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Chiamala Roma, fotografie di Sandro Becchetti

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Roma è una inesausta narrazione”, scriveva il filosofo Paul Cleary, un racconto inesauribile ricostruito dalle pagine di scrittori e storici, dai quadri dei pittori e dagli scatti dei fotografi. Il Museo di Roma in Trastevere, tradizionalmente attento alle mostre fotografiche ospita, fino a settembre, una esposizione che racconta la sua essenza già nel titolo “CHIAMALA ROMA”. 180 fotografie in bianco e nero tracciano il ritratto sociale e politico di Roma dal 1968 al 2013, mentre la capitale è “in tellurico sconvolgimento sociale”, e contribuiscono in maniera significativa a documentare la storia recente della città. Sono immagini scattate da Sandro Becchetti, uno dei più importanti fotografi del Novecento che con due Pentax e una Leica ha raccontato Roma “ciottolo per ciottolo”, prediligendo, alla dimensione archeologica e monumentale che ne celebra storia e bellezza, la rappresentazione sociale e politica, in anni, quelli dal Sessantotto in poi, in cui a Roma la cronaca scriveva la storia.

La gente, la strada, gli sguardi, sono i protagonisti della fotografia di Sandro Becchetti, sebbene di grandi personaggi della cultura, dello spettacolo, della politica italiana e internazionale, ne abbia incontrati e ritratti tanti, nella sua quarantennale attività di fotoreporter per prestigiosi quotidiani e periodici italiani e internazionali.

Questi volti noti, spesso famosi nel mondo, costituiscono il nucleo fondamentale di una mia ideale galleria”

scriveva Becchetti, ritratti oggi esposti in mostra accompagnati, in didascalia, dalla descrizione degli incontri avuti con i singoli personaggi, in occasione dei servizi fotografici. Sandro Becchetti ama raccontare una melting Rome fatta di storie e di volti da cui attinge la sua personale narrazione, fotografa il ragazzino che vende copie dell’Unità nel traffico romano, i militanti comunisti in attesa di Pajetta, il piccolo calciatore di periferia, i metalmeccanici che sfilano in corteo, le donne che protestano in piazza, i comizi a San Giovanni, le lotte degli edili, le proteste per la difesa dell’Oasi naturista a Capocotta. CHIAMALA ROMA e i titoli delle sezioni in mostra, sono parole riprese dagli scritti di Sandro Becchetti, fotografo ma anche abile scrittore, ironico e sarcastico. Molte immagini sono state scattate   negli anni Sessanta e Settanta, il periodo di maggior impegno per Becchetti che si è in seguito preso una pausa dalla fotografia, dedicandosi per 15 anni all’ arte della falegnameria, per poi tornare a fotografare alla fine degli anni ’90.  Sempre Roma, “questa stupenda e misera città”, come la definiva Pasolini. La sezione più ricca di immagini, quella sul ’68, documenta una capitale molto politicizzata, che si riempie di simboli, la falce e martello sono su tutti i muri e diventano icona della città, manifesti e giornali raccontano i movimenti di allora e la crescente consapevolezza dei cittadini che manifestano continuamente, ritrovandosi ogni sabato in corteo, il desiderio di partecipare e accompagnare i processi di cambiamento che apparivano già irreversibili.

Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano la moglie Gianna Bellavia Becchetti, custode appassionata del suo prezioso archivio fotografico, la curatrice della mostra Silvana Bonfili, la sovrintendente capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli e l’assessora alla Crescita Culturale di Roma Capitale Lorenza Fruci.

Signora Gianna Bellavia Becchetti, chi era Sandro Becchetti?

Sandro Becchetti era un intellettuale selvaggio, perché il suo rapporto con la vita e con le persone era istintuale, mai mediato da calcoli o obiettivi che non fossero quelli della conoscenza diretta.

Roma cosa rappresentava per Sandro Becchetti?

Sandro era un appassionato cultore della storia italiana in generale ma conosceva la storia di Roma a menadito. Roma per lui era la possibilità di avere un occhio attento, partecipe, smagato e irridente come era nel carattere dei Romani, capaci di leggere e interpretare le cose della vita sempre con il sorriso. Sandro apprezzava il grande fascino di Roma, le bellezze di una città unica al mondo, che però non hanno mai offuscato la sua capacità di guardarla con obiettività e onestà, approfondendo i molti problemi che una città come Roma pone. Sandro si sentiva intimamente e profondamente romano.

La mostra che Roma gli dedica le piace?

Sono molto felice dell’allestimento della mostra, “CHIAMALA ROMA”, che rende pienamente l’idea del suo lavoro e del suo impegno, attraverso i tanti scatti che ha dedicato a Roma, la città capitale di cui sapeva cogliere unicità ma anche contraddizione e complessità. Mi piacerebbe che i tanti Italiani che vivono lontano potessero vederla.

Perché Sandro Becchetti aveva una particolare attenzione e sensibilità per i nostri connazionali che vivono all’estero?

Sandro aveva un vero culto per gli Italiani che avevano dovuto lasciare la propria terra e trovare fortuna nel mondo. Nella sua vita privata da cittadino, prima ancora che da fotografo, la sua ricerca principale era quella delle radici. Le sue radici erano nella campagna romana ma a parte quelle geografiche, simbolicamente le radici per lui stavano a indicare e a ricordare persone che per necessità e bisogno, avevano dovuto lasciare la propria vita, la casa, gli affetti, i propri luoghi. Ricordo un viaggio in cui Sandro decise di accompagnare suo padre, ormai anziano, nel piccolo paese di origine della madre, la nonna di Sandro. Erano entrambi commossi ed emozionati anche se era un piccolo viaggio, in una frazione dell’Umbria, non lontano da Roma. Posso solo immaginare cosa provino gli Italiani che vivono all’estero, tanto lontani dall’Italia. Ai nostri connazionali va il mio saluto che è quello che sicuramente avrebbe loro rivolto mio marito Sandro Becchetti.

Silvana Bonfili

CHIAMALA ROMA è una mostra che parte dalla città di Roma, dagli anni Sessanta dello scorso secolo fino al 2013. È una Roma molto particolare, in grande cambiamento, soprattutto per le questioni politiche che venivano portate avanti dagli studenti, dagli operai, dagli agricoltori. Sandro Becchetti attraversa questi anni con grande personalità, ha  una visione particolare di Roma, tutta sua che lo porta a non ritrarre i monumenti o le zone del centro storico se non attraverso le sue inquadrature, molto personali e critiche ma interessanti perché restituiscono l’idea di una città piena di vita, molto politica e politicizzata.

Come si articola il percorso di visita?

 All’interno della mostra a lui dedicata che comprende 180 fotografie in bianco e nero, selezionate dal vasto Archivio Sandro Becchetti, ci sono due piccole sezioni che sono mostre nella mostra. La prima è dedicata al lavoro che Becchetti ha svolto come fotografo inviato per Il Messaggero, lo storico quotidiano di Roma, nella Terza Pagina, la pagina culturale, dove documentava l’arrivo a Roma di personaggi del jet set internazionale, politici, uomini di cultura e star del cinema. E’ una galleria di ritratti di persone che hanno reso Roma ciò che è, intellettuali, musicisti, artisti del teatro e del cinema. L’esposizione è arricchita anche dal racconto che Sandro Becchetti faceva delle persone incontrate, attraverso scritti che sono esposti in mostra come didascalie, a corredo delle fotografie.

 Come sono raccontati gli incontri?

Se non erano incontri empatici, la fotografia ne risentiva, non nella realizzazione stilistica ma nel ruolo che, nello scatto, Becchetti dava al personaggio.  In mostra c’è una fotografia al grande attore Tino Buazzelli, con il quale aveva avuto un battibecco, ritratto sul pianerottolo della sua casa borghese a cui viene dato grande spazio, nonostante sia un pianerottolo qualunque, mentre l’attore è relegato sulla destra, in un angolo. La fotografia è emblematica di un incontro non completamente compiuto, a livello empatico, tra fotografo e soggetto da fotografare.

E’ corretto definire filosofica la fotografia di Sandro Becchetti?

Sandro Becchetti definiva il rapporto con la macchina fotografica “l’inganno del vero”, perché sembra che il fotografo fotografi la realtà, ma non è così in quanto ognuno fotografa quello che ha in testa. Per questo la realtà e’ l’oggetto più ingannevole che Sandro manovrava.

C’è una sezione dedicata a Pier Paolo Pasolini

Nel 1971 Il Messaggero lo inviò a fotografare il poeta, regista, grande intellettuale Pasolini, per la Terza Pagina ma l’incontro non fu felice e il rapporto non fu empatico. Tutto ciò emerge perfettamente dagli scatti realizzati,  con i quali Sandro Becchetti traccia un percorso visivo del personaggio attraverso primi piani sparati, foto con la madre, dove si vede che c’è l’intervento del fotografo a scegliere le foto che escono, sono pubblicate e altre che, seppur scartate, contribuiscono, a distanza, a descrivere l’episodio e il personaggio. La sezione si intitola “Lo sguardo gelido e tagliente del poeta” perché così lo definì Sandro Becchetti quando lo incontra per la prima volta, 4 anni prima che Paolini morisse. Fa un servizio di circa 70 foto, in mostra ne abbiamo selezionate 30, quelle con le quali traccia la durezza e l’angoscia dell’uomo.

Il racconto per immagini della Roma ritratta nel sociale  appartiene solo a Roma o narra anche l’Italia?

Roma, Milano, Torino, Padova erano città dove, negli anni Sessanta e Settanta, lo scontro e la differenza sociale si avvertivano di più. Roma racconta anche questo, ogni sabato c’era un corteo diverso di persone che protestavano per i diritti. Sandro Becchetti ha colto la consapevolezza, nel bene e nel male, di partecipare a un cambiamento epocale, anche attraverso la lettura dei quotidiani. Nelle sue fotografie vediamo i giornali sbandierati come bandiere,  sia le grandi testate  che  quelle dei piccoli movimenti.

Sarà pubblicato un Catalogo della mostra?

Si e sarà bellissimo.

La mostra intanto come saluta il visitatore?

Con una serie di immagini che ha scattato sulla città di Roma ma che testimoniano anche grande attenzione al mondo contadino che le era intorno,  il mondo di alcuni luoghi, nella campagna laziale e in Umbria, dove Sandro Becchetti ha vissuto.

Maria Vittoria Marini Clarelli

Il Museo di Roma in Trastevere è un luogo  tradizionalmente attento alle mostre fotografiche?

Roma riapre i musei e propone un’occasione importante per mettere a confronto gli Archivi fotografici di due importanti fotografi, Sandro Becchetti e Luciano D’Alessandro, coetanei, interpreti di due città, Roma e Napoli, che presentano le città attraverso i loro abitanti. Il Museo di Roma in Trastevere ha un taglio antropologico legato alle sue origini e il  focus che propone sul rapporto tra la città e i cittadini è estremamente importante. Si prosegue con una tradizione di fotografia che negli ultimi cinque anni ha portato in questo museo mostre di grande intensità. Ci sono state iniziative che hanno dimostrato quanto sia gradita al pubblico l’attenzione alla fotografia e quanto sono importanti gli Archivi fotografici per la conservazione di un patrimonio complesso, delicato ma indubbiamente eccezionale.

Sandro Becchetti non racconta la Roma monumentale. Che Roma è quella che emerge dai suoi scatti?

C’è lo sguardo critico di una fotografia che è al contempo partecipe e oggettiva, con una grande attenzione alla Roma sociale, legata al momento del 1968 e alla politicizzazione che fa diventare icona la falce e martello. Andy Warhol passa a Roma, negli anni Settanta e poco dopo dipinge una natura morta con la falce e martello perché l’ha vista rappresentata ovunque a Roma, come icona della città. Nella sezione “CHIAMALA ROMA” ci sono molti riferimenti alla città nei suoi alti e bassi, perché  Roma è una città complessa, dove bisogna sempre mettere insieme tanti mondi e tanti aspetti. Come diceva Paul Cleary “Roma è una inesausta narrazione”.

Lorenza Fruci

Qual è il ruolo della fotografia nella ricostruzione storiografica?

Le due mostre fotografiche che Roma inaugura al Museo di Roma in Trastevere,  Sandro Becchetti e il suo sguardo acuto su Roma e Luciano d’Alessandro, “L’ultimo idealista” con 100 scatti che restituiscono uno sguardo poetico su Napoli,  aprono i loro Archivi, ci riportano all’immaginario del Novecento e ci fanno guardare come era la società nel Novecento. Le mostre sollecitano una riflessione forte sul ruolo della fotografia, nella ricerca storica e nella società. Molti temi sociali sono legati all’attualità, il rapporto con il lavoro, con le nostre abitazioni, con la salute, con la morte. La narrazione di Sandro Becchetti è interamente dedicata alla politica e alla socialità, quindi alle vicende dell’essere umano.  Le mostre aprono uno spiraglio sul Novecento, sull’importanza degli archivi fotografici, sul rapporto tra giornalismo e fotogiornalismo e a livello simbolico, ci permettono di riflettere sull’immaginario che l’arte fotografica ci pone davanti agli occhi.

Inaugurare nuove mostre oggi a Roma che significato assume?

E’ di straordinaria importanza perché permette di uscire dalla dimensione virtuale e di mera relazione con gli schermi, con cui abbiamo vissuto la cultura nel tempo delle chiusure e di tornare a fruire finalmente di immagini fotografiche all’interno delle esposizioni in luoghi importanti e significativi come il Museo di Roma in Trastevere.

La cultura di Roma parla al mondo. Roma è pronta alla ripartenza?

Roma è sempre caput mundi, non vediamo l’ora di accogliere i visitatori nei musei, nei siti archeologici, nelle piazze e in tutti i luoghi della cultura. Roma vi aspetta.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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