Le scoperte e le intuizioni scientifiche, una volta conquistate, sono patrimonio dell’umanità, qualunque sia il loro ambito di afferenza e la nazionalità dei protagonisti. Tuttavia partecipare alla cerimonia di assegnazione del Premio Socrate, la cui finalità è il recupero e rilancio della meritocrazia intesa come valore, individuando ogni anno personalità affermatesi in ambiti diversi per meriti oggettivi e indiscutibili e sapere che il vincitore del Premio Socrate 2020 per la scrittura è uno dei più raffinati e rivoluzionari filosofi dell’Etica dell’Informazione, un romano di origine che racconta una fortunata storia di emigrazione italiana, suscita sentimenti di orgoglio patriottico.
È la storia affascinante di uno studioso, partito da Roma per scrivere una tesi di laurea poi concretizzatasi in una prestigiosa cattedra di Filosofia ed Etica dell’Informazione all’Università di Oxford, dove dirige il Digital Ethics Lab. Nel percorso, personale e scientifico, di Luciano Floridi, c’è la grande formazione umanistica della scuola e dell’università italiana, quel “liceo classico che insegna tutto” e quella facoltà di Filosofia della Sapienza che incoraggia non solo a porsi domande ma a cercare risposte, c’è Roma e il suo essere città storica, ci sono i luoghi di Cicerone, c’è il paesino dell’alta Ciociaria dove si consumavano le letture estive di un ragazzo desideroso di conoscenza, c’è la tesi a Oxford, i concorsi non superati in Italia, i Master prestigiosi, le consulenze per Google e Microsoft, le intuizioni scientifiche che trovano apertura e accoglienza nell’ambiente universitario anglosassone che apprezza, valorizza, proietta. Luciano Floridi è stato il primo filosofo a intuire le potenzialità delle nuove tecnologie e l’impatto che esse avrebbero prodotto sull’essere umano, traghettando l’umanità in una quarta rivoluzione, dopo quelle di Copernico, Darwin e Freud, di cui parla nel libro “La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo” per il quale è stato insignito del Premio Socrate. Luciano Floridi intercetta il cambiamento epocale e chiede alla filosofia, la più antica delle scienze, le risposte per affrontare con successo le sfide poste dal nuovo mondo digitale che ci circonda e che genera una pluralità di questioni da affrontare e chiarire. In questo secolo è più che mai necessario un aggiornamento della filosofia per rispondere alle questioni fondamentali che mutano insieme al mondo e all’umanità, dal concetto di identità che oggi si lega alla nuova dimensione virtuale, al concetto di privacy, che si sta erodendo ma esiste ed è costantemente presente quando si parla di Etica. Luciano Floridi esemplifica concetti difficili rendendoli comprensibili a tutti, conia neologismi per definire nuovi spazi per nuove dimensioni, dove ognuno deve muoversi. Il più noto è anche il più impietosamente vero: onlife, tutti oggi viviamo in una dimensione onlife, definizione che deriva dalla crasi tra online e offline di cui il prof. Floridi spiega le ragioni all’Osservatorio Roma e ad America Oggi.
Come si può definire oggi la filosofia nella sua dimensione contemporanea?
La filosofia ha tante definizioni e ognuno ne ha una preferita. Per me la filosofia è design concettuale. Noi facendo filosofia, siamo come persone che fanno design nel senso che cerchiamo di costruire una soluzione avendo identificato un problema, il problema è concettuale e la soluzione è magari una nuova idea, un quadro concettuale, una prospettiva inedita, una interpretazione che non avevamo, una comprensione migliore su un fenomeno che ci era sfuggita. L’idea di fondo è che oggi la filosofia debba tornare ad avere un ruolo di tipo costruttivo nella nostra società, il ruolo che ha sempre avuto seppur con alti e bassi, come una curva sinusoide che si muove nella storia. Quando va in alto è perché si occupa dei problemi filosofici, quando va in basso è perché si occupa dei problemi dei filosofi.
Qual è la differenza?
I problemi dei filosofi sono cose strane, un po’ oscure di cui parlano solo i filosofi tra di loro e su di loro, i problemi filosofici sono invece quelli pressanti che la società vorrebbe vedere risolti, per i quali vorremmo avere una risposta.
La filosofia oggi di cosa è chiamata a occuparsi?
La filosofia, come design concettuale, dovrebbe occuparsi soprattutto delle trasformazioni storicamente fondamentali comportate dal digitale. E’ strano avere una rivoluzione che avrà effetti enormi sulle generazioni future, che sta cambiando come spartiacque il passato dal futuro e pensare che la filosofia possa non occuparsene, come questione non importante. La filosofia ha sempre dato risposte importanti, con le trasformazioni della democrazia ad Atene, con il Cristianesimo e le trasformazioni religiose, con la rivoluzione industriale…quando ha avuto i suoi momenti importanti, è stato anche perché è stata portata fuori dalla sua stanza, dalla sua comoda torre d’avorio per dirci qualcosa su come stava andando il mondo e su come dovrebbe andare.
Qual è l’approccio filosofico che ognuno di noi, ogni giorno, dovrebbe avere affinchè la filosofia esca dalle sue stanze e permei l’essere umano?
E’ una domanda che potrebbe portarci lontano, ma i due punti fondamentali che mi preme sottolineare partono dalla considerazione che avere un approccio filosofico alla vita, significa saper essere critici, nel senso etimologico del termine, cioè saper giudicare ciò che accade per gestire le cose che ci circondano e non esserne gestiti. Un approccio filosofico critico che eserciti maggior giudizio sul come, quando e in che misura utilizzare tutte le opportunità che abbiamo soprattutto relativamente alla tecnologia, oggi sarebbe ancora più importante di quanto lo sia stato nel passato.
La filosofia è approfondimento e capacità di riflessione, propone soluzioni ragionate con pazienza, aspetti oggi messi in pericolo dall’uso superficiale che si fa dei social media, utilizzati in modo sovente con spirito opposto alla riflessione che caratterizza il pensiero filosofico. Si cancellano chat, si bannano profili e tutto quello che era stato detto e fatto all’improvviso non esiste più, anzi non è mai esistito. Come interpretarlo?
In un contesto in cui la comunicazione è malleabile, la certezza della stabilità del messaggio, intrinseca nel mondo analogico, è venuta meno. Una chat si può cancellare e riscrivere ma questo consente anche di migliorare il messaggio, di riscriverlo meglio, di scusarsi per aver detto una sciocchezza. Questo è l’aspetto positivo da considerare e valorizzare. La malleabilità del digitale non ha carattere momentaneo, non si può più tornare indietro, resterà per sempre con noi, è qualcosa verso cui non si devono attuare forme di resistenza, ma di indirizzo. Noi stiamo attraversando una fase di enorme ripensamento da quella che era una cultura della registrazione a una cultura della cancellazione. Fino all’altro ieri, nel mondo analogico, avevamo la difficoltà di capire cosa salvare, registrare o incidere, sul marmo, sul vinile o sulla carta, per conservare ed evitare che tutto si perdesse. Oggi è il contrario, tutto si registra, tutto può essere disponibile e quindi noi scegliamo ciò che vogliamo togliere, cancellare, riscrivere. Abbiamo avuto momenti drammatici in cui la registrazione di un passato ha comportato molti problemi. Quello della memoria può diventare un problema nei casi in cui questa dovrebbe essere messa in archivio per poter ricominciare. I problemi dell’intolleranza o etnici sono legati anche alla memoria, al fatto che le persone non dimenticano, costantemente ritornano sui dolori, gli abusi, le violenze, per cui ogni tanto un momento di chiusura è necessario e non vuol dire dimenticare ma spostare sul passato.
Questo non comporta rischi sulla identità?
Una cultura rigida in cui quello che è fatto e scritto è immutabile, da un lato dà molta solidità alla identità, dall’altro la rende completamente ingessata. Se io volessi cambiare idea, se domani volessi essere qualcun altro, il mio essere un libro ancora da scrivere, un work in progress, possibile che tutto debba essere ogni volta incementato e nulla possa essere modificato? Anche dal punto di vista giuridico, una volta commesso il crimine e scontata la pena, si ricomincia, si può riaprire. Un bilanciamento da trovare è tra il valore della solennità del registrato, che rappresenta il valore della memoria, ci dà certezza e ci àncora, e il valore della flessibilità e dell’apertura, in modo che se si è sbagliato, si può ricominciare, se qualcosa non va bene, si può migliorare. Questo è il momento giusto per trovare un equilibrio perché tra un po’ la trasmigrazione sarà completata e allora sarà difficile riaggiustare le cose sulle fondamenta in cemento armato.
Lei è il teorico dell’onlife. Come può essere definito questo concetto?
L’ onlife serve a toglierci da un dualismo, da una dicotomia che può confondere. O si è online o si è offline, o si è collegati o non lo si è. Oggi non è più così. Basta entrare in una cucina, dove molte cose sono già digitali, dall’orologio digitale del forno a microonde ad Alexa, al telefonino che squilla in cucina, dove ho guardato su Google la ricetta che sto cucinando. La cucina è online o è offline? La domanda è sbagliata, perché non è né l’una né l’altra, è onlife. E’ come quando il fiume, acqua dolce, incontra il mare, acqua salata. Quando si incontrano, l’acqua è dolce o salata? Domanda sbagliata, si chiama salmastra, perché è un po’ dolce e un po’ salata.
L’ onlife è quindi una condizione continua?
Si, perché oggi la vita delle persone è costantemente onlife, e sempre più persone vivono onlife.
Con quanta consapevolezza?
Dovremmo attraversare la vita che stiamo vivendo in maniera consapevole e critica. Ci piace questo tipo di onlife o ci piacerebbe un onlife diverso? Lo possiamo migliorare? Una volta non era considerata buona educazione guardare la Tv a cena. Oggi tutti guardiamo i nostri telefoni. Se decidessimo di non farlo, almeno a cena, sarebbe cosa buona.
L’invito è a vivere la nostra dimensione onlife, ormai ineludibile, in maniera consapevole?
Sana e consapevole. Noi viviamo in una società opulenta dal punto di vista informativo, alcuni la vivono con sofferenza e difficoltà, lamentandosi del troppo, altri invece la vedono come opportunità. Internet è una grande opportunità che va usata bene. Se la usiamo male, con chi ce la dobbiamo prendere, con la tecnologia o con noi stessi? Su Internet si può scegliere cosa guardare, ci sono corsi delle migliori università del mondo da seguire per imparare, del tutto gratuiti, ci sono musei, offerte culturali e artistiche. La filosofia ci insegna un po’ di intelligenza critica, un po’ di consapevolezza storica che rappresenta l’ abc di come vogliamo transitare dall’analogico al digitale. Se lo facciamo bene, avremo una generazione futura decente, se lo facciamo male, sarà anche colpa nostra che non la avremo aiutata.
Come si costruisce la società del domani?
Una società buona si costruisce dall’oggi, non si aspetta che avvenga domani, oggi si può fare tanto. La motivazione a farlo diventa davvero di tipo morale.
La sua cultura umanistica, formatasi a Roma, si è perfezionata all’estero. L’impostazione anglosassone cosa ha aggiunto?
Ha aggiunto una componente scientifica che non ero riuscito ad acquisire nel contesto culturale italiano, rendendomi un umanista più completo che apprezza la matematica, l’ingegneria, la fisica, la biochimica, la neuroscienza. Mi ha reso meno incompleto, aggiungendo un paio di cose sane, un senso buono della competizione, con regole del fair play, dove la competizione mi rende migliore perché il competitor mi stimola, nel rispetto delle regole che servono non per frustrare ma per migliorare
La nostra formazione umanistica come viene accolta all’estero?
Viene vista con grande interesse, anche se viene apprezzata molto la preparazione scientifica che viene fatta bene in Italia, ingegneri, fisici, biologi e matematici sono molto apprezzati. La nostra cultura umanistica è un po’ troppo provinciale e campanilistica. E’ arrivato il tempo di aprire le stanze, con un atteggiamento attivo nei confronti di Internet e delle nuove tecnologie, che abbiano sempre l’uomo al centro, di cui noi dobbiamo essere in controllo per non essere controllati, con un approccio critico per un futuro da costruire oggi.