“Roma, questa città che non finisce mai”, scriveva Giacomo Leopardi nel 1831, dall’osservatorio privilegiato in cui abitava, tra via Mario dei Fiori e via Condotti, che era, allora come oggi, il centro nobile della città. “Roma è una inesausta narrazione”, aggiungerà il filosofo Paul Cleary in tempi più recenti.
Il racconto di Roma non si esaurisce nella grande bellezza che la rappresenta come immagine iconografica. Uno sguardo contemporaneo ampio e onesto, restituisce l’immagine di una città che vive disparità e contraddizioni, tra differenti condizioni culturali e sociali, nella ricerca di soluzioni di incontro e non di scontro. Come è Roma vista da Coccia di Morto, la spiaggia popolare dove affluisce un popolo della battigia che a volte non sa nemmeno cosa significhi la parola battigia, che si tuffa dove c’è un divieto di balneazione e si azzuffa per piantare un ombrellone, se lo è chiesto Riccardo Milani e lo ha raccontato con due film, due capitoli di vita romana, diventati un fenomeno sociale.
Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano il regista di “Come un gatto in tangenziale” e “Come un gatto in tangenziale-Ritorno a Coccia di Morto” per approfondire le ragioni che hanno favorito una felice osmosi tra vita reale e rappresentazione cinematografica. Grazie ai due film, oggi tutti conoscono Coccia di Morto, molti riflettono sul tema delle periferie, la contaminazione culturale assume contorni definiti e l’espressione “come un gatto in tangenziale” entra nel racconto di ogni precarietà.
L’obiettivo di ogni regista è fare un bel film, ma quando questo diventa un fenomeno sociale, al centro delle conversazioni e delle riflessioni, cosa si è riusciti a fare?
Abbiamo solo raccontato la realtà oggettiva di un Paese in cui purtroppo, negli ultimi tempi, non c’è visione ma un diffuso sentimento di ostilità che sta lavorando ai fianchi la nostra struttura societaria, determinando qualche fragilità in più. Il primo film “Come un gatto in tangenziale” nasce da questa considerazione e pone temi, come quello del mondo cattolico e della cultura, che il secondo film, nelle sale in questi giorni, cerca di approfondire.
Cos’è Coccia di Morto e cosa rappresenta?
Coccia di Morto è una spiaggia sul litorale romano, all’altezza di Fiumicino, famosa sia per il nome particolare che pare derivi dal fatto che qualche secolo fa, vennero trovati reperti umani e le “cocce di morto” erano i teschi dei cadaveri, sia perché è una spiaggia non particolarmente prestigiosa, che però raccoglie la simpatia di tanti romani e affezionati da tanto tempo. La popolano bambini, oggi diventati adulti, che continuano a starci bene, è la spiaggia della mia infanzia, dove andavo a pescare spigole e pesce di cui quella parte di litorale era ricca, con un bagnino di salvataggio che si chiamava Osvaldo Pasquini, in arte Mignolo. E’ una spiaggia che oggi vive una rinnovata curiosità, ma che per me è magica da sempre.
Il lessico romano, verace e feroce, a cominciare dal titolo, quanto ha contribuito al successo dei film? Il secondo è in cima al boxoffice italiano
Il lessico incide per la simpatia, Coccia di Morto è diventato un modo curioso per dividere le spiagge popolari da quelle più esclusive. Siamo contenti perché anche questo ha contribuito a far sì che il film sia entrato nel costume, anche per dividere in due e indicare una città dove c’è chi va a Capalbio e chi a Coccia di Morto. E questo racconta molte cose.
Il film racconta le disparità sociali di Roma, ma c’è una Coccia di Morto, intesa come luogo simbolo, in ogni città?
Ci sono località che rappresentano quartieri e zone di una città indubbiamente più popolari. Ogni città ha le sue periferie e una Coccia di Morto che non è necessariamente una spiaggia, ma un luogo o un territorio periferico che identifica un quartiere popolare. Il nostro Paese è pieno di queste realtà. Il film racconta Roma con due personaggi, uno di Roma e uno di Milano, Monica e Giovanni, che rappresentano il nostro Paese diviso in due, tra chi sta a Capalbio e chi a Coccia di Morto e questo metaforicamente, ma anche socialmente e culturalmente, ha un preciso significato.
Monica e Giovanni sono due anime dello stesso Paese?
Certamente, ma al contrario di quello che succede purtroppo con grande frequenza, perchè la divisione tra classi sociali porta ostilità e a volte odio, Monica e Giovanni, pur appartenendo a mondi opposti, con idee, conduzioni e linguaggi diversi, fanno una cosa quasi miracolosa, si ascoltano. Ascoltandosi, riescono a capire qualcosa l’uno del mondo dell’altro e a recepirne cose positive per se stessi, con una diffidenza che man mano si sgretola, uniscono il Paese e riescono perfino a innamorarsi.
I due protagonisti, interpretati da una strepitosa Paola Cortellesi e da un grande Antonio Albanese, stanno bene insieme sia nella realtà degradata della periferia di Bastogi dove abita Monica, sia seduti a mangiar pizza sulla panchina dell’elegante Piazza Cavour. E’ sempre possibile integrare le diversità?
Monica e Giovanni in realtà non stanno così bene insieme, all’inizio del secondo film c’è una grande complicazione nella vita di Giovanni, che sta portando avanti un serio progetto di lavoro sulle periferie romane perché l’arrivo di Monica gli sconvolge piani, tempi, modi. Monica vive un problema quotidiano con due sorelle, tra loro gemelle, cleptomani, che finiscono per metterla nei guai, facendola finire in carcere. Giovanni si troverà a farle da garante, per convertire la pena in servizi sociali e questo gli complicherà molto la vita. Calarsi tra le difficoltà e i problemi che il mondo di Monica finisce per provocare al mondo più ovattato di Giovanni, lo travolge anche se alla fine prevale il sentimento. L’attrazione tra persone diverse capita molto spesso nella vita, al di là dell’analisi del fenomeno sociale che il film racconta. In questo caso prevale il sentimento di condivisione e l’idea che tutte le barriere possano crollare, nonostante i grandi “impicci” che capitano nel film, come nella vita.
Il film pone al centro della narrazione cinematografica una periferia, Bastogi e tutto il mondo che la abita. Costruisce il racconto di Roma o delle tante Roma che compongono il puzzle colorato della città capitale?
Monica e Giovanni rappresentano due mondi al di là della città di Roma. Sono personaggi costruiti da quattro sceneggiatori, oltre me e Paola Cortellesi, ci sono Furio Andreotti e Giulia Calenda, tutti con la stessa idea di necessità che le anime di questa città e di questo Paese trovino un punto d’incontro. E’ una forte motivazione etica che ci ha portati a realizzare entrambi i film. Roma è una città complessa, cuore di eventi che hanno spesso rappresentato la divisione del Paese. Il primo film finisce con la scena dei due protagonisti che seduti su una panchina di Piazza Cavour, si chiedono quanto durerà il loro amore, se solo “Come un gatto in tangenziale”. La scena è stata girata volutamente nella piazza del quartiere Prati che qualche mese prima delle riprese, era diventata luogo di scontri e risse tra ragazzi appartenenti a quartieri diversi, Roma Nord e Roma Sud, che andavano lì proprio per approcciare in modo violento alle differenti identità. Il nostro film ha voluto dare una risposta simbolica importante, rappresentando i due mondi diversi di Monica e Giovanni che si incontravano e riuscivano a toccarsi e a stare vicini, proprio in quella piazza. Roma diventava il simbolo del Paese intero.
Roma cos’è?
Roma è tante cose, una città grande che disperde, poco conosciuta dagli stessi cittadini romani, nei suoi aspetti più magici e misteriosi e il film Ritorno a Coccia di Morto segnala questo fenomeno. A volte avremmo la possibilità di fare tante cose affascinanti, ma non le facciamo perché non le conosciamo o perché pensiamo che non si possano fruire, quasi non possano essere anche nostre.
Il film pone il tema della cultura, anche se Monica dice che “con la cultura nun se magna”
E’ un modo di dire violento, frettoloso ma anche molto diffuso che non rappresenta la verità, perché la diffusione della cultura dà lavoro, lo crea e lo offre attraverso il cinema, la letteratura e tutto il mondo che gira intorno alle proposte culturali. La cultura muove le persone, i movimenti storici, i passaggi del nostro Paese, è un valore a cui noi crediamo moltissimo ed è per questo che ne abbiamo fatto motivo di scontro tra due mondi diversi.
Giovanni lavora in un Think Thank per riflettere su quelle periferie che il film racconta con la completezza di un saggio sociologico, psicologico ed economico. Le periferie sono conoscibili attraverso i Think Thank?
Siamo convinti che in questi laboratori di pensiero si rifletta e si discuta davvero, anche se poi servono interventi concreti. Quello che abbiamo notato e che naturalmente il film sottolinea, è che in alcuni ambienti di alto profilo, la gente si appaga solo nel parlare di periferie, senza includere nel proprio impegno sociale la conoscenza reale, delle persone e dei luoghi di cui si parla. Molti intellettuali, scrittori e registi, a volte parlano di temi forti, come le lacerazioni sociali delle periferie, con distanza, senza esserci mai stati. Il film evidenzia questo approccio teorico alla discussione proprio attraverso Giovanni che però a un certo punto assorbe il concetto sulla necessità della conoscenza concreta, calandosi fisicamente nella realtà che studia, va a Bastogi, la conosce, capisce cosa serve, come si può fare per realizzare concretamente i progetti. Monica e Giovanni hanno uno scontro proprio su questo, ma Monica fa poi una passeggiata da sola per la sua città e capisce come i progetti che Giovanni vuole realizzare e che a lei sembrano lontani, servano a creare lavoro e a migliorare le condizioni. Monica capisce che le manifestazioni culturali, il cinema portato nelle periferie, gli spettacoli e i balletti, attraggono le persone e creano benessere psicologico, quindi aiutano concretamente a stare meglio.
Giovanni, che “c’ha na capoccia che je fuma”, che frequenta i centri culturali e “sta impicciato con Monica che sta in carcere,” che predilige il monopattino al motorino perché non inquina, racconta una storia, con Monica e il suo mondo, che in questo secondo capitolo sa di incontro e non di scontro…
Si, è un processo che porta a riuscire ad assorbire le cose belle, l’uno dal mondo dell’altro. Come Giovanni si convince che vedendo le cose dal punto di vista di Monica, comprende come può fare meglio il suo lavoro, così Monica capisce come la sua vita e quella di suo figlio, può migliorare se ascolta e mette in pratica le cose che fa Giovanni. E’ la dimostrazione che non servono muri, ma serve la necessità di ascoltare.
Monica e Giovanni si conoscono perché i loro figli, Alessio e Agnese, vivono un amore adolescenziale. Contaminazione è la parola chiave dell’incontro, ma esprime lo stesso concetto in due realtà tanto diverse?
Monica sente parlare di contaminazione da un certo mondo intellettuale e le sembra un concetto astratto, anche se poi la contaminazione la vive ogni giorno, ed è quella dei vicini di casa asiatici che cucinano con cumino e spezie, con odori da cui si sente assediata, quasi se non fosse più a casa sua. Monica vive la contaminazione quotidianamente e vive le difficoltà economiche di una periferia semiabbandonata. Per Monica la contaminazione è la quotidianità, Giovanni ne parla senza conoscerla.
Monica è il personaggio simbolo del film, perché anche se confonde il romanzo di Umberto Eco “Il nome della rosa” per un manuale di giardinaggio e della Proserpina di un gruppo scultoreo del Bernini apprezza solo l’assenza di cellulite, sa essere costruttrice di un futuro che parte dove sembra che un futuro non ci sia. Il personaggio è l’emblema di un Paese arretrato che vuole recuperare?
Sono assolutamente d’accordo, non posso che unirmi a queste considerazioni sul personaggio interpretato da Paola Cortellesi, estendendole all’intero cast di attori, rete fondamentale in questo racconto, Mariano Rigillo, Angela Pagano, Claudio Amendola, Sarah Felberbaum, Sonia Bergamasco, Luca Argentero, Simone De Bianchi e Alice Maselli con i quali abbiamo raccontato un momento del nostro Paese, con grande consapevolezza, convinzione e partecipazione.