La XV edizione della Festa internazionale del Cinema di Roma che si è svolta dal 15 al 25 ottobre è stata animata da un film che ha consacrato Francesco Totti simbolo contemporaneo della città e della sua squadra. “Mi chiamo Francesco Totti” è il titolo che trae spunto dalla traccia di un tema assegnatogli sui banchi di scuola “e sono il Capitano della Roma” è la definizione che un Totti ormai maturo aggiunge al suo nome e cognome. È la storia incredibile di Francesco che costruisce la sua Tottità non solo nel calcio e nel mondo che gli ruota intorno, ma nell’appartenenza a una città e a una romanità nel cui ambito la Tottità si forma. Tutta la sua storia parla di Roma, prima ancora che della Roma. Francesco Totti è la voce narrante, è il bambino che pronuncia “palla” come prima parola, che tira un calcio a un pallone per buttare giù le paperelle nel cortile della scuola elementare e sente che il suo tiro è diverso, più forte e preciso di quello degli altri, è il ragazzino che dorme in camera con il suo mito, il Capitano Giannini e trattiene il respiro per non disturbarlo, è l’uomo goal che cambia le partite, in maglia giallorossa e in maglia azzurra, è il figlio che cerca in tribuna lo sguardo dei genitori, l’amico dalle amicizie che durano per tutta la vita, l’uomo innamorato, il padre felice, il calciatore simbolo di una squadra inspiegabilmente stoppato da un personaggio antagonista.
Il film non è un’agiografia di Francesco Totti, ma una storia vera che ha un protagonista, Francesco, un antagonista, l’allenatore Spalletti, un’eroina, la moglie Ilary e una coprotagonista, Roma. 619 partite giocate nella Roma, 58 in Nazionale, 271 goal hanno costruito la leggenda Totti, sottolineata dagli applausi anche delle tifoserie avversarie, che sanno di stupore e meraviglia, come quello a scena aperta dei tifosi sampdoriani che accoglie l’incredibile goal segnato al volo da posizione laterale al limite dell’area nello stadio Luigi Ferraris di Genova in una partita, Sampdoria- Roma, rimasta nella storia solo per quella manifestazione di straordinaria Tottità. E quando un calciatore indossa una maglia che rimane la stessa per tutta la carriera, il talento si fa dono per una città e la sua squadra. Il Real Madrid lo tenta, lo vuole, gli spalanca le porte per prestigiosi trofei internazionali e per ingaggi straordinari. Francesco ci pensa, ma mentre sposa la sua Ilary e scende le scale della Basilica dell’Ara Coeli e vede il popolo giallorosso che riempie la piazza per festeggiare il giorno speciale del suo Capitano, il dubbio trova la sua risoluzione “Ma come faccio a andà via da Roma? E’ impensabile, impossibile. Io so’ di Roma e basta”.
Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Alex Infascelli, regista del film e raffinato narratore di una storia che trascina tutti, tifosi e non, nel libro di ricordi, immagini, emozioni e dolori di Francesco Totti, l’uomo e il calciatore che è già nella storia, non solo calcistica, di Roma.
Un film che racconta la storia incredibile di Francesco che costruisce la sua Tottità nella romanità e che non poteva avere un titolo diverso?
L’idea del titolo viene da un’immagine di Francesco da bambino che svolge un tema in classe, scrive nome e cognome e comincia a raccontarsi. Mi chiamo Francesco Totti è un incipit. Lo svolgimento lo racconta il film.
“Mi chiamo Francesco Totti e sono il Capitano della Roma”. Ma Roma invece cosa rappresenta per Francesco?
Roma è Francesco e Francesco è Roma, è difficile definire una linea di separazione. Roma è il luogo in cui comincia a giocare a pallone, la prima piazza, il primo campo dove muove la palla. Il quartiere San Giovanni, dove Francesco nasce, è il suo primo stadio, il cortile della scuola elementare Manzoni, il campetto vicino casa, ogni strada era buona per giocare, le serrande dei negozi abbassate erano porte da calcio fantastiche, dalle quali lui e i suoi compagni venivano regolarmente cacciati per il rumore che il pallone provocava sbattendo contro le serrande di ferro all’ora della siesta nei pomeriggi romani. Roma è il primo stadio Olimpico di Francesco.
Cosa è rimasto di quei momenti quando Francesco diventa simbolo di Tottità?
Quel calcio giocato per strada Francesco lo porta anche nella sua carriera calcistica da professionista. Roma rimane nel calcio di Francesco che è un calcio totalmente romano, giocato nei cortili, negli oratori delle chiese, nelle piazze e che per lui rimane un gioco, prima di essere uno sport, il fantastico gioco del calcio.
“Il rumore del pallone era diverso, calciavo forte e preciso”. La storia di Totti parte dal cortile della scuola elementare Manzoni tirando calci a un pallone per far cadere le paperelle. Sembra incredibile ma davvero è così?
Assolutamente si, era un gioco al bersaglio, le paperelle di gomma, che ogni giocatore doveva colpire con il pallone, con precisione e coordinazione per farle cadere, che Francesco aveva inventato con i suoi compagni e che rappresenta il big bang del suo gioco. Nel film dice “il mio stile di gioco è sempre lo stesso, far divertire il pubblico”, la dimensione ludica con cui giocava nel cortile della scuola è il tema portante del calcio di Francesco e del modo in cui è sempre sceso in campo.
“Facevo cose difficili che mi riuscivano”. Quanto ha contato l’umiltà, pur nella consapevolezza di sapere quanto valesse, in Totti?
Francesco ha sempre considerato il suo talento un dono del destino ed è a questo destino che ha sempre cercato di intonarsi negli anni, con grande impegno e senso del dovere. L’umiltà è la sua dimensione reale che si percepisce nella quotidianità di Francesco, è un dato assoluto del suo modo di stare al mondo. I suoi amici, a parte rare eccezioni, sono gli stessi di quando era piccolo, la sua famiglia, soprattutto il padre, non lo ha mai adulato pur assecondandolo in ogni scelta, le persone di cui si circonda sono quelle interessate alla sua persona e non al personaggio. La moglie Ilary è uno dei suoi critici più attenti e ascoltato.
Come regista, la sua intenzione di narratore era quella di realizzare un film, un docufilm, un diario di campo?
“Mi chiamo Francesco” è un film costruito in tre atti, con un eroe, Francesco, un antagonista, Spalletti, un’eroina, Ilary. È il racconto semplice di una storia incredibile, pensato come un film, lavorato come un film e accolto da Francesco come un film.
Il film racconta in filigrana anche la centralità del rapporto con il padre Enzo, lo Sceriffo che viene improvvisamente a mancare nei giorni in cui esce il film. Una sorta di ultima scena tragica ed epica.
Ogni regista cerca nelle storie un pezzo di sé, percorrendo una strada che gli consenta di arrivare da qualche parte con la propria storia. Io, orfano di padre e figlio unico, ero molto affascinato dalla grande famiglia che circonda Francesco, dal padre in modo particolare. Enzo è una figura quasi mitica, mai adulatore del figlio ma sempre presente nella vita, anche professionale, di Francesco. A Trigoria, dove si allena la Roma, è leggendaria l’apparizione di Enzo a ogni compleanno, non solo quello del figlio, con interminabili teglie di pizza con la mortadella, fatte preparare da un forno di fiducia, il cui ricordo si tramanda da giocatore a giocatore, tutti quelli che si sono succeduti nel tempo. E’ stato sicuramente un modo che Enzo ha trovato per far sentire a Francesco la sua presenza. Il film si apre con le immagini tratte da un filmino Super8, con Enzo che gioca sulla spiaggia con Francesco, che ancora non si regge in piedi, mentre prova a dare i primi calci al pallone. Enzo ha probabilmente avvertito che Francesco, un bambino timido, fragile e impaurito, aveva bisogno di un padre che non fosse troppo amico, ma fosse una sorta di ostacolo dolce, facilmente superabile, che allenasse la coscienza di Francesco. Enzo si è incaricato di essere l’entità opponente all’anima di Francesco, un bambino timido e introverso ma che aveva già da subito evidenziato i connotati speciali che lo caratterizzano.
“Mamma mia quant’è bella Roma”, dice Francesco nel film restituendo un senso di appartenenza totale a una città amata ma poco vissuta. Una passeggiata per Roma è quasi impossibile
Francesco a 17 anni non poteva già più uscire di casa perché assediato dai tifosi. Non ha avuto la possibilità di costruire la propria geografia della sua città in un’età in cui invece è fondamentale farlo. Francesco ha sempre sofferto la tristezza di non poter vivere Roma camminandoci in mezzo. Il suo sogno era quello di essere invisibile per poterlo fare. Curiosamente proprio in questo tempo di Covid, quando il lockdown si è allentato, protetti dalle mascherine, Francesco e Ilary sono riusciti a uscire un giorno e a girare finalmente Roma a piedi. Emerge la cattività dorata vissuta in una città che lo ha coccolato, adorato, amato e che se da una parte non gli permetteva di farsi percorrere nei suoi vicoli e nelle piazze in libertà, dall’altra gli dava grande sicurezza e protezione.
“Potenza fisica, piede destro, coordinazione e istinto”. Sono queste indicate da Francesco le ragioni di 619 partite giocate con la Roma, 58 in Nazionale, 271 goal, che hanno costruito la leggenda Totti?
Il film racconta anche la componente spirituale e mistica di Francesco, costantemente presente nella sua vita. Il suo talento, accolto e vissuto come dono, è considerato figlio di un destino a cui Francesco si affida e da cui accetta tutto, il bene e il male, un destino che gli fa vincere uno scudetto dopo 20 anni ma che gli spezza una gamba prima di cominciare un mondiale. Lui accetta lo scarto tra l’affidarsi completamente a qualcosa che è già scritta e l’agire dove necessita il suo intervento. Nel film Francesco va a scandagliare gli abissi della propria vita fino a oggi rileggendo ogni momento delle scelte fatte e così facendo parla a ogni spettatore in modo diverso, perchè nel film ognuno trova quel che deve. Il film restituisce una visione inedita molto soggettiva e per questo molto importante soprattutto per i giovani sportivi.
Il film è stato proiettato nel carcere di Rebibbia, in un braccio dove si scontano pene pesanti. Che esperienza racconta?
Le persone che hanno visto il film, molti dei quali tifosi, hanno avuto una risposta emozionale incredibile, molto forte, come la mia quando ho ascoltato queste parole “ con questo film tu e Francesco ci avete regalato la libertà”. La libertà di cui questi spettatori speciali parlano è nell’anima, nella capacità di poter guardare al tempo in un modo assoluto, in un luogo dove si può osservare il passato e scrutare il futuro stando piantati nel presente, come loro sono costretti a fare. Il racconto di Totti ha aiutato queste persone a trovare una via verticale, verso un cielo che non ha cancelli né confini. Credo sia un messaggio molto importante.
“Tu entri e tiri”. L’allenatore Zeman ha capito per primo che Totti era un uomo goal capace di cambiare le partite. Quanto è importante questa determinazione, nel calcio e nella vita?
E’un grande esempio, per tutti. Con Zeman Totti si è strutturato, anche fisicamente ed è diventato Capitano della Roma, chiamato a nuove, importanti responsabilità. “Con i piedi che hai, tu entri e tiri”. E Francesco si è impegnato per farlo sempre.
“Ho dato modo alla gente di essere felice dando un calcio a un pallone e infilandolo sotto al sette”. Dopo aver regalato tanti momenti di felicità, Francesco Totti oggi come sta?
Francesco ha sofferto molto per la morte del padre ma prima ancora per non aver avuto la possibilità di essergli accanto nei giorni della malattia. Il Covid è anche questo. Francesco ha saputo trovare le risorse in sé e nelle persone che gli sono accanto per andare avanti. Si è concentrato sulla fortuna che aveva avuto potendo godere della presenza del padre fino a oggi e non su ciò che aveva perso e ha dato, anche in questa triste circostanza, a noi tutti una grande lezione di saggezza e umanità. E’ successo tutto nei giorni in cui il film usciva, tra emozioni contrastanti e spesso ci siamo incontrati guardandoci quasi increduli per la straordinaria accoglienza che la storia stava avendo. Francesco ora direbbe “Aho’, ma che abbiamo fatto? Possibile che siamo riusciti a fà felici un popolo girando solo un filmetto?”