Roma oggetto di scrittura, città che si fa persona nel racconto coinvolto e appassionato di Mauro Covacich, scrittore candidato al Premio Strega a cui arriva correndo, tra le strade, i quartieri, i parchi, le piste ciclabili di una Roma che attraversa tutta, nei luoghi e nelle anime.
Triestino, filosofo e scrittore, da quindici anni ha scelto Roma per vivere e viverla. Correndo, la corsa ha sempre fatto parte della sua vita, camminando ora che il trascorrere del tempo e qualche bizzarro tic toc del cuore suggerisce tempi diversi e la corsa si trasforma in passeggiata. Cambia il passo, ma non lo sguardo, animato da una curiosità viscerale che lo porta a nutrirsi di tutto quello che vede e che appartiene a questa città. Ma è un filosofo che oltre a registrare cose, le interpreta ed è uno storico, sa come collocarle. Le sue pagine, intrise del racconto speciale di Roma, sferzano le considerazioni comuni relative ad una capitale che si vuole sempre più globalizzata, con un’anima sempre meno aderente alla sua storia e alle sue radici.
Correndo per Roma, cosa osserva Mauro Covacich?
Una città da cui farei fatica a staccarmi, perché è entrata tanto intimamente nel mio modo di vivere, che è diventata parte di me. Correndo nei parchi di Roma Nord, Villa Ada, Villa Borghese, nella ciclabile che da Ponte Milvio conduce a Castel Giubileo, si vede sempre gente, a tutte le ore del giorno, la città è vissuta continuamente, segno della capacità dei romani di gestire le proprie attività, anche del tempo libero, in maniera non rigida e ingessata. Facendo sempre gli stessi percorsi, si vedono delle entità che io definisco gli uomini albero, entità stabili, radicate nel luogo in cui vivono e in cui operano, persone che organizzano il loro turno di lavoro in strada, preparandosi a interpretare il ruolo dello storpio, mendicante, come la signora dignitosamente vestita anche se con abiti un po’ datati che ad un semaforo di Corso Francia, tutte le mattine, chiede l’ elemosina, o il lavavetri bangladese che interpreta il ruolo del distratto apparente, così fintamente disinteressato a pulire i vetri che è l’automobilista a chiamarlo, rovesciando il concetto di domanda e offerta.
Autentico bangladese de Roma
Forse sì, e se non hai moneta, ti fa anche credito. Sempre correndo, tra questi uomini albero si vedono i transessuali che si prostituiscono al Villaggio Olimpico, i senzatetto che abitano gli stessi luoghi, figure che sembrano aver perso una dimensione umana pur non avendo nulla di animale, ma che riescono a fare a meno anche del cibo, sopravvivendo bevendo solo cartoni di vino.
E camminando nella Roma più centrale e turistica, cosa si osserva?
Camminando si ha più modo di cogliere dettagli, osservare particolari, entrare nella storie di ognuno. A Piazza Navona, pochi giorni fa, alcuni giocolieri intrattenevano una ampia folla, mentre seduto su una panchina, dalla parte opposta, c’era un ballerino che imita Michael Jackson senza nessuno intorno, con i suoi abiti di scena poggiati su una sedia. Un vecchio gli è passato accanto e gli ha chiesto il motivo per cui anche lui non si impegnasse ad attirare gente. Il ballerino ha risposto che lui era lì volontariamente fermo, in attesa che i giocolieri terminassero il loro turno, che poi si esibissero i musicisti andini e solo dopo sarebbe toccato a lui. Quella apparente casualità mi è apparsa una realtà organizzatissima, una specie di gilda nascosta, una sorta di mutua assistenza. Roma è cosi, ognuno ti coinvolge nelle sue cose. Ieri all’Esquilino, in un parcheggio, una signora mi ha chiesto se le lasciavo il posto, le ho detto che la sua macchina forse non ci entrava. Poi, mentre stavo uscendo, lei, che nel frattempo aveva trovato un posto adatto, mi ha suonato attirando la mia attenzione, così… per farmelo sapere. Una cosa possibile davvero solo a Roma.
E’ questa l’anima romana?
Si, e se la perdi ti impoverisci. L’anima romana che si trova nel valore della battuta, sempre pronta, un misto di spudoratezza e di voglia di vivere. Questo è lo spirito della città, qualcosa di evanescente che puoi solo vivere, che non puoi trovare nei monumenti o nelle sue attrazioni.
Roma l’ha conquistata per il suo patrimonio storico e artistico o per le persone? Roma senza i romani potrebbe essere raccontata allo stesso modo?
Il mio paesaggio è sempre un paesaggio umano. Amo la città e continuo a visitarla con lo spirito del turista, attraversandola tutta, dal centro alle periferie. C’è un tram, il 19, su cui Albinati ha scritto un bel libro, che parte da Piazza Risorgimento, zona San Pietro, attraversa quartieri signorili, Prati, Parioli, passa per San Lorenzo, l’università La Sapienza, per poi concludere il suo viaggio in un quartiere estremamente periferico. Io lo prendo spesso, attraverso tutta Roma, scendo, mi vivo quella parte di città più periferica e soprattutto propongo questo percorso a tutti quelli che vengono a trovarmi come turisti, per far conoscere tutta Roma, benestante, proletaria, studentesca, di periferia. E il paesaggio umano che restituisce è incredibile.
Quanto sa essere accogliente Roma?
Ti conquista subito per la sua bellezza e per la sua apertura, ma in realtà, se non sei romano, non lo sarai mai fino in fondo. Non te lo consente, in base al parametro che attesta la romanità da sette generazioni. Questo vale anche per grandi personaggi come Fellini, Parise, Gadda che pure ha scritto Il Pasticciaccio, Flaiano…pur avendo dato molto a Roma e avendola interpretata e raccontata, non sono considerati romani.
Qual è la prima immagine di Roma che le viene in mente?
Corso D’Italia. La prima volta che sono venuto a Roma, invitato dal mio editore, fu prenotato per me un albergo a Corso D’Italia, a due passi da Villa Borghese ma io non lo sapevo e vedendomi alle spalle le Mura Aureliane, ebbi la sensazione che fosse un luogo di periferia, appunto fuori dalle mura e associai quel posto ad una scarsa considerazione che l’editore aveva di me. Avrei imparato che Roma è enorme e che esiste dentro e fuori le mura, conservando la stessa bellezza.
Di chi è questo cuore è il titolo del libro con cui lei sta correndo verso il Premio Strega e dove Roma è prepotentemente l’oggetto di scrittura. Ma questo libro, concepito e scritto a Roma, poteva essere figlio di un altro luogo?
Di chi è questo cuore è talmente intriso di questa città che non sarebbe potuto esistere senza Roma, Roma che è a tutti gli effetti un personaggio del libro, non è solo lo sfondo. Ci sono tanti aneddoti che sono legati alla romanità, l’incontro/non incontro con il commesso di un negozio di cui racconto nel libro trasmette una freschezza, magari anche un po’ rapinosa che solo Roma può dare. Roma dà non solo l’ambientazione, ma anche il ritmo del protagonista. Il libro è davvero figlio di questa città che prende la parola, con le sue voci, gli zampognari a Natale, l’arrotino che passa con il suo messaggio registrato, ancora così antico nella sua brutale misoginia donne, è arrivato l’arrotino! No, non sarebbe mai potuto essere figlio di un’altra città.
Il suo libro racconta romanità e italianità insieme. Ci sono tratti comuni?
L’italianità è fatta di tante sfumature, ma la romanità rappresenta lo stereotipo degli italiani. Lo spirito della vita che si sente a Roma è quello che chi abita all’estero immagina. Se si va in qualsiasi città degli Stati Uniti e si ordina al ristorante una bistecca o un’insalata, ci sono due soli modi per condirla, l’humburger è già pronto, non puoi chiederlo senza cipolle. A Roma invece si fanno mille modifiche a qualsiasi cibo, il cappuccino prevede una infinità di varianti, con o senza schiuma, chiaro, scuro, tiepido, caldo, bollente e via dicendo. La varietà dell’offerta è espressione delle mille sfaccettature che ha la romanità.
Come si può raccontare Roma agli italiani che vivono all’estero?
Roma è scolpita nell’immaginario di tutti, alimentato dai film, le canzoni, i libri che le sono state dedicate. Anche vivendo lontano, ognuno pensa di conoscerla ma in realtà non si finisce mai di scoprirla, al di là della sua forza iconica legata al Colosseo, I Fori Imperiali, La Dolce Vita, La Grande Bellezza. E’ una città capace di rigenerarsi sotto i tuoi occhi, che ha mille sfaccettature, mille tranelli e mille difetti.
Il difetto principale?
Indubbiamente quello di non saperla collocare nel mondo, di non aver ancora maturato la consapevolezza che Roma è soprattutto una grande città mediterranea che va guardata considerando la storia che ha avuto, non prescindendo da essa. La storia della sua cultura si è calcificata nella città, si è insediata in essa e questo la predispone ad un rapporto naturalmente, storicamente dialogante con Istanbul, Atene,Tunisi, Il Cairo, Barcellona, Napoli, città di grande tradizione, cultura, arte, città cresciute nei secoli in maniera diversa, città che si affacciano sul Mediterraneo e che si assomigliano molto, che hanno un cuore mediterraneo. Bisogna tendere a renderla più efficiente, organizzata, pulita e prima o poi ci si riuscirà, ma la mentalità di questa città, di questo popolo è cresciuta nei millenni come mentalità mediterranea. Come si fa a ritenere che possa cominciare a pensare come Berlino, Parigi o altre città che hanno storie diverse? La presa di coscienza di questa realtà aiuterebbe molto anche a favorire un senso di appartenenza, di riconoscibilità sul chi siamo e da dove veniamo. Questo spiegherebbe molte cose, anche una serie di comportamenti che vanno dal clientelismo alle battute. Non per farne una bandiera retorica di orgoglio patriottico che non sento mio, non per nascondere difetti che sono evidenti, ma penso che questo tipo di riflessione possa dare la risposta a tanti perché.
Di chi è, alla fine, questo cuore?
Il cuore è una cosa profondamente nostra di cui però non abbiamo il controllo, è l’espressione simbolica dell’altro dentro di noi, batte indipendentemente da noi e smette di farlo di punto in bianco, tra un battito e l’altro. Questo cuore è della vita, è, come la vita, profondamente nostro ma non ci appartiene, arriva e se ne va.
Correndo verso il Premio Strega, il premio letterario italiano più importante, come sta il suo cuore?
Si è messo in gioco, in un nuovo corso del Premio Strega, al quale sono arrivato secondo nel 2015, che pare sempre più orientato a valutare i libri per la loro qualità letteraria e per il percorso artistico nel quale sono inseriti, come è nella tradizione del Premio. Io vengo da Ponte Milvio, dove Costantino ha sconfitto Massenzio. Spero di sconfiggerlo anch’io con Roma compagna di viaggio.