Un fazzoletto di cotone, scritto fittamente su entrambi i lati con un lapis, contenente i versi di una canzone di mafia, scritta dal capo dell’organizzazione criminale dell’epoca in carcere e destinata ad essere cantata da tutti, detenuti e non, per affermare potere e fascinazione del boss sugli affiliati all’organizzazione criminale. Siamo in Puglia, a Bari, è il 24 luglio 1901. Il fazzoletto di cotone è il primo “pizzino” della storia criminale sequestrato dai carabinieri, classificato non come corpo di reato – sarebbe altrimenti andato distrutto – ma come documento d’archivio, per una fortunosa svista del cancelliere e pertanto custodito senza essere mai aperto, in una busta gialla allegata agli atti di un processo e conservati nell’Archivio di Stato di Bari che ne è stato custode silente per 118 anni.
Era stato sequestrato, fuori dal carcere, ad un giovane cocchiere diciannovenne che, simulando una rissa, si era fatto arrestare in modo pretestuoso al solo fine di essere detenuto nello stesso carcere dove scontava la sua pena Mauro Savino, capo della mala vita barese. Il profilo criminale di Savino era interessante e inusuale. Letterato, sapeva non solo leggere e scrivere, in una epoca e in un territorio in cui la percentuale di analfabetismo era pari all’80%, ma lo sapeva fare bene, al punto da svolgere le mansioni di scrivano nelle carceri nelle quali era detenuto. Molti documenti autografi con certezza a lui riconducibili, hanno consentito un matching che gli ha attribuito la paternità del pizzino, seppur scritto con lapis su stoffa, contrariamente agli altri documenti scritti con pennino su carta. Le perizie affidate a due autorevoli grafologi forensi hanno stabilito, con assoluta certezza scientifica, che il pizzino fu scritto da Mauro Savino. Contiene i versi di una canzone, La Canzone di Amelia la disgraziata, apparentemente dedicata ad una ragazza stuprata da un medico condotto, sedotta e abbandonata, ucciso per riparare al delitto d’onore di cui si era macchiato. La realtà che invece il pizzino racconta, scoperto dopo 118 anni da un carabiniere, Stefano de Carolis, ricercatore storico e appassionato di storia, ricontestualizzato storicamente, interpretato attraverso il Glossario della mala vita utilizzato in quell’epoca dagli iniziati alla vita criminale, svela una storia diversa e consente l’esatta ricostruzione storica di un omicidio eccellente che si voleva derubricare e giustificare come delitto d’onore. L’antefatto è una consulenza medico-legale che il dottor Michele Introna, consulente del Tribunale di Bari, era stato incaricato di redigere sul ferimento di un ragazzo per mano del boss Savino. La relazione, qualora adeguatamente considerata in sede processuale, avrebbe aggravato la posizione del boss. Prevalse la linea difensiva, il mafioso non fu penalizzato dalla perizia ma ne rimase offeso, per quel temperamento sanguinario, prepotente e vendicativo già evidenziato dai carabinieri. Decise di farsi giustizia, per vendicare l’offesa e per lanciare un messaggio chiaro sul comportamento opportuno e consigliato da adottare verso il boss. Organizzò l’omicidio del giovane dottor Michele Introna, che eseguì personalmente, precostituendosi un piano per screditarne l’onore, costruendo un castello di accuse false e creando per sé attenuanti processuali riconducibili nell’ambito del delitto d’onore che il codice penale Zanardelli, allora vigente, riconosceva. Amelia, sua nipote, figlia appena diciassettenne della sorella, venne prepotentemente coinvolta nel piano criminoso. Le fu fatto credere che lo zio provasse sentimenti di amore per lei, costretta alla fujtina, sottoposta a violenza, indotta a sostenere che quello stupro risalisse a qualche mese prima e che il responsabile fosse il medico condotto Introna, in occasione di una visita medica domiciliare alla mamma di Amelia, inferma a letto. Una accurata visita ginecologica smentì la ricostruzione del Savino, che uccise comunque il dott. Introna e quel gesto esecrabile venne cantato in una canzone. Il linguaggio criptico lanciava un messaggio chiaro di prepotenza e violenza, era una forma di comunicazione tra l’interno del carcere e l’esterno che consentiva alla mala vita di avere istruzioni e di impartire ordini fortemente condizionanti sui testimoni che sarebbero stati chiamati a deporre nel processo che stava per celebrarsi.
Il testo de La canzone di Amelia la disgraziata contiene tutti i temi propri di una comunicazione criminale, ogni verso delinea un profilo, traccia una via, ricostruisce una tessera della dinamica omicidiaria del medico condotto. Il ritrovamento di Stefano de Carolis e gli sforzi per la ricollocazione storica, la contestualizzazione, la attribuzione con certezza assoluta della scrittura al boss, assumono un importante valore storico, spostando l’orologio indietro di molti decenni come data di esordio delle prime organizzazioni criminali pugliesi, non più databili storicamente al 1970 ma alla fine dell’Ottocento. De Carolis recupera il testo della canzone, ma non la musica affidata ad una diffusione orale. La tradizione dei canti popolari di mala vita, molto diffusi nell’Italia del Sud induce ad essere certi che si trattasse proprio di una canzone. Ed è qui che la storia, interrogata con competenza, passione e pazienza da un carabiniere, ricercatore e giornalista, incontra l’etnomusicologia, attraverso un musicologo, comandante della Fanfara dei Carabinieri a cavallo di Roma, il Maestro Fabio Tassinari che si appassiona al progetto e fa “cantare” la storia, trasponendo in musica il testo della canzone. Esattamente come era descritta, in quattro parti, intervallate dal coro a doppia voce, maschile e femminile. “Il ritrovamento del pizzino riveste un’importanza storica assoluta che consente di realizzare un’operazione culturale unica nel suo genere, ricreando l’anello mancante del pizzino, ovvero la sua parte musicale. La musica è stata sicuramente l’elemento di grande intuizione di ingegno criminale attinto da un contesto quotidiano. Per far passare il messaggio criminale da dentro a fuori il carcere, quale modo migliore che affidarlo al canto di un operaio che fingeva di lavorare attorno al carcere e che doveva cantare brani apparentemente popolari adeguandosi allo stile canoro della propria area geografica? La componente armonica, gli accordi, sono tutti improntati alle armonie dello stile compositivo di fine Ottocento dell’Italia del Sud. La canzone di Amelia la disgraziata è un melodramma che ha il compito preciso di portare al mittente un messaggio in codice, con un uso sapiente della metrica ripetuta là dove il messaggio doveva essere sottolineato o incalzato. La musica era allora il fulcro di una importantissima operazione della mala vita contro i poteri forti rappresentati dalla magistratura e dalla polizia dell’epoca. Non si poteva lasciare questo pizzino orfano di un’idea musicale. Musicare questo testo di matrice popolare potrebbe essere l’inizio di una vera e propria rivoluzione storico musicale avvenuta grazie al ritrovamento di questo fantastico documento”. Il comandante Fabio Tassinari riassume i contenuti di una straordinaria operazione culturale nata dall’incontro virtuoso tra storia, musica, ricerca d’archivio e passione investigativa. E quel fazzoletto, letto come un “libretto d’opera”, diventa un’opera musicale, ad un solo atto, presentata il 16 luglio nella sala stampa della Camera dei Deputati, nel corso di un incontro a cui hanno partecipato i componenti della Commissione Cultura alla Camera, l’on. Paolo Lattanzio, l’on. Ubaldo Pagano e l’on. Michele Nitti che hanno illustrato il profilo culturale dell’iniziativa in chiave storica evidenziandone le potenzialità per una necessaria diffusione della cultura della legalità soprattutto tra le giovani generazioni.
La Fondazione Osservatorio Roma, che ha moderato l’incontro, ha ricordato l’opera meritoria svolta dall’Arma dei Carabinieri in tutto il percorso storico del pizzino che si conclude con la trasposizione in musica: un carabiniere arrestò Mauro Savino con una azione ardimentosa, altri carabinieri sequestrarono il pizzino, un carabiniere lo scopre un secolo dopo, ancora un carabiniere ne fa un’opera che da oggi diventa una realtà musicale attraverso le prime rappresentazioni del melodramma che si svolgeranno a Bisceglie, in Puglia e che saranno portate in tournée in tutto il mondo. La storia, se adeguatamente interpretata e interrogata, sa parlare e cantare.