

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La presentazione del libro di Chiara Fera su Pietro Citati, scrittore, critico letterario e giornalista del Corriere della Sera e La Repubblica, importante tributo a cinquanta anni di giornalismo letterario rivolto a tutti i lettori comuni dalle pagine culturali dei quotidiani, ha consentito un viaggio tra i protagonisti della letteratura contemporanea e non, letti, corretti, interpretati, raccontati dal grande critico. Il titolo, particolare e accattivante, “Il libro invisibile di Pietro Citati” porta il lettore a chiedersi cosa ci possa essere di ancora non detto che non sia già emerso dai molti libri, circa sessanta, scritti da Citati e definiti da Pietro Boitani visibili, anzi visibilissimi.

Citati scrittore è l’emblema della metamorfosi traspositiva, che lo porta a trasformarsi di volta in volta nello scrittore di cui scrive, di cui legge tutto quello che dallo scrittore e sullo scrittore è stato scritto, per  entrare pienamente nel suo mondo e abitare tra tutti i  suoi personaggi.  La grande capacità di Citati è quella di armonizzare la letteratura di ogni tempo e luogo, facendola vivere tra la gente, dimostrando che essa è quanto di più vicino agli uomini ci possa essere, perché nasce tra gli uomini e tra questi deve poter continuare a stare. Letteratura per tutti è il suo messaggio.

Nonostante l’importante  mole di scritti analizzata, Chiara Fera, da sempre lettrice appassionata del Citati critico e scrittore, non ha trovato un libro scritto su Dostoevskij, o almeno in apparenza perché andando a studiare gli archivi dei giornali con cui Citati ha collaborato, in realtà ha scoperto  che articolo dopo articolo, saggio dopo saggio, Citati ha scritto il suo personalissimo libro su Dostoevskij raccontato ad una platea di lettori comuni: è proprio il libro invisibile su cui  la Fera ha costruito il suo tributo, stupendo lo stesso Citati il quale, alla domanda del perché non avesse  mai scritto un libro su Dostoevskij, le  ha risposto

Un libro su Dostoevskij non ho mai osato scriverlo, è troppo difficile”.

Non sapeva di aver scritto un libro a sua insaputa, facendo il racconto di un’analisi, penetrando nella psiche, nel mondo dello scrittore, con incastri tra il profilo biologico e psicologico, che lo portano ad abitare tutti i personaggi come Dostoevskij faceva nei suoi libri. E’ così che Citati  ha scritto  il suo libro invisibile a cui Chiara Fera ha dato struttura.

La presentazione del libro/tributo, a Palazzo Firenze nella sede della Dante Alighieri, è stata l’occasione per raccogliere la testimonianza preziosa di Giorgio Montefoschi, scrittore e critico letterario, vincitore del premio Strega con “La casa del padre” e del premio Mondello con “La sposa” , amico di Pietro Citati, al di là di quel Lei che da mezzo secolo ancora continua a regolare i loro rapporti. Di Citati Montefoschi   apprezza soprattutto l’attenzione al rapporto umano con gli scrittori sempre privilegiato dal critico che pure ha incontrato tanti  scrittori, libri e romanzi. Citati, parlandogli di Gadda, per il quale nutre da sempre una  grande ammirazione, dà dello scrittore  una definizione umana prima che professionale “ Era un uomo nobile”.  E di Bassani dice “ Era molto buono”. In Pietro Citati il profilo umano dello scrittore  prevale  sempre sulla figura professionale.

Piero Boitani, in altrettanta consuetudine umana con Citati, lo definisce Il Plutarco della nostra letteratura, e il paragone con il più grande saggista di tutti i tempi,  rende la grandezza della sua capacità di saggista, frutto di studi meticolosi, analisi critiche accurate con le quali ha insegnato a leggere i classici, soprattutto i classici greci. Anche per l’Odissea c’è una sorta di libro invisibile, un iperlibro citatiano che non si può non considerare. Se si vuole scoprire qualcosa di nuovo sull’Odissea, bisogna leggere La mente colorata, il suo libro su Ulisse. E se Boitani, da sempre studioso di Ulisse rimanda a Citati per saperne di più, c’è da credergli.  Per Leopardi vale lo stesso principio.

L’Osservatorio Roma ha incontrato Giorgio Montefoschi e Pietro Boitani e ha raccolto il loro punto di vista sulla cultura e sulla letteratura contemporanea

O.R. Qual è lo sguardo di Giorgio Montefoschi sulla  cultura e soprattutto la letteratura contemporanea?

G.M. “ Non mi piace, direi che è inesistente. E’ un rapporto che appare slabbrato e questo è un grande peccato. Rimangono gli scrittori singoli che vanno letti in traduzione.

O.R. Soffermiamoci su Roma, la sua città, quella che da sempre fa da sfondo ai suoi romanzi e dove tutto accade. E’ ancora il luogo del pensiero?

G.M.  “ Ma per carità, Roma non è il luogo del pensiero, oggi è la città che ha votato e scelto questa politica. Tutto parte dalle scelte politiche che vengono fatte, in questo caso pessime, a mio giudizio.

O.R. Ma qual è il suo sguardo sulla letteratura contemporanea? Come vede il vivaio dei giovani scrittori?

G.M. Bene, assolutamente. C’è speranza, ognuno cerca di fare bene il suo mestiere. Poi ci sono tante scuole di scrittura, quindi va benissimo. Avremo una proliferazione immensa di scrittori.

O.R. Intanto saremo felici di continuare a leggere Lei

G.M. “Questo me lo auguro. Pochi ma buoni”.

O.R.  Come vede Pietro Boitani la letteratura contemporanea, in considerazione del suo prestigioso profilo  di critico letterario, studioso del mito, dantista, anglista ma soprattutto eccelso conoscitore delle letterature straniere?

P.B. “ La letteratura contemporanea   io la conosco meno di quella recente ma non  contemporanea, nel senso che non conosco quali poeti stanno scrivendo le cose più belle e rivoluzionarie adesso. So di cose di ieri, oltre che dell’altro ieri. Ogni periodo storico ha la sua letteratura e poi oggi abbiamo una differenziazione enorme  tra le tante zone culturali, linguistiche del mondo. Trenta, quaranta anni fa c’era pochissimo, o meglio c’era ma noi lo sapevamo molto meno, zone ignorate del pianeta, l’India per esempio, dove c’è sempre stata una cultura fiorentissima, i cui autori, Rushdie ed altri, sono arrivati a noi solo abbastanza recentemente. Seguirla tutta, con l’attenzione che merita,  è quasi impossibile. All’inizio della mia carriera mi sono occupato di letteratura afro-americana, che allora era la cosa più recente che stesse accadendo e che arrivava in Europa immediatamente.

O.R. La letteratura italiana di oggi le suscita minore interesse?

P.B.  “ Sulle cose che succedono adesso c’è poco da dire. Io non ho una grande passione per quelli che scrivono ora.  Vale la pena di leggere soprattutto i poeti come Valerio Magrelli, Antonella Nedda, così anche nella critica. Relativamente ai narratori il periodo è abbastanza vuoto, dopo Gadda, Primo Levi, Calvino che erano pezzi da novanta per la letteratura italiana e non solo, si vede poco in giro.

O.R. Ma non c’è un vivaio che cresce?

P.B. “ non mi pare che il vivaio di cui parla abbia grandissime orchidee, non vedo grandi narratori. Poeti forse di più, ma anche perché il numero dei poeti è sempre maggiore, quasi tutti scrivono poesie o almeno ci provano. Si va a periodi nella letteratura”.

O.R. Parlando di Roma, importante per il suo ruolo di capitale nella realtà italiana e internazionale, c’è o ci può essere un filo invisibile che tesse cultura a Roma?

P.B. “Roma ha fatto cultura, poca tra l’altro, solo nel cinquecento, sotto i papi. Ma la vera capitale culturale d’Italia è Milano, e in sottordine Torino. A Roma vivono tanti scrittori, certamente, ma solo perché Roma è bella, è una città in cui si vive bene.

O.R. Ma c’è una scuola romana?

P.B. “ No, direi di no. Ci sono stati alcuni poeti all’inizio del Novecento, Belli, Trilussa, Pastarella ma non la chiamerei scuola romana, almeno nel modo in cui si può parlare di scuola romana di Fisica di via Panisperna con Fermi, Amaldi..quella è una scuola romana. Scrittori che fanno una scuola romana non ci sono. Ci hanno abitato De Bosis, D’Annunzio ma  non erano originariamente  romani.

O.R. Secondo Lei perché non si è creata una scuola romana?

P.B. “Perché Roma  è una città dispersiva, che non si identifica immediatamente, che poi per secoli è stata dominata dal clericalismo, dalla religione, ma alla maniera romana sempre. E’ una città che non fa cultura, i grandi scrittori italiani non sono romani, solo Giuseppe Gioacchino Belli, non mi vengono in mente altri nomi importanti nati a Roma.

O.R. Dal punto di vista culturale e letterario il suo sguardo non pare essere benevolo. Salviamo Roma almeno come luogo del pensiero?

P.B. Quello forse  si,  è diverso perché la filosofia è un’altra cosa, che sia professionale o meno c’è una scuola romana che è stata soprattutto di storia della filosofia. Tutta la facoltà di Filosofia, parte della facoltà di Lettere è stata dominata dallo storicismo, quindi non hanno fatto pensiero filosofico ma hanno ricostruito il pensiero e sono stati importanti da quel punto di vista, però il pensiero originale lo hanno fatte nel Novecento a Torino, fuori da Roma”

O.R. Concludiamo dicendo che c’è ancora un Ulisse da cercare e imparare?

P.B. “ Certamente”

Appare indubbio che la letteratura sia e continua ad essere sempre un grande amore, da coltivare con passione. Chiara Fera ci ricorda il consiglio che Pietro Citati le ha dato nel corso del primo dei lunghi incontri che ha avuto con lui: “ bisogna leggere, leggere, leggere” accompagnando il prezioso suggerimento con una lunga lista di libri a ciascuno dei quali erano associate notizie sull’autore,  un commento, una postilla. Chiara Fera l’ha fatto. E i libri letti si vedono tutti.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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