Romano, cresciuto all’ombra della Cupola di San Pietro, respirando musica nella storica azienda di famiglia che produce pianoforti, tra incontri e frequentazioni con i nomi più prestigiosi della grande tradizione musicale italiana, Gabriele Ciampi incarna la realizzazione di un sogno americano contemporaneo. Nel 2012 esce dal nido sicuro e confortevole della sua dimensione romana e spicca il volo verso l’America con una valigia piena di note e tanta voglia di comporre. Il M° Ciampi, seppur nato tra i pianoforti è anche un pianista e un direttore d’orchestra ma è soprattutto un compositore, talmente bravo che il suo primo CD conquista la First Lady americana, Michelle Obama che lo invita a dirigere le sue musiche originali, alla Casa Bianca. Los Angeles lo accoglie, Washington lo onora, l’America lo identifica non solo con Roma ma con l’Italia, invitandolo a rappresentarla, nell’Ambasciata italiana, in occasioni celebrative solenni, il 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma e il 70° anniversario della Repubblica Italiana. E Gabriele Ciampi compone, per l’occasione, musiche originali frutto dell’incontro virtuoso e sapiente tra tradizione musicale classica e innovazione. La sua competenza musicale, formatasi in anni di studio rigoroso, trova la sua consacrazione nell’invito a far parte della Giuria dei Grammy Awards, unico italiano, confermato membro permanente dalla Recording Academy. Ma Gabriele Ciampi non dimentica Roma, dove torna e vive un’altra emozione, l’incontro con Papa Francesco al quale dedica un concerto all’Auditorium Parco della Musica. Una storia straordinaria di un musicista capace, tenace, generoso e adorabilmente semplice che Osservatorio Roma e America Oggi incontrano per gemellare ancora di più due realtà apparentemente distanti, unite dalla musica della grande tradizione italiana.
M° Ciampi, com’è Roma vista dall’America?
Roma è ben vista e considerata il centro della musica dal punto di vista compositivo. Sono molti i talenti romani che hanno segnato la storia musicale italiana, da Trovajoli per il teatro a Morricone per le colonne sonore e grazie a loro Roma ha portato la composizione e la melodia italiana al di là dell’oceano.
La musica italiana come viene considerata dagli Americani?
La musica italiana è caratterizzata dalla melodia, dolce e romantica, partita dalla musica leggera, con Modugno e con Volare che poi si è sviluppata fino a entrare nelle colonne sonore. La differenza con i compositori americani e internazionali consiste nel fatto che gli americani, pur molto preparati armonicamente, non sono all’altezza degli italiani dal punto di vista melodico.
Qual è oggi la musica italiana che può trovar posto nel pop internazionale?
E’ difficile individuare qualcosa che possa oggi lasciare un segno sul mercato americano. Si è da poco concluso il Festival di Sanremo che ho seguito con attenzione, tra i giovani ho individuato qualcosa che, sviluppandosi, potrà aspirare a varcare i confini nazionali. All’estero si aspettano molto da noi, soprattutto nella musica leggera, con canzoni che sappiano esprimere la tradizione musicale italiana che ha reso grande la nostra musica nel mondo. I giovani possono emergere solo se tornano a studiare, con serietà e impegno.
Le piace il Festival di Sanremo?
Si, moltissimo perché considero importante avere un nostro riferimento nazionale a tutela e salvaguardia della musica leggera che da sempre ci ha caratterizzato. Tutti dobbiamo supportarlo e tifare per il festival di Sanremo, perché è l’unico momento di visibilità internazionale della musica italiana. Modificherei la struttura con un sistema di giuria diverso, sul modello dei Grammy Awards, in cui ci sia alla base una selezione dei brani più propriamente tecnica per ammettere alla gara brani musicalmente rilevanti.
Cosa importerebbe dal meccanismo delle giurie americane, le stesse che hanno inserito lei come membro nella Giuria dei Grammy Awards dopo una selezione durata tre mesi?
Costituirei una giuria tecnica che operi durante il processo di selezione, già da Sanremo Giovani, formata da quindici elementi italiani e internazionali, con un Presidente di Giuria competente per poter analizzare il brano tecnicamente. Naturalmente il Festival di Sanremo è del popolo, quindi lascerei il giudizio popolare ma solo come ultimo passaggio.
Considerando armonia e melodia dei brani, il Festival 2020 è stato musicalmente un Festival di qualità?
Si, è un Festival che mi è piaciuto molto perché ha permesso ad artisti giovani e a big di esprimersi senza censure. E’ stata offerta una grande possibilità che non è stata colta compiutamente dai giovani, salvo qualche eccezione, ma nel complesso non abbiamo giovani preparati musicalmente, in maniera adeguata, che possano competere con giovani e gruppi emergenti esteri, come Billie Eilish per esempio che a sedici ha già vinto tutto grazie alla qualità, non a una canzone commerciale, ma perchè nel pop ha segnato un cambiamento epocale componendo canzoni minimal, soltanto con un bit e basso, aggiungendo la melodia e stravolgendo le regole del pop americano.
Maestro lei è compositore, direttore d’orchestra e produttore. Il suo metodo compositivo, tradizionalmente e orgogliosamente italiano, fatto di pianoforte, carta e penna, cosa ha recepito dell’approccio americano alla musica?
Io sono un compositore che dirige la sua musica, quella scritta al pianoforte, con carta e matita. L’America mi ha permesso un approccio moderno alla composizione, facendomi uscire dall’Accademia, dal libro e dallo spartito, avvicinandomi alla tecnologia. L’incontro del metodo tradizionale musicale italiano con quello americano mi ha indubbiamente arricchito.
Lei ha il merito di aver acceso un faro sulle donne musiciste, anche nella direzione d’orchestra. La sua iniziativa ha abbattuto un muro o è rimasta, seppur virtuosamente, isolata?
E’ giunto il momento di dare voce alle donne in musica, oltreoceano c’è un nuovo stimolo a valorizzare una direzione a quattro mani, tra direttore uomo e direttore donna che sicuramente sarà il futuro dei concerti. La mia esperienza è molto positiva, lavoro con Carolina Leon Paez, Prima Viola e Direttore d’orchestra bravissimo, alla quale ho affidato la direzione durante le fasi di produzione.
Il suo hip hop sinfonico, fra tradizione e contemporaneità, è una sperimentazione o un incontro?
E’ stata una provocazione, partita da due generi opposti, un genere difficile come l’hip hop che esprime una cultura importante che è solo americana, irriproducibile per noi nel rap e trap italiano musicalmente non rilevante, al contrario del rap americano che è musicalmente rilevante, che lascia spazi vuoti anch’essi musicali perché permettono di inserire strumenti. Ho studiato bene l’hip hop, anche confrontandomi con artisti americani e dalla contaminazione, sempre molto difficile, sono nati un paio di brani inseriti nel CD Hybrid che hanno questo beat e sono frutto di una sperimentazione che però considero chiusa perché l’hip hop esprime una cultura musicale tipicamente americana che non può funzionare in Italia.
La sua attività concertistica si svolge, dal 2011 con la Centorchestra. Cosa aggiunge al compositore e al direttore d’orchestra esibirsi con la propria orchestra?
Avere musicisti di riferimento è molto importante nel processo creativo e compositivo. La musica che si scrive rende di più se si conoscono i propri musicisti, non a caso molti grandi compositori classici suonavano sempre orchestre stabili. Ciaikovskij ha scritto il suo famoso Concerto, con il suo pianista.
L’Italia le ha tributato riconoscimenti e premi prestigiosi, come “Eccellenza italiana nella musica”. Doveva andare in America per essere applaudito in Italia?
Io sono partito otto anni fa, oggi l’Italia, pur tra tanti problemi, offre la possibilità di emergere a giovani talentuosi e volenterosi, che non devono però scoraggiarsi al primo tentativo fallito. Le tecnologie di cui disponiamo, a cominciare dal mezzo più democratico che è Internet attraverso il quale far arrivare provini ovunque, consentono di poter essere ascoltati. Il riscontro dipenderà naturalmente dall’originalità e dalla validità della musica proposta.
La sua che storia è, quella di un cervello in fuga, in prestito o in esplorazione?
In prestito, perché l’obiettivo è di tornare in Italia ma soprattutto di sostenere l’Italia dall’ estero. Sono rappresentante della Recording Academy per i Grammy Awards, unico italiano nella giuria dei cinquanta elementi, selezionato per l’esame tecnico dei brani e ne sono orgoglioso perché rappresento l’Italia pur stando all’estero. L’obiettivo è però sempre quello di riportare nel mio Paese, l’esperienza fatta negli Stati Uniti, che hanno l’intelligenza di accogliere e valorizzare tutte le eccellenze provenienti dagli altri Paesi.
L’America l’ha accolta benissimo, identificandola oggi non solo con Roma ma con l’Italia. In occasione di eventi storici celebrativi solenni della storia italiana, si è esibito all’Ambasciata di Washington con musica da lei composta per l’occasione, come il Trio in Si minore. Qual è il sentimento che prevale in queste circostanze?
L’italianità, il patriottismo, il sentimento nazionale. A Washington si respira una cultura, un senso dell’identità nazionale che in Italia si avverte meno. L’inno Nazionale introduce ogni evento, da noi si ascolta poco. Il Trio in Si minore è stato un omaggio al mio Paese, che io considero un grande Paese, e ai 70 anni della Repubblica. Esibirmi nell’Ambasciata Italiana ha rappresentato per me, italiano che vive all’estero, un grande onore e orgoglio.
Ha suonato alla Casa Bianca su invito della First Lady Michelle Obama, è in giuria ai Grammy Awards, ha incontrato Papa Francesco…è arrivato a San Pietro e alla Casa Bianca sulle note della casualità, determinazione o predestinazione?
Tutto è possibile negli Stati Uniti. Ho inviato il mio primo album The Minimalist Evolution alla First Lady che mi ha risposto dopo sei mesi, invitandomi ad esibirmi alla Casa Bianca. Nell’occasione ho composto per lei una melodia musicale al pianoforte che si è strutturata poi in un brano orchestrale intitolato Michelle, eseguito da un oboista e da un’orchestra di quaranta elementi che ho diretto nel Salone della Casa Bianca. Non dimenticherò l’emozione del primo attacco con la bacchetta. La realizzazione del mio sogno americano.
Non a caso l’album che ne è seguito e che comprende quel brano si chiama…
In dreams awake, perché non esiste un altro Paese al mondo che consente la realizzazione dei sogni come gli Stati Uniti.
E poi l’incontro con Papa Francesco e il Concerto a lui dedicato all’Auditorium Parco della Musica
E questo è stato il vero sogno italiano che per me, da cattolico, ha significato un’emozione grandissima. Il ricordo di quell’incontro e del concerto che ne è seguito è assolutamente prezioso.
La musica elettronica oggi aiuta a creare cose interessanti. A suo parere ha già dato tutto quello che poteva dare o può ancora regalare sorprese?
L’elettronica è un derivato della musica dissonante, corrente partita da Stravinskj in poi, per provare a creare il suono. Sono favorevole al suo utilizzo nella musica perché aiuta ma certo non rappresenta una novità perché già Stravinskj un secolo fa ha creato gli effetti nell’orchestra, facendo fare ai fiati e agli strumenti non solo note ma anche effetti. La tecnologia riprende l’effettistica. L’obiettivo di tutti i compositori contemporanei è creare qualcosa che possa essere interessante, non innovativo perché dopo Mozart e le novità da lui apportate dal punto di vista armonico e creativo, non ci possono essere più sorprese. Hans Zimmer, compositore che in America ha un successo clamoroso perché utilizza musica classica con effetti, fa un esperimento interessante ma certamente non innovativo perché anche Ennio Morricone nei film western aveva inserito, insieme all’orchestra, gli effetti.
Quali sono per lei i colori della musica e che spazio hanno i cinque sensi nelle sue composizioni?
Identifico la musica con il color rosso, perché la musica è l’arte passionale e soprattutto universale, che può essere ascoltata e capita da tutti. Per me il concetto elitario della musica non esiste, la musica è musica, il colore è quello, oggi anche un profano se ascolta uno dei Concerti per pianoforte e orchestra di Ciaikovskij rimane emozionato. Se invece bisogna essere un cultore o un tecnico per capire un compositore contemporaneo, il problema è del compositore. La musica è arte che deve arrivare a tutti. Nelle mie composizioni cerco di trasmettere il senso, che può essere qualcosa che si vede, si tocca o si sente e che riporto in musica per trasmettere un messaggio che possa davvero arrivare a tutti.