Sono trascorsi 40 anni da quando Ronald Reagan fu eletto 40esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. La sua elezione può essere raccontata con le voci della cronaca di allora, stupefatte, preoccupate, critiche e con l’eco della storia che restituisce unanime apprezzamento e positiva valutazione all’era reaganiana, otto anni di presidenza che hanno cambiato la politica americana. “Può un attore fare il presidente?” chiese polemico un intervistatore. “Può un presidente non fare l’attore?” replicò Ronald Reagan. La storia ha dato la sua risposta, tacitando perplessità, cattiverie, disonestà intellettuale, contrarietà dei poteri forti e scetticismo del mainstream, americano e internazionale, che accompagnarono l’elezione. L’attore, il cowboy, il conduttore televisivo, il ragazzo nato povero, con un padre irlandese alcolizzato e una madre che poteva solo educarlo all’onestà e indicargli lo studio come unica opportunità, figlio della Main Street, non poteva diventare Presidente degli Stati Uniti, una superpotenza mondiale in piena Guerra Fredda. A nessuno sembrava interessare il cursus honorum di quell’uomo intelligente e ricco di risorse, dalla spiccata capacità oratoria, che costruisce la sua carriera politica partendo dal basso, intercettando le esigenze del popolo americano ed elaborando una visione politica precisa e fattiva, che comincia a realizzare concretamente da Governatore della California. La stampa americana lo percepisce come un pericolo, il mondo dell’informazione italiana accoglie il risultato schiacciante della sua elezione, 45 Stati conquistati su 50, come una “americanata di pessimo gusto” e lo definisce “reazionario da caricatura”. L’Unità, organo ufficiale del Partito comunista, parlerà di “inquietudine nel mondo per la vittoria di Reagan”, perfino il messaggio di congratulazioni inviato dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini fu decodificato dai giornali, in maniera erronea, come il “monito di Pertini” al nuovo presidente americano. Analogo era l’atteggiamento degli osservatori politici italiani, con l’eccezione di Indro Montanelli che espresse un giudizio convintamente positivo.
Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2 della RAI, economista e raffinato saggista, autore di una interessante biografia su Reagan che racconta come la politica reaganiana ha cambiato la politica americana e inciso in maniera determinante sullo sviluppo dell’Occidente negli anni Ottanta.
Reagan in cosa ha cambiato la politica americana?
L’ha cambiata perché ha portato nella politica l’elemento dell’empatia, un dialogo diretto, sentimentale, non basato soltanto sulla razionalità della politica ma su un dialogo intellettuale e culturale con l’elettorato americano. Fino ad allora i Presidenti erano stati prevalentemente accademici o avvocati, che si erano avvicinati alla politica con un atteggiamento compassato e con un grigiore che veniva dalle loro professioni. Reagan irrompe come elemento di novità, che porta anche modernità e dinamicità alla politica americana. Potremmo affermare che i Presidenti che sono venuti dopo di lui, Clinton, Obama, Trump, si sono ispirati a Reagan nella capacità comunicativa.
Qual è oggi lo sguardo italiano sul Presidente Reagan?
Reagan fu accolto molto male e con tanti pregiudizi in Italia. La sua elezione veniva assimilata a una “americanata” e un attore che arrivava alla Casa Bianca, sembrava quasi uno scandalo, per la politica e la visione culturale degli anni Ottanta. La storia ha però in seguito dato ragione a Reagan, che oggi è considerato, da tutta la storiografia più importante, un grande Presidente, che ha ottenuto grandi risultati e che è stato il protagonista della rivoluzione conservatrice. Successivamente anche in Italia il giudizio su Reagan è mutato, i politici dell’epoca lo accolsero con sospetto ma in seguito alcuni ne sono diventati amici, come Bettino Craxi e Giovanni Spadolini.
Gli osservatori politici italiani quando hanno cambiato idea?
In Italia Reagan fu accolto male per l’egemonia culturale della sinistra, da sempre prevalentemente comunista, radical chic, secondo la descrizione dello scrittore americano Tom Wolfe e all’epoca, era il 1980, c’era ancora un Partito comunista molto forte, che aveva circa il 30% dei voti. Il giudizio su Reagan si è modificato perché quella rivoluzione socio-economica, che Reagan negli Stati Uniti e Margareth Thatcher in Gran Bretagna, lanciarono alla fine degli anni Settanta, ha avuto un effetto positivo in tutto l’Occidente. L’Italia negli anni Ottanta torna ad avere una crescita economica sostenuta e anche l’esplosione del Made in Italy e il successo della moda italiana nel mondo, deriva dalla rivoluzione economica che Reagan aveva lanciato negli Stati Uniti d’America. Gli Italiani che avevano beneficiato delle politiche reaganiane, hanno dovuto prendere atto del successo della ricetta economica reaganiana.
Sul piano ideologico e culturale quali sono stati i meriti più grandi di Reagan?
La vittoria della Guerra Fredda, che è sui libri di storia. Il comunismo implode alla fine degli anni Novanta, perché non riesce a reggere la sfida che Reagan gli aveva lanciato. Il comunismo crolla su se stesso e nel 1989 cade il Muro di Berlino. Margareth Thatcher disse che Ronald Reagan aveva vinto la Guerra Fredda senza neanche sparare un colpo, perché non ci sono stati morti nè campi di battaglia, ma c’è stata una vittoria sul piano della storia e della teoria.
Quali sono le ragioni per le quali Reagan arriva alla Casa Bianca sottovalutato dal suo avversario Carter, attaccato dai poteri forti, dal mainstream e accolto con uno scetticismo generalizzato al momento della sua elezione?
Nei confronti di Reagan è mancata una onestà intellettuale. In Italia i giornali non raccontarono compiutamente la vita di Ronald Reagan, omisero il particolare, estremamente significativo, che era stato per due mandati Governatore della California, uno Stato importantissimo da un punto di vista demografico ed economico. Se la California stesse da sola, sarebbe una potenza economica globale. Reagan non arrivava dal nulla, ma da un percorso molto elaborato che i Latini definirebbero un cursus honorum.
La sua storia personale cosa insegna?
La sua vita è interessante anche sul piano umano e merita di essere raccontata, prescindendo dal dato politico. E’ la classica storia americana di chi nasce estremamente povero, in un luogo che nessuno conosce, Tampico, una contrada dell’Illinois con meno di mille abitanti, figlio della Main Street, come lui stesso si definirà, il viale che percorre le cittadine di provincia americana. E’un ragazzo che vive nell’epoca della Grande Depressione e subisce le conseguenze della tragica crisi economica dovuta al crollo di Wall Street del 1929 ma riesce comunque a costruire una vita di successo, pur partendo da una condizione di svantaggio.
Reagan Presidente degli USA entra nella storia non per essere stato il Presidente ma per aver fatto cose da Presidente. Quanto è importante ricordarlo oggi?
In Occidente, nel secolo scorso, esisteva il cosiddetto ascensore sociale, inteso come opportunità, data a chiunque si fosse impegnato nello studio e nel lavoro, preparandosi seriamente, a migliorare la propria condizione, meccanismo che purtroppo, negli ultimi decenni, si è inceppato. La parabola personale e umana di Reagan era la rappresentazione degli Stati Uniti come terra delle opportunità.
Ottimismo, pragmatismo e modernizzazione sono le cifre della rivoluzione reaganiana. Era di questo che aveva bisogno l’America dopo Carter?
Assolutamente si, insieme al conservatorismo, un elemento importante che Giuseppe Prezzolini, vissuto 30 anni negli Stati Uniti, insegnando alla Columbia University, chiarisce bene dicendo che il progressista è la persona di domani, il conservatore è la persona di dopodomani.
Il libro definisce e chiarisce cosa si intende per reaganismo e reaganomics. Cosa è rimasto oggi di quella impostazione?
E’rimasta la politica fiscale, perché se uno Stato stritola i cittadini sotto una pesante ed esasperante pressione fiscale, non riceve alcun vantaggio perché a un certo punto diminuisce il gettito fiscale e l’economia si deprime. Reagan lo dimostra con la curva di Laffer, un economista americano che propone di scegliere un giorno sul calendario, cerchiarlo in rosso e dichiararlo giornata della liberazione fiscale, cioè il giorno dell’anno in cui i cittadini smettono di lavorare per lo Stato e cominciano a lavorare per se stessi e per le proprie famiglie. La sua lezione della politica fiscale, nonostante l’inevitabile mutare dei fattori in campo dovuti anche ai 40 anni trascorsi, su un fisco che non sia invasivo, che non strozzi la vivacità dell’economia e dell’intrapresa economica privata, resta in campo. Il valore dell’individuo è il riconoscimento del valore delle donne e degli uomini e della loro capacità di mettersi in campo e di costruire qualcosa, rispetto a cui lo Stato deve dare indirizzi, costruire condizioni oggettive di sviluppo ma non deve essere invasivo.
Una politica fiscale che Reagan aveva già adottato da Governatore
Quando era governatore della California, Reagan pose le premesse per la creazione della Silicon Valley che è ancora oggi il più grande incubatore di imprese tecnologiche al mondo. Oggi le grandi Corporation dell’ICT, vivono nella Silicon Valley che il Governatore Reagan seppe intravedere.
Lei scrive che alla base del TAX REFORM ACT di Reagan, ci fosse l’idea “di far diventare i poveri, se non ricchi, quantomeno autosufficienti”. Era un programma più etico o politico?
Il conservatorismo di Reagan si condensa in un postulato filosofico. Il Presidente sosteneva che più che dare sussistenza ai poveri, dando loro un quantum, come si fa oggi in Venezuela per sopravvivere o come alcuni vorrebbero fare in Italia, bisogna porsi il problema di strappare i poveri, dando loro opportunità di lavoro e di impegno, dalla condizione di povertà e trascinarli all’interno del ceto medio, che è l’elemento dinamico della società. Reagan diceva che la ricchezza gocciola, nel senso che più ricchi ci sono, più il benessere si diffonde, perché molti ricchi spendono, consumano e creano opportunità di benessere anche per coloro che sono subalterni in una gerarchia sociale. Il tema forte è quello di ampliare il ceto medio, il numero delle persone e delle famiglie che stanno bene, dando a ciascuno l’opportunità di potersi esprimere sul terreno del lavoro che deve essere il tema centrale.
E’ un programma eticamente politico
Non c’è dubbio, è un programma eticamente politico, un programma filosofico che nasce dalla fiducia nelle donne e negli uomini, dalla fiducia nelle persone.
Reagan è stato definito l’erede di Lincoln, ma chi è oggi, se c’è, l’erede di Reagan?
Un erede dello spessore di Reagan non lo si intravede. Trump più volte ha voluto richiamarsi a Reagan, ma non ne ha lo standing e non ha quel rispetto per le istituzioni e per i valori repubblicani che Reagan ha sempre avuto, pur nella legittimità delle sue posizioni. Al momento non vedo un erede di Reagan.
“Voglio un’America più buona, più forte, più orgogliosa”, dirà Reagan nel 1984 accettando la seconda candidatura. Ci è riuscito?
Direi di si e la storia lo testimonia. Tutta la storiografia, anche coloro i quali sono di posizioni culturali diverse da quelle di Reagan, riconoscono che è stato un grande Presidente. Nel gennaio 2008, in un dibattito televisivo, durante le primarie, i due principali candidati democratici alla Casa Bianca Barack Obama e Hillary Clinton litigarono ferocemente perché Obama dichiarò che Reagan era stato un grande Presidente per il quale nutriva ammirazione, ma la Clinton non la pensava allo stesso modo.
Il 4 novembre 1991, all’inaugurazione della Ronald Reagan Presidential Library and Center for Public Affairs, vicino Los Angeles, erano presenti, per la prima volta nella storia, 5 Presidenti americani e 6 mogli di Presidenti, con la signora Johnson. Cosa racconta questo tributo unanime?
E’ una testimonianza della storia, racconta il valore della storia e il riconoscimento unanime che è venuto alla personalità di Reagan.
Non ci sono stati solo i successi. Quali gli insuccessi?
Reagan non riuscì ad abbassare il deficit pubblico, nonostante fosse un punto programmatico sul quale si era impegnato. Forse fu un po’ carente la politica nel Medio Oriente, ma complessivamente ritengo che il bilancio sia stato più che positivo.
Qual è il posto di Reagan nella storia?
Credo che quando si guarderà con distanza la storia del Novecento, insieme a Franklin Delano Roosevelt che è stato il Presidente più caratterizzante del Novecento, sicuramente più di John Kennedy rimasto per poco tempo alla Casa Bianca perché assassinato a Dallas, troveremo Reagan. Il Novecento americano ha avuto due grandi Presidenti, uno democratico, Roosevelt, uno repubblicano, Reagan.
Perché è considerato il Presidente più popolare dell’America moderna?
Reagan ha invertito un paradigma, anteponendo alla visione socialista o protosocialista secondo cui la società è l’elemento centrale, una visione liberal conservatrice, in base alla quale è l’individuo, la donna o l’uomo, l’elemento centrale e dinamico del mondo.