Roma supera l’eccezionalità delle mostre visitabili solo virtualmente nel palinsesto digitale che la sua rete museale, durante il lockdown, ha offerto con la campagna #LaCulturaincasa e riapre alla godibilità delle visite in presenza, nei luoghi della cultura, seppur contingentate e in applicazione delle indicazioni di sicurezza sanitaria.
I Musei Capitolini, in piazza del Campidoglio, il più antico museo pubblico del mondo, nato nel 1471 per accogliere la donazione di un gruppo di statue bronzee che Papa Sisto IV fece al popolo romano, sono la prestigiosa sede ospitante di una mostra dedicata al Caravaggio e ai caravaggeschi visitabile fino al 13 settembre. “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi”, è il titolo dell’esposizione allestita con le opere del Caravaggio e della cerchia dei pittori dei quali Michelangelo Merisi detto il Caravaggio fu inconsapevole maestro, “raccolte”, per sua definizione, da Roberto Longhi, che attenzionò quello che era allora uno dei pittori meno conosciuti dell’arte italiana. La mostra è un’occasione preziosa per approfondire il profilo scientifico e umano dello studioso di arte antica che ha fatto scoprire agli Italiani la grandezza di Caravaggio, oggi universalmente considerato icona della pittura di tutti i tempi.
Le opere esposte raccontano Roberto Longhi, lo storico dell’arte più importante e innovativo del secolo scorso, nel cinquantennale della scomparsa, il suo rapporto con Roma, lungo e intenso e il Caravaggio e i caravaggeschi, la portata rivoluzionaria del genio del chiaroscuro, la sua rivoluzione figurativa, la straordinaria modernità del pittore nato a Milano nel 1571 e trasferitosi a Roma a 20 anni, nella città che Longhi definiva “mirabile teatro caravaggesco”. Al Caravaggio e ai caravaggeschi, Roberto Longhi ha dedicato la sua vita di studioso, portando il pubblico a
“leggere naturalmente un pittore che ha cercato di essere naturale, comprensibile, umano più che umanistico e quindi popolare”.
E il Caravaggio esprime l’innovazione di una pittura che ritrae personaggi popolari, accompagnati da elementi vegetali, tratti da una realtà riprodotta esattamente per come essa è, dura e a volte cruda.
Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Maria Vittoria Marini Clarelli Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali, Maria Cristina Bandera, curatrice della mostra e Direttore scientifico della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi e Luca Bergamo, vicesindaco e assessore alla Crescita Culturale che ha promosso l’esposizione.
Maria Vittoria Marini Clarelli
Sovrintendente, in cosa consiste la romanità della mostra?
La mostra collega Roberto Longhi a Roma, città con la quale ebbe un rapporto lungo, intenso e non facile, perché questo grande storico dell’arte arriva nella capitale nel 1910 per conoscerne il patrimonio artistico e per preparare la sua tesi di laurea sul Caravaggio. Torna a Roma per frequentare la scuola di specializzazione, insegna la sua materia nei licei Tasso e Visconti, ma per tutta la sua carriera Caravaggio e i Caravaggeschi saranno un tema che riporta a Roma. Per celebrare i 50 anni dalla sua scomparsa, abbiamo pensato che questa scelta della sua collezione fosse la più appropriata.
La mostra cosa racconta?
La mostra riguarda la pittura che gravita attorno al Caravaggio, così come Longhi la collezionò, con la sua straordinaria capacità di guardare le opere d’arte e di sistematizzarne il ricordo entro una trama fitta di rimandi fra persone, tempi e luoghi. Rappresenta gli “antecedenti” e la cerchia dei caravaggeschi, come Lorenzo Lotto e Valentin de Boulogne, Battistello Caracciolo e Mattia Preti ma si apre anche ad artisti attivi prevalentemente al Nord.
La solennità della sede espositiva cosa aggiunge?
I Musei Capitolini sono un luogo speciale e ospitano anche due capolavori di Caravaggio, la Buona Ventura e Il San Giovanni. Indubbiamente il luogo più adatto per esporre queste opere.
“Il ragazzo morso da un ramarro” è l’opera di Caravaggio più importante esposta nella mostra. Cosa rappresenta?
Conosciamo due esemplari de “Il ragazzo morso da un ramarro”, uno custodito presso la National Gallery di Londra e quello esposto della Fondazione Roberto Longhi. Il soggetto è molto speciale, è un ragazzo che avvicinando le mani alla frutta viene morso da un lucertolone, viene colto nello scatto di sorpresa e di dolore, con il viso che fa una smorfia ma c’è anche la straordinaria bellezza di un vaso trasparente che riflette la luce circostante in primo piano. E’ talmente speciale questo ritratto che Roberto Longhi nel 1928 fa di tutto per poterlo acquistare, cogliendone la particolarità, in un momento in cui Caravaggio era uno di quei pittori sulle cui capacità anatomiche c’erano dubbi da parte degli specialisti. Quando nel 1951 Longhi organizza la mostra del Caravaggio a Milano, in Palazzo Reale, perfino Bernard Berenson, il grande critico americano, mette in dubbio, in un librettino, la qualità di questo artista chiedendosi se fosse davvero così grande come tutti dicevano. Quella mostra, rimasta nella storia, ebbe un successo travolgente, avvicinando al Caravaggio 500.000 visitatori e anche la vox populi dette ragione a Longhi.
La Roma culturale riparte oggi con questa mostra. C’è un’emozione particolare?
I Musei di Roma hanno riaperto al pubblico dal 19 maggio ma la prima conferenza stampa di presentazione dell’importante mostra sul tempo di Caravaggio e i caravaggeschi, suscita una particolare emozione. Roma riparte dalla grande arte in mostra.
Maria Cristina Bandera
Direttore, quanto è importante per la Fondazione Roberto Longhi aver organizzato questa mostra che esordisce a Roma, in una sede particolarmente prestigiosa?
La mostra, che ricorda Roberto Longhi a 50 anni dalla scomparsa, incentrata su Caravaggio e i caravaggeschi, con opere che non sono solo della sua raccolta ma rappresentano il riflesso tangibile e concreto dei suoi studi sul Caravaggio e su questa città definita da Longhi “mirabile teatro caravaggesco”, non poteva che esordire a Roma. I Musei Capitolini, cuore pulsante della città e sede ospitante della mostra, aggiungono una valenza ancora più importante. La mostra è un modo per sottolineare l’importanza di Roberto Longhi come storico dell’arte, l’importanza della sua collezione e della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte, come lui stesso ha voluto intitolarla, da lui istituita e a cui ha lasciato in eredità tutti i suoi beni, dalla villa di Firenze Il Tasso, dove ha sede la Fondazione alla preziosa collezione di opere d’arte, i libri e la fototeca a vantaggio delle giovani generazioni, per far proseguire gli studi della storia dell’arte, sulla scia del suo metodo di studio e di lavoro, attraverso l’indagine condotta direttamente sulle opere.
La mostra sarà itinerante?
Si, le prossime tappe saranno Cannes e Varsavia, per far seguitare il pensiero di Longhi, la sua collezione e l’arte italiana che necessita di incontri europei.
La mostra racconta Roberto Longhi ma racconta anche Roma?
La mostra racconta soprattutto Roma con lo spaccato romano di Caravaggio e dei pittori italiani e stranieri che ne subirono il fascino.
Quante opere sono esposte nella mostra?
45 opere provenienti dalla collezione di Roberto Longhi che ne comprende più di 200. Longhi è stato uno studioso di arte antica dei maestri di tutte le epoche, che spaziano nei secoli fino ad arrivare a Morandi, maestri che furono per lui occasione di ricerca e studio. Il nucleo più rilevante e significativo è quello che comprende le opere del Caravaggio e dei suoi seguaci, formatosi attorno al “Ragazzo morso da un ramarro” da lui acquistato nel 1928. Il dipinto, che vanta un ampio successo espositivo, rivela la modernità del gusto interpretativo e collezionistico di Longhi che realizzò un disegno a carboncino della sola figura del fanciullo morso da ramarro, su cui appose firma e data, nel 1930 e che dimostra anche l’abilità di disegnatore di Longhi. La sua è da intendersi come una raccolta, basata sul suo “istinto raccoglitore” e non una mera collezione di opere.
Luca Bergamo
Vicesindaco, cosa significa questa mostra per Roma?
E’ una nuova mostra che apre dopo il lockdown, molto affascinante nel suo contenuto, come affascinante è la vicenda di Caravaggio e del mondo che si è costruito intorno alla sua capacità di leggere e raccontare ciò che vedeva in modo totalmente diverso rispetto al mainstream in cui si inseriva il suo agire. La mostra, oltre alla bellezza delle opere di cui ci consente di godere, offre anche un importante spunto di riflessione.
La solennità dei Musei Capitolini come sede ospitante cosa aggiunge?
In questi anni abbiamo portato nei luoghi istituzionali iniziative varie e a volte controverse, per far si che la nostra città sia conosciuta non solo perchè amministra l’eredità culturale che le deriva dalla sua grande storia, ma come soggetto che produce cultura. I Musei Capitolini sono una istituzione museale fondamentale. La mostra è su Roberto Longhi, un personaggio che ha combattuto, nella sua epoca, contro l’establishment romano cercando di raccontare il suo tempo con uno sguardo diverso e innovativo. Se i luoghi istituzionali sono sempre più aperti ad accogliere anche personaggi controversi, è un fatto simbolicamente importante.
E’ una mostra che sembra piacere particolarmente a Luca Bergamo
Mi piace l’impostazione di pensiero e le parole di Longhi che aprono il percorso espositivo “Dopo il Caravaggio, i caravaggeschi, la cerchia non la scuola, dato che il Caravaggio suggerì un atteggiamento, provocò un consenso in altri spiriti liberi e come non aveva avuto maestri, non ebbe scolari”, perché trovo che questo atteggiamento culturale sia molto entusiasmante, tipico di chi con il suo modo di pensare ha aiutato a cambiare la percezione del mondo, senza pretendere che gli altri la pensino allo stesso modo.