L’anno rodariano indetto per ricordare Gianni Rodari nel centenario della nascita, nel cinquantenario del Premio Anderson e nel quarantennale della scomparsa è in corso di svolgimento in una realtà inimmaginata e inimmaginabile, dove non si va a scuola ma le maestre sbucano da una strana macchina che non è quella “per fare i compiti che un ometto buffo, alto poco più di due fiammiferi, vende al babbo prendendo in cambio il cervello del suo bambino”, dove i nonni si vedono solo per telefono e ogni sera raccontano una favola, breve, perché altrimenti la connessione cade, e i gatti, nel silenzio della città deserta “si radunano sui tetti a far concerto”, e i “ranocchi di Villa Sciarra vivono su una foglia tra cucina, salone e stanza”. Uno scenario surreale che rientra nei progetti più bizzarri della fantasia, protagonista assoluta delle pagine incantevoli e incantate di Gianni Rodari che conducono tutti in Via dell’Immaginazione, indirizzo presente in ogni città e paese, dove si arriva facilmente salendo sul trenino della fantasia o sul Filobus numero 75, per vivere una fiaba, “luogo di tutte le ipotesi”. Roma ha adottato lo scrittore piemontese e oggi lo celebra nella sua completezza di raffinato intellettuale, precursore di un tempo intelligente in cui l’infanzia ha sempre un suo perché e i bambini un mondo fantastico da raccontare. Il Festival delle Letterature 2020 è dedicato a Rodari, l’Istituzione Biblioteche di Roma organizza manifestazioni, mostre ma soprattutto letture delle sue opere ad alta voce, per leggere, rileggere e far leggere le pagine straordinarie di un Maestro a tutti caro.
Per capire quanto e perché ci manca Gianni Rodari, Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Vanessa Roghi, scrittrice e storica del nostro tempo, componente del Comitato Rodari delle Biblioteche di Roma e biografa di Gianni Rodari.
Perché Gianni Rodari ha un posto speciale nel cuore di chi lo conosce?
Perché negli anni del dopoguerra è stato il più bravo di tutti a reiventare la letteratura per l’infanzia destinata a bambini che erano molto diversi da quelli vissuti prima della guerra e cresciuti con i grandi classici della nostra letteratura che, pur rimanendo tali, non rispecchiavano più l’infanzia che cambiava insieme all’Italia. Rodari è riuscito a cogliere le trasformazioni dei bambini, parlando con loro e raccontando cose che a loro interessavano. Ha saputo guardare il futuro con ottimismo, appassionandosi di esplorazioni nello spazio quando negli anni ’50, la fantascienza e tutto il mondo a essa collegato era vista ancora con spavento. I bambini lo hanno sempre molto amato anche per questa sua capacità di guardare alle nuove scoperte con ottimismo e speranza.
Come racconterebbe Gianni Rodari a chi ne ha curiosità ma non lo conosce ancora?
Lo racconterei leggendo le sue Filastrocche, perché ce ne sono davvero per tutti i gusti, dalle più allegre a quelle più pensose che raccontano storie più complesse. Il modo migliore per conoscere Gianni Rodari è leggerlo e rileggerlo.
Vedo, vedo, vedo…è l’incipit delle sue storie ma anche il modo in cui sollecitava la fantasia dei bambini. Cosa vedeva Gianni Rodari che gli altri non sapevano vedere?
Vedo, vedo, vedo era il gioco che faceva molto spesso con i bambini per coltivare l’idea di prendere una parola, buttarla come un sasso nello stagno e da lì inventare una storia. La parola scelta a caso serviva per vedere cosa smuoveva nell’immaginazione e nella fantasia dei bambini, con i quali creava insieme le sue storie. Oggi continuiamo ad amarlo proprio per questo, perché il vedo, vedo, vedo che abbiamo di fronte a noi cambia continuamente,se un tempo era un telefono su cui inventare le “Favole al telefono” o le “Novelle fatte a macchina”, oggi ci sono le favole al telefonino o su whatsapp che apprezzerebbe allo stesso modo.
Gianni Rodari e l’attenzione alla parola, insegnata ai bambini, come esercizio di libertà. Insegnare a osservare il mondo e a raccontarlo con il loro punto di vista, è stata una svolta pedagogica epocale?
Sicuramente, perché per Rodari al centro sta la parola, foriera di storie. Ogni singola parola scatena reazioni che ci portano ad aprire mondi sconosciuti. La parola è al centro della sua idea veramente democratica di educazione. Era convinto che ogni singola parola deve essere conosciuta dai bambini attraverso tutti i suoi usi “tutti gli usi della parola a tutti, non perché tutti siano artisti ma perché nessuno sia schiavo”. Credeva fortemente nella necessità di conoscere le parole, di giocare con le parole del dizionario, non a caso scrive un’opera teatrale “La storia di tutte le storie” in cui ad un certo punto i protagonisti si trovano in un luogo in cui un cattivo ruba tutte le parole e le rivende e una delle protagoniste dice di voler comprare un vocabolario per riprenderle tutte. Ma per Rodari non esiste una proprietà delle parole, che sono di tutti e tutti devono impossessarsi del loro corretto significato.
Quanto è stato rivoluzionario aver posto il bambino al centro dell’attenzione e dell’ascolto dandogli voce per esprimere il mondo visto con i suoi occhi?
Moltissimo, perché la cultura a cui apparteneva tendeva a considerare l’infanzia solo una fase transitoria dell’essere umano che tendeva all’età adulta. Anche nel libro Cuore, il grande classico della letteratura per l’infanzia, l’educazione è pensata affinchè i bambini si preparino a essere un certo tipo di adulti, con un forte impegno etico e morale. Rodari invece si interessa all’infanzia per l’infanzia, ed è tra i primi a trasporre le prime teorie psicologiche degli anni ’50 nella letteratura per l’infanzia che era ancora fortemente moralista e pedagogica. Rodari fa del gioco la chiave per entrare in relazione con l’infanzia e lo fa in un modo completamente nuovo, rivoluzionario per l’Italia di quegli anni.
Qual è stato il suo segreto?
L’idea che attraverso il gioco si potesse cambiare il mondo. Rodari ha tradotto questa idea in un linguaggio comprensibile a tutti, considerando per la prima volta l’errore un momento creativo e non qualcosa da punire. Nel 1964 scrive “Il libro degli errori”, ponendo la sfida che i bambini possano cominciare a imparare ridendo e non piangendo, nella convinzione che si può insegnare ridendo quello che si impara piangendo, “ perché se potessimo utilizzare le lacrime dei bambini puniti per l’errore, potremmo far girare i mulini elettrici di tutto il mondo…ma non sarebbe un’energia troppo costosa?”
“Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio la Torre di Pisa”. L’uomo che ha dato dignità all’errore, nobilitandolo, ha insegnato a tutti che si può vivere bene anche se si è apparentemente sbagliati. E’ questo il suo lascito più alto?
Sicuramente, il suo lascito più alto consiste nel non lasciare indietro nessuno e nell’aver guardato e insegnato a guardare l’infanzia con uno sguardo assolutamente diverso. Rodari amava molto il libro Cuore che da bambino aveva letto e riletto versando lacrime cocenti sulle sue pagine. Eppure non apprezzava nell’autore De Amicis l’aver immaginato un personaggio come Franti, il ragazzo cattivo, perché per lui nessun bambino è davvero cattivo e tutti possono sempre essere aiutati a migliorare. Il personaggio inventato da De Amicis è un’ipoteca che tutti ci portiamo dietro, l’immagine del ragazzo cattivo e irrimediabile. Rodari a un certo punto scrive “ mia figlia oggi ha imparato a scrivere la parola cattivo e l’ha scritta con una t sola e io penso che in questo ci sia una grande verità, perché nessun bambino può essere mai veramente cattivo, ma forse appena un po’ cativo”.
Tutte le opere di Gianni Rodari raccontano i bambini e svelano un mondo. E’ complicato scegliere le più significative?
Tutte da leggere, naturalmente. “Le filastrocche in cielo e terra”, raccolta di filastrocche scritte negli anni, è il primo libro pubblicato con Einaudi nel 1960 che sarà da allora la sua casa editrice, ed è un libro che tutti i bambini italiani avevano nelle loro case in quegli anni ma che sono senza tempo perché anche oggi conservano grande attualità.” Le favole al telefono”, scritte nel 1962 immaginando che un papà di Varese, rappresentante di commercio, sempre in giro per lavoro, ogni sera leggeva una favola al telefono alla sua bambina, una favola brevissima perchè allora il telefono si pagava a minuti. La lettura di queste favole si presta e si adatta perfettamente ai tempi che viviamo come momento di relazione. Molti attori le stanno leggendo e raccontando sui social per far compagnia a bambini rimasti senza scuola. Ne “Il libro degli errori” Rodari, nella prefazione, si rivolge ai genitori dicendo che se i bambini fanno errori blu, gli errori rossi li facciamo noi, invitando tutti a ragionare su questo e a riderne insieme, perché per i bambini niente è più importante che ridere con gli adulti accanto. E poi “La torta in cielo”, una storia lunga scritta con i bambini di un quartiere popolare di Roma che con sorpresa scoprono che l’oggetto volante misterioso che si avvicina in cielo è una torta e non un disco volante che sta per attaccare la terra, come invece gli adulti e le forze dell’ordine temevano. Il suo capolavoro è indubbiamente “La grammatica della fantasia”, l’unico libro teorico, un compendio del suo pensiero destinato, nelle intenzioni dell’autore, a essere leggibile da tutti ma anche inteso come strumento di lavoro per tutti quelli che si relazionano con i bambini, genitori e insegnanti, nato dopo un corso di formazione tenuto a Reggio Emilia su invito di Loris Malaguzzi, il pedagogista che ha dato vita al modello di scuola Reggio Children molto diffuso e apprezzato ancora oggi in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti.
Gianni Rodari è stato l’unico scrittore italiano a essere insignito del prestigioso Premio Anderson, di cui ricorre il cinquantennale in questi giorni. Cosa ha significato?
Il Premio Andersen è il Nobel della letteratura per l’infanzia, conferito a Rodari il 6 aprile 1970. Il suo discorso di accettazione del premio comprende tutta la filosofia di Rodari sulla necessità del gioco e sulla bellezza dell’immaginazione che è alla base anche della scienza. “Pensate a Isac Newton che stava lì, sotto un albero e a un certo punto gli cade una mela in testa. Chiunque di noi si sarebbe spostato dicendo due paroline non troppo eleganti. Newton invece ha iniziato a farsi domande e a immaginare perché la mela gli sia caduta in testa. Senza immaginazione non c’è neanche la scienza”. Educare all’immaginazione è fondamentale. Il premio Anderson ha portato Gianni Rodari nel Pantheon mondiale degli scrittori per l’infanzia, ed è ancora oggi un autore tradotto in tutto il mondo.
Gianni Rodari è morto il 14 aprile di 40 anni fa, contemporaneamente al grande filosofo Jean Paul Sartre. I quotidiani dell’epoca piangevano due intellettuali, apparentemente distanti, ma in realtà in dialogo tra loro. In cosa?
L’immaginazione li unisce. Nella Grammatica della fantasia, Rodari cita Sartre per l’attenzione rivolta all’immaginazione come strumento conoscitivo. Entrambi si sono soffermati sul significato dell’utopia nella vita delle persone, Rodari scrittore per l’infanzia e Sartre l’intellettuale più famoso del Novecento. La morte di Sartre sembrò oscurare in Italia la scomparsa di Rodari, ma oggi a distanza di 40 anni, si celebra il ricordo di Rodari con molta più intensità ed è un dato che registriamo.
Gianni Rodari ha trasformato il perimetro dell’inventiva, insegnando che nella vita si può sempre salire sul trenino della fantasia e andare a scuola o in ufficio con il Filobus N. 75. Sta in questo la sua grandezza?
Indubbiamente, anzi a scuola e in ufficio qualche volta si poteva anche non andare. Rodari ha insegnato ai bambini l’importanza dell’impegno e della coerenza, ma ogni tanto si concedeva anche la possibilità di scartare la normalità, come il filobus N. 75 che un giorno di primavera, anziché portare tutti dove ciascuno deve andare, li porta tutti al mare.
Bruno Munari è lo straordinario disegnatore che ha tradotto in immagini il mondo incantato raccontato da Rodari. Quanto importante è stata la loro sinergia?
E’ stato un rapporto fondamentale. Quando Rodari inizia a scrivere, Munari era già molto noto perché aveva creato le macchine inutili, riconosciute dal mondo dell’arte come qualcosa di geniale. Einaudi, editore di entrambi, ha l’intuizione di mettere l’uno accanto all’altro e insieme perseguono la strada della leggerezza, togliendo il peso agli oggetti, alle parole, al segno grafico. Munari illustra le filastrocche con finti scarabocchi, creando un mondo immaginario completamente nuovo che può essere assolutamente replicabile. Munari impara da Rodari la tecnica dello straniamento, che consiste nel guardare qualcosa che si è sempre vista, con occhi assolutamente nuovi, un’arancia o un altro frutto per esempio, descrivendolo come oggetto di design, come se lo si vedesse per la prima volta, come “la mucca che ha quattro lati, confina a nord con le corna e a sud con gli zoccoli”. E’ un esercizio fantastico che oggi potrebbe essere molto utile ai nostri bambini in isolamento. Rodari e Munari è un binomio fantastico, che il Comitato Rodari, istituito da Biblioteche di Roma, celebra con la mostra ”Tra Munari e Rodari” al Palazzo delle Esposizioni e che farà tappa anche nelle Biblioteche.
“La lezione di fantastica. Storia di Gianni Rodari”, di prossima uscita per le edizioni Laterza di cui lei è autrice, che Gianni Rodari racconta?
Racconta la vita di Gianni Rodari inserita nella storia d’Italia, dagli anni ’30 alla sua morte. E’ una ricerca storica che racconta Rodari nella sua interezza, come scrittore per bambini, ma anche giornalista, intellettuale militante nelle Associazioni di genitori, come autore del Corriere dei Piccoli, la rivista più diffusa tra i bambini negli anni ’60. E’ il racconto di una grande figura di intellettuale italiano.
Gianni Rodari ci ha insegnato che la vita di ognuno può essere una favola, anche se a rovescio?
Si assolutamente, Rodari ci è necessario oggi proprio perchè ci insegna a trovare spunto anche in un mondo a rovescio come quello che stiamo vivendo e nel quale possiamo comunque trovare alternative di gioia e speranza.