Nei giorni in cui l’ipotesi di un nuovo lockdown, più o meno light, circola con insistenza, si conclude a Roma una mostra fotografica organizzata dall’Associazione Stampa Estera in Italia, la più grande organizzazione di corrispondenti esteri nel mondo, che documenta come è stato raccontato il lockdown italiano e le reazioni del primo Paese occidentale colpito dalla pandemia, dallo shock della chiusura ai timidi tentativi di rinascita. Settanta immagini scattate da trenta fotografi provenienti da dieci Paesi e da alcuni corrispondenti italiani della Reuters, AP e AFP, le tre principali agenzie rappresentate nell’Associazione Stampa Estera, ricostruiscono come i corrispondenti stranieri che vivono in Italia hanno raccontato nel mondo un tempo di resilienza, già entrato nella storia, sebbene la storia, purtroppo la stessa, continui.
“Lockdown Italia visto dalla Stampa Estera”, allestita ai Musei Capitolini, è una mostra “in itinere”, un work in progress di un passato prossimo che si fa presente e che tre sale piene di fotografie ripercorrono interamente, come emblemi di un sentimento diverso che dallo sgomento del lockdown improvviso, attraversa la sofferenza nell’imponderabile incertezza e arriva al lento recupero di una apparente normalità.
Città deserte, luci che si spengono, volti protetti da maschere, medici in trincea, morti, bare, solitudini tragiche e solenni, il Papa in Piazza San Pietro, il Presidente Mattarella all’Altare della Patria, ma anche chiese che riaprono, bimbi che nascono, giri in gondola a Venezia in mascherina, pizza a Napoli sul marciapiede, caffè al bar, scandiscono una linea cronologica e compongono emotivamente la stanza del dramma, quella del respiro e quella della rinascita.
Tre ambienti che ci appartengono e raccontano “l’inizio di un incubo, la lotta per la sopravvivenza, i silenzi assordanti, il dolore, un Paese resiliente, che non tutto si ferma, la luce dopo il buio e la nuova normalità”,
microtemi che mettono a sistema il racconto per immagini che ha documentato il versante italiano di una tragedia mondiale. Un collage con i volti dei giornalisti e fotografi, alle prese con nuove modalità di lavoro, conferenze in streaming, interviste virtuali su piattaforme digitali, presenze nelle terapie intensive e nelle zone rosse, per documentare e raccontare storie e territori inesplorati, restituisce la difficoltà di un compito, quello del corrispondente, rimasto sempre fedele a se stesso, anche quando le città chiudevano, le luci si spegnevano e bisognava cercare un modo per rappresentare la disperazione. Le fotografie selezionate hanno una potenza e una forza emotiva impressionante, necessarie per favorire la riflessione su quel che è stato e che forse è ancora o che rischia di essere nuovamente.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita alla mostra ha invitato “a conservare il ricordo di ciò che è avvenuto perché è importante anche per il futuro”. Lo abbiamo fatto? Forse non completamente e l’iniziativa, che si conclude proprio quando le immagini in mostra richiamano a una dolorosa attualità, sollecita consapevolezza su una tragedia che coinvolge tutti.
Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Trisha Thomas, Presidente dell’Associazione Stampa Estera in Italia, Chris Warde-Jones, curatore della mostra e Paolo Santalucia curatore del video che accompagna la mostra, per capire come i corrispondenti stranieri hanno vissuto da cittadini e raccontato nei loro Paesi l’Italia attaccata dal Covid.
Trisha Thomas
La stampa estera come ha vissuto l’esplosione improvvisa della pandemia in Italia?
La pandemia si è insinuata tra noi mentre guardavamo altrove, a Wuhan e nessuno pensava che improvvisamente il Covid-19 arrivasse a Codogno, in Lombardia, che fosse tra noi. Noi giornalisti della Stampa Estera siamo stati coinvolti direttamente e completamente, come cittadini residenti in Italia ci siamo trovati dall’oggi al domani a cambiare completamente sistema di vita e come professionisti abbiamo avuto il dovere di raccontare al mondo cosa stesse succedendo in Italia, il primo Paese occidentale a subire l’impatto violento del virus.
Cosa ha prevalso nel vostro racconto?
Era dovere di noi giornalisti documentare tutto, il modo in cui gli italiani hanno fatto quadrato, sono rimasti in casa, hanno rispettato il distanziamento sociale, hanno indossato le mascherine e sono stati in fila, in modo disciplinato, davanti ai supermercati. Abbiamo raccontato come hanno rispettato le regole e accettato il colpo durissimo alla loro economia, ma abbiamo riferito anche di chi intonava l’inno nazionale sui balconi e di chi metteva generi alimentari nei cestini a disposizione di quanti non potevano permettersi di acquistarli e abbiamo raccontato e documentato tutta la tragedia di quei mesi, decine di migliaia di morti, le bare, i camion militari, la disperazione dei familiari. Abbiamo vissuto e raccontato le trasformazioni della vita quotidiana, dalla Fase 1 , alla Fase 2 quando gli Italiani, prima di altri Paesi occidentali, sono usciti dalle loro case e hanno cominciato a vivere nell’era Covid, baristi e parrucchieri con maschere sul viso, pannelli in plexiglass dovunque, termoscanner a ogni ingresso. La mostra racconta tutto questo con scatti di fotografi che a volte hanno messo a rischio la propria incolumità per catturare immagini di grande potenza che raccontassero più delle parole.
La sede dell’Associazione Stampa Estera in Italia è a Roma. Come avete raccontato la città nella pandemia, Roma era più bella o tragica?
Roma è bella sempre, splendida e meravigliosa. Il Covid è tragico, il lockdown è tragico, questa storia è terribile. Io da giornalista, dovendo raccontare cosa stesse succedendo e come all’improvviso tutta l’Italia e anche Roma fosse cambiata, dovevo uscire per lavoro e passavo ogni giorno in bicicletta davanti alla Fontana di Trevi e Piazza di Spagna. Guardavo affascinata i monumenti vuoti ed erano favolosi. Lo ammetto, per me è stata anche una fortuna poter godere di una situazione assolutamente unica, spettacolare.
Chris Warde-Jones
Le immagini documentano una situazione inedita, che non aveva una grammatica scritta in precedenza. La selezione è stata effettuata con il cuore o con la mente?
La scelta delle immagini è stata fatta con il cuore e con la mente, innanzitutto determinata dalle foto ricevute dalle agenzie principali e dai singoli fotografi ai quali ho fatto richiesta. La mostra è stata costruita sul materiale arrivato perché prima, proprio per la situazione assolutamente inedita, io non potevo sapere cosa ci fosse in giro. Ho deciso di fare un percorso tra le 200 immagini ricevute, scegliendo quelle più forti, difficili, commoventi degli ospedali, dei pazienti in terapia intensiva, delle bare e farne una prima stanza in mostra dove il visitatore trattiene il respiro, nonostante non abbiamo volutamente scelto le immagini più drammatiche che potevano sconvolgere ancora di più. La seconda e la terza stanza del percorso espositivo sono più rilassanti e favoriscono la consapevolezza che la vita è continuata, in un Paese tanto resiliente quale è l’Italia, dove la gente si è comportata molto bene e ha cercato di cogliere l’aspetto positivo della situazione.
La mostra è “in itinere”, in un cammino tutt’altro che concluso?
Si, è un work in progress, non siamo usciti dal tunnel, sappiamo cosa fare e cosa non fare ma le cose continuano a cambiare e non sappiamo ancora dove e quando finirà questa storia.
Il curatore ha sempre un’idea chiara della finalità di una mostra. Lockdown Italia cosa vuole rappresentare?
La mostra dovrebbe essere visitata per guardare quello che è successo e che sta succedendo. Non è il racconto di una storia passata e finita ma un monito per dire “attenzione, questo è quello che è successo nei mesi passati, facciamo tutti in modo che non continui a succedere anche nei prossimi mesi”. Siamo consapevoli che è necessario non abbassare la guardia perché il pericolo è ancora qui, intorno a noi.
La mostra per acquisire una maggiore consapevolezza?
Si, vuole essere un messaggio di attenzione rivolto alla gente per responsabilizzarla su quanto è accaduto e sta ancora accadendo.
Paolo Santalucia
Qual è la linea narrativa del video che accompagna le immagini?
La narrazione ha una linea cronologica ma anche una linea emotiva, c’è il primo spaesamento delle città che si svuotavano e venivano circondate dall’esercito e dalla polizia, il momento della chiusura delle attività commerciali e poi il momento dell’unione, Borrelli, il capo della Protezione Civile, che annuncia come molti volontari vogliono andare nelle terapie intensive, il Papa dice che siamo tutti sulla stessa barca, il presidente Mattarella con il fuorionda televisivo sui barbieri chiusi anche per lui, che rappresenta simbolicamente l’unificazione dell’Italia e il sacrificio che in quel momento stava facendo. E’ un Paese che si fa forza, che reagisce, i canti alle finestre diventati un rituale ogni pomeriggio erano segni di un Paese che si unisce e combatte, rispettando le regole.
La stampa estera come ha raccontato l’Italia colpita dalla pandemia?
In generale e forse per la prima volta la stampa estera ha ammirato l’Italia, la sua resilienza, la capacità di rispettare le regole. Molti colleghi stranieri mi hanno detto che gli Italiani hanno avuto una pazienza da santi, accusando i propri Paesi di lassismo, di ritardo nell’implementazione delle misure.
E gli atteggiamenti di colore tipicamente italiano, i canti sui balconi, come sono stati accolti?
Come un punto di forza, tanto più che quelle manifestazioni, molte delle quali espressioni di solidarietà al personale medico sanitario in trincea, sono state apprezzate, imitate e si sono estese agli altri Paesi, anche in forme diverse. La stampa estera ha considerato l’Italia un esempio per come ha saputo fronteggiare una difficoltà enorme.
Il lockdown ha cambiato ed eventualmente come, la narrazione dell’Italia nel mondo?
La narrazione di un Paese è complessa, rimaniamo sempre il Paese dell’instabilità politica, ma sicuramente c’è stato un cambiamento. E’ indubbio che da questa crisi la reputazione dell’Italia all’estero esce rafforzata, lo abbiamo letto su tutti gli articoli di stampa internazionale e lo abbiamo visto nei servizi di tutte le televisioni.
Il suo video è molto sul sociale e racconta l’Italia vera. Quale sentimento si aspetta susciti nel visitatore?
Non un sentimento positivo perché documenta una tragedia fatta di bare sui camion, di gente che non riesce a respirare nemmeno con l’ossigeno, di difficile resilienza ma è proprio quello che ci serve per fare memoria. Il video suscita sicuramente emozioni, fa piangere, ci fa sentire orgogliosi di essere Italiani e alla fine soprattutto ci lascia con una speranza.