Un pomeriggio di luglio, caldo e assolato, a Monte Mario, la collina più alta di Roma, nell’atmosfera ovattata e al contempo vitalissima di un polo congressuale, tra preziose tele del Tiepolo, sublime pittore neoclassico veneziano del XVI sec., opere di arte contemporanea di Andy Warhol, sculture e arazzi d’epoca, con lo sguardo che da quel Belsito abbraccia il suggestivo panorama di Roma, ci si trova ad evocare siepi, ulivi, olio e vino. Albano Carrisi è la voce narrante di una storia che sa di felicità e che da sempre fa rima con italianità. E il suo sguardo, luminoso e fiero, abbracciando il panorama di questa Roma amica, traccia un arco con i colori dell’arcobaleno, che parte dalla sua terra di Puglia e arriva in America.
La sua italiana internazionalità, fatta di note musicali e tanto altro, lo rende amico e complice di una intera generazione che ha dovuto alzare lo sguardo e mettersi in cammino, scrivendo ciascuno la sua storia, una storia che Albano ha saputo cantare e che ora proviamo a raccontare.
Albano, ci racconta la sua meravigliosa e miracolosa storia italiana partita dalla necessità di una emigrazione che la accomuna a tanti della sua generazione?
L’emigrazione è alla base delle storie di molti di noi ed è per molti aspetti una grande fortuna. Nascere, vivere, restare sempre nello stesso posto rischia di cristallizzare la visione, mentre viaggiare arricchisce e allarga la prospettiva, consentendo l’acquisizione di esperienze e conoscenze che permettono di imparare e quindi di crescere.
Lei ricorda uno degli ulivi secolari della sua Puglia, con radici che affondano saldamente in quella terra e rami protesi ad abbracciare il mondo, sui quali al posto delle foglie e delle olive, troviamo note musicali, quelle che hanno portato la sua musica ad ogni latitudine. Segno che con la musica nel cuore si va lontano?
Il grande filosofo Nietzsche diceva che una vita senza la musica sarebbe un errore. Io credo che sia una sorta di secondo abito, capace di dare la sensazione del tuo habitat, del tuo modo di vivere, segnando ogni tempo, esattamente come gli abiti comunicano se sei in estate o in inverno, la musica dice come stai e dove vai, rivelando condizione e conduzione di vita. Ecco perché io la amo immensamente e desidero sempre viaggiare con lei che, ne sono sicuro, continuerà a portarmi lontano.
Aver scelto la musica come compagna di vita fin dagli anni ’60 quanto è stato determinante?
E’ stato fondamentale perché sono riuscito a fare nella vita esattamente quello che volevo, attraverso la musica, con la musica e grazie alla musica, che per me è un miracolo.
La sua ugola d’oro, la voce straordinaria che contiene in sé l’eco del canto di mamma Jolanda al lavoro nei campi della sua terra, sarebbe stata sufficiente senza la sua voglia matta e disperatissima di farcela?
Nella mia vita tutto è successo anche perché l’ho sempre cercato e voluto. Sono sempre stato animato da una gran voglia di fare e di arrivare e grazie alle tante esperienze che ho fatto, sono riuscito a dare corpo ad un desiderio e ad un progetto che avevo chiaro in me.
Albano è conosciuto, apprezzato e amato da tutte le comunità italiane che risiedono all’estero anche per i valori di cui si fa portavoce, per la positività dei suoi atteggiamenti di vita, per i messaggi contenuti nei testi delle sue canzoni. Speciale è il rapporto con la comunità italoamericana. Come e quando nasce?
Nasce nel momento esatto in cui ci siamo conosciuti. La musica è anche questo, è corrispondenza, crea veicoli di conoscenza e di appartenenza, è un piacevole trapano che non fa rumore ma diffonde la magia di un grande dono umano.
Come ricorda il suo primo viaggio in America e come la raccontava a Cellino San Marco?
Fu interessantissimo. Era il 1967 e finalmente avevo la possibilità di vedere con i miei occhi, di vivere con la mia esperienza tutto quello che mi attirava e mi incuriosiva attraverso la televisione, i giornali, il cinema. Concretizzavo l’esigenza di conoscere, vivendola da vicino, un’esperienza che immaginavo affascinante, curiosa, nuova e che naturalmente non mi ha deluso. E lì, in quella terra lontana, ho incontrato il mio idolo, Domenico Modugno che portava in America il suo Rinaldo in campo. È stato bellissimo trovarci insieme, figli della stessa terra, espressione della stessa lingua. Momenti davvero indimenticabili.
Ricordare Domenico Modugno è l’occasione per rendere un doveroso omaggio all’artista che ha fatto volare la canzone italiana nel mondo…
E che io amo sempre cantare in suo onore.
Quattro dei suoi sei figli sono italoamericani. In cosa la ha arricchita l’incontro di mondi, tradizioni e storie familiari tanto diverse?
L’incontro è stato bello e mi ha portato ad avere figli nati già con una impronta internazionale che nella vita costituisce un indubbio vantaggio. Quando sono partito dalla Puglia per Milano, ho avvertito sostanziali differenze culturali, legate allo stile di vita, soprattutto al linguaggio con i miei coetanei nati al Nord. Ho fatto esperienza di quelle differenze che ho vissuto sulla mia pelle e per questo so quanto sia stato importante per i miei figli nascere italoamericani, cosa questo abbia significato per i loro orizzonti culturali, frutto di due mondi lontani ma molto bene integrati.
Ad Atlantic City e nel Cunnecticut fervono i preparativi per accogliere i suoi attesi concerti del 26 e 27 ottobre. Quando strimpellava la chitarra all’ombra degli alberi nella sua campagna pugliese, mentre suo padre lavorava la terra, pensava sarebbe mai stato possibile?
Ho visto i miei sogni concretizzarsi, come per miracolo, cose che potevano sembrare lontane e impossibili, grazie al grande amore e alla grande passione per mamma musica, si sono materializzate sotto i miei occhi. Ecco perché mi piace definire la mia storia miracolosa più che meravigliosa.
Partito da Cellino, il suo orizzonte più immediato sembrava Milano, poi Roma con l’incontro, felice e fortunato, con Pippo Baudo, l’amico di una vita. Settevoci cosa ha rappresentato per Albano che ama le sfide e non si sottrae mai ai confronti?
Settevoci ha rappresentato l’incontro con la grande sfida, era la mia prima volta in televisione, il mio primo contatto con la telecamera, per me era la possibilità di afferrare un sogno, lungamente inseguito che grazie a Pippo Baudo diventava realtà. Il mio meraviglioso viaggio è cominciato con quella storica trasmissione.
Ascoltare le sue canzoni, per chi vive lontano dall’Italia, evoca immagini e suggestioni importanti, legate alla terra, alla casa, al sole. Ma qual è per lei la vera canzone dell’emigrante italiano?
La siepe, la canzone che ho scritto e cantato quando, partendo dalla Puglia proprio come emigrante, ho deciso di tagliare il cordone ombelicale con la mia casa. Le sue parole struggenti contengono ed esprimono tutto quello che provavo in quel momento e che credo sia stato comune a tanti : “Ciao ulivi, che restate qui, ciao ruscello che rimani qui. Ricordi miei, amici miei che non scorderò mai”. Per me questa è la canzone dell’emigrante.
È una bellissima immagine bucolica, di derivazione leopardiana, che fa da argine al pianto di una mamma per un figlio che parte…
“E non mi capirai, mamma, ma il mondo non finisce là sulla siepe che circonda la nostra casa” e Albano risponde cantando(ndr)
Citando Nel sole, la sua canzone più famosa, quando, per un emigrante, “ogni minuto sembra durare un’eternità”?
Dipende dai traguardi e dai sogni che ciascuno si prefigge. Nell’attesa, i minuti durano davvero un’eternità fino a quando il miracolo avviene, il sogno si realizza e la felicità esplode dentro di te e “ nel sole io verrò da te, amore amore, corri incontro a me e la notte non verrà mai più” Albano canta ancora (ndr).
Il vino e l’olio delle Tenute Albano Carrisi, altre passioni della sua vita, sembrano avere un loro timbro musicale che lei ama raccontare. Che profumo hanno?
Vino e olio sono gli elementi che mi hanno accompagnato in tutta la mia esistenza. Mio padre me li ha fatti amare, insegnandomi a lavorare nelle vigne, a conoscere tutto il processo che porta dall’uva al vino, dall’ulivo all’olio. E’ un processo che conosco bene e che so essere figlio di una sana passione, quella che mi portò a promettere a mio padre, mentre stavo partendo, che un giorno sarei tornato e avrei continuato quel processo, per produrre un vino che avrebbe portato il suo nome e un olio di cui essere orgoglioso. Ho mantenuto questo impegno con una gioia immensa. Il mio primo vino è stato il Don Carmelo.
E quali sono, della sua terra, le altre cose buone di una volta?
La stessa terra, fantastica, dove c’è tutto, a cominciare dagli 800 Km di spiagge, ai panorami che cambiano da Monopoli al Salento, restituendo una realtà ricca di cultura, tradizioni. E’ una terra fantastica, bella da calpestare e da vivere, che consente di volare con la fantasia e di percorrerla con le ali ai piedi. Resta per me l’osservatorio privilegiato di un mondo che ho vissuto e amato e ho sempre raccontato.
Il veicolo di questo racconto è la sua musica, i testi delle sue canzoni e le note che non conoscono confini. Quanto è importante oggi la promozione della canzone italiana nel mondo che vede un rinnovato impulso con Mogol presidente della SIAE?
Il made in Italy nella canzone è una piacevole proposta di cui sono da molti anni protagonista e ambasciatore in tutto il mondo. La canzone italiana piace perchè nasce dall’anima, e gli italiani l’anima ce l’hanno ancora. Evviva il made in Italy e la musica italiana.
Di rose e di spine è il titolo del brano che ha presentato all’ultimo festival di Sanremo a cui ha partecipato. L’emigrante italiano oggi ha una vita con più rose o più spine?
Le spine le hanno messe sulla testa di Gesù Cristo quando lo hanno crocifisso, sono l’emblema delle difficoltà dell’ esistenza, purtroppo inevitabili ma grazie ad esse si arriva a capire e ad apprezzare la bellezza della vita quando poi ti trovi rose tra le mani. Una bella canzone può aiutare ad assorbire le spine e a potenziare le rose. Ed è per questo che io sono felice di cantare per tutti voi. Felicità!