L’Italia e gli Stati Uniti sono legati da un antico rapporto di amicizia, al di là delle date che la storia ricorda, come i 160 anni dall’inizio delle relazioni diplomatiche che ricorrono nel 2021. I due Paesi sono l’uno nella storia dell’altro, oggetto di vicendevole curiosità e interesse. Il Learn Italy International Award, prestigioso riconoscimento, giunto alla terza edizione, dell’Agenzia culturale italoamericana, attribuito alle eccellenze italiane che si sono distinte, nel mondo della comunicazione, per il racconto dell’Italia in America, è l’occasione per approfondire le ragioni che continuano a rendere reciprocamente attrattivi i due Paesi, anche in tempi di globalizzazione.
Il Learn Italy International Award, che il 1 ottobre è stato consegnato, nella cerimonia di premiazione presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, a Paolo Liguori, Piero Armenti, Claudio Pagliara e al musicista Stefano D’Orazio, recentemente scomparso, si concluderà il 14 ottobre a Milano, nella sede del Corriere della Sera, con la consegna del premio al direttore Luciano Fontana.
Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Massimo Veccia, fondatore e presidente di Learn Italy, Claudio Pagliara, responsabile RAI per la comunicazione radiotelevisiva degli Stati Uniti e Piero Armenti, tour operator de “Il mio viaggio a New York”, il global blogger che appassiona milioni di followers con il suo racconto, costantemente onlife, di New York.
Massimo Veccia
Learn Italy che esperienza racconta?
Learn Italy è una Agenzia culturale fondata a New York dodici anni fa, che parla al mondo di italianità, cultura e arte. La nostra missione è quella di portare i giovani talenti italiani a conoscere altre realtà, formarli, in Italia e negli Stati Uniti e avviarli nel percorso più adatto a ciascuno di loro, per portarli a collaborare con aziende importanti, affinchè siano cervelli in viaggio e non in fuga.
Lingua, cultura, eccellenze, turismo. Learn Italy che Italia presenta in America?
Presentiamo l’Italia contemporanea, senza enfasi né retorica, rappresentata nella sua immagine reale, non da cartolina ma bella, vivace e giovane. L’Italia che esiste e resiste e che ha tanto da valorizzare, dal turismo culturale, alle bellezze paesaggistiche, alle eccellenze enogastronomiche.
Il rapporto tra America e Italia è caratterizzato da una reciproca curiosità. Cosa attrae l’Italia dell’America e viceversa?
Sono due Paesi quasi gemelli, c’è molta italianità in America e c’è molta America in Italia. Conosciamo la storia dei nostri avi e tutto quello che, a partire da Cristoforo Colombo, gli Italiani hanno realizzato negli Stati Uniti e continuano a fare. Tutte le persone di buon senso lo riconoscono e lo apprezzano.
Qual è la finalità del Learn Italy International Award?
Far parlare dell’Italia e della migliore italianità possibile, quella coraggiosa, che fa le cose con il petto in fuori e si fa ammirare dal mondo.
La sede istituzionale che ospita la cerimonia di premiazione cosa sottolinea?
Sottolinea che il Learn Italy International Award è diventato un premio prestigioso che ha raggiunto una valenza internazionale in sole tre edizioni.
Cosa deve l’Italia alle personalità premiate?
L’Italia deve molto a queste personalità che nel mondo della comunicazione hanno fatto uscire fuori il profilo contemporaneo e moderno del nostro Paese. Sono persone sulle quali il nostro Paese deve puntare per continuare a lanciare l’Italia nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti che ci amano molto.
Claudio Pagliara
L’Italia come è raccontata oggi in America?
Il prestigio del nostro Paese è cresciuto enormemente negli ultimi mesi e l’Italia è oggi raccontata bene. Abbiamo vinto tutto nello sport e siamo molto bravi nel contenere la pandemia. Anthony Fauci, un monumento della scienza che non ha bisogno di presentazioni, ha pubblicamente dichiarato che gli Stati Uniti hanno imparato e stanno imparando molto dall’Italia. Non poteva arrivare complimento migliore all’Italia e al nostro governo per l’attività svolta ma è un complimento meritato, perché i dati dimostrano che siamo tra i primi in Europa e sicuramente molto più avanti degli Stati Uniti, nel contenimento della pandemia. E questo aiuta molto la nostra immagine in America.
La narrazione dell’Italia in America va finalmente oltre gli stereotipi tradizionali o qualcosa rimane ancora?
Credo stia andando oltre gli stereotipi. Gli Americani amano il nostro Paese e lo conoscono molto bene, forse siamo più noi Italiani che a volte guardiamo agli stereotipi che ci sono. Se si conosce veramente bene l’America e si parla con gli Americani, si capisce che l’immagine dell’Italia è molto importante. Il nostro made in Italy, nonostante i dazi che ci hanno penalizzato, sta andando molto bene, con la ripresa e la riapertura degli Stati Uniti, stiamo facendo risultati molto positivi e questo è la dimostrazione che l’immagine dell’Italia e dei nostri prodotti è altissima. E ce lo meritiamo.
Italia e America hanno una antica corrispondenza di amorosi sensi e se per l’Italia c’è ancora il sogno americano, per l’America cosa c’è di attraente in Italia?
Continuo a incontrare persone che sono leader nel loro settore, dall’arte all’imprenditoria, che sognano di venire un giorno a vivere in Italia, riconosciuta come un Paese dove si vive molto bene, con posti bellissimi, che attrae per la ricchezza di arte, buon cibo, per la gente genuina e calorosa. E’ un sogno molto forte quello di venire a vivere in Italia anche da parte degli Americani ma è altrettanto forte il sogno americano dei giovani italiani che nonostante la pandemia e le conseguenti chiusure, stanno facendo di tutto per ottenere la Carta Verde perché pensano che in America possono sviluppare al meglio le loro qualità e realizzare i loro sogni. E’ un sogno reciproco che fa piacere constatare e raccontare.
La Rebirth di New York, la rinascita culturale tanto attesa, è partita con un concerto di Arie d’Opera a Central Park, con un direttore d’orchestra italiano. La musica, l’opera, la storia e la cultura italiana è ancora tanto attrattiva per l’America?
Non solo la riapertura di New York è avvenuta con un concerto di Arie d’opera italiane a Central Park, ma la riapertura del Metropolitan, che compie 150 anni, è avvenuta con una grande mostra “THE MEDICI. Portraits & Politics 1512-1570”, dedicata a I Medici e quindi all’Italia, al centro dell’attenzione degli Stati Uniti per l’importanza della sua produzione artistica, per ciò che ha realizzato nel corso dei secoli e anche per la produzione artistica contemporanea. Da I Medici, all’opera, al design, al food & beverage siamo ancora molto apprezzati negli Stati Uniti.
Le sue corrispondenze raccontano all’Italia la ripresa di New York, una città che definisce tenace. In cosa lo è e cosa può insegnare all’Italia?
Vedo in New York una forza inarrestabile che forse dovremmo imparare anche noi. Molti Italiani non sono consapevoli di quanto l’Italia valga nel mondo e di cosa rappresenti esattamente. E’ una realtà che si comprende pienamente solo uscendo dai nostri confini e viaggiando in giro per il mondo. La tenacia di New York andrebbe imparata e importata, perché è una città che ha vissuto il periodo forse peggiore della sua storia e tuttavia non ha mai smesso di immaginare il suo futuro. Le Big dell’ hi tech, Facebook, Google, hanno investito proprio mentre i loro uffici erano chiusi e decine di migliaia di hi tech workers lavoravano da casa, hanno comprato nuovi spazi perché sapevano che New York sarebbe tornata a essere quella che è sempre stata, un posto di eccezionale creatività. La gente che si forma a New York deve per forza essere tenace, perché la città, al di là del fascino e della bellezza che colpisce il turista, può essere anche dura e difficile per chi sceglie di abitarla. Le persone che vivono a New York assorbono l’atmosfera di una città tenace che poi esprimono in ogni campo, nella cultura, nell’arte, nell’imprenditoria e nella creatività hi tech.
Come sarà New York dopo la pandemia?
Credo che diventerà la First Silicon Valley, perché vedo spostarsi a New York molta dell’hi tech che una volta pensavamo in California. New York non è più solo un centro di servizi finanziari di portata mondiale ma è anche polo di attrazione e uno dei centri più vivaci dell’ hi tech americana.
La RAI è ancora oggi un grande canale di informazione e diffusione culturale, racconta il presente e custodisce, nei suoi archivi, la memoria del nostro Paese. Il Learn Italy International Award è un riconoscimento a lei ma anche al ruolo che la RAI svolge nel connettere il mondo?
Sono tante le fonti di informazione negli Stati Uniti, anche per gli Italoamericani, ma la RAI continua a essere presente nel loro immaginario mediatico, la ascoltano e la guardano. Le Teche rappresentano la memoria storica del nostro Paese alla quale ha bisogno di accedere chi da molti decenni vive lontano, per conoscere le proprie radici che sono linfa vitale e per non dimenticare mai da dove veniamo. Viva la RAI e il suo ruolo di pensatore e distributore di cultura, una grande azienda culturale che da tanti decenni è vicina a tutti gli Italiani, anche a coloro che vivono all’estero.
Piero Armenti
Quanti modi ci sono di raccontare New York?
L’unico che conosco è quello che include un grande amore e una grande passione per New York, una città che ha la capacità di stupire continuamente, anche se ci vivi da molti anni e che non ti fa invecchiare mai.
C’è un modo italiano di raccontare New York nella narrazione di Piero Armenti?
Sì, è un modo molto legato alle origini italoamericane della città. È incredibile pensare a quante Little Italy ci sono a Manhattan, nel Bronx, a Brooklyn e questo mi fa pensare cosa ha significato l’America per noi Italiani. Cerco di raccontare anche queste cose, oltre alla mille luci di Manhattan che amo soprattutto di notte.
Il suo racconto parte dai social e atterra concretamente nella vita reale con la sua agenzia di tour operator e con i libri che raccontano la città. Che messaggio lancia a chi guarda con diffidenza il mondo social?
Il mondo social è stato per me un grande canale di comunicazione, quando guardo i dati quasi mi spavento, perché le mie pagine arrivano a 80/90 milioni di persone a settimana, in quanto molti le guardano più volte. I social dipende da come si utilizzano, a me hanno dato la possibilità di avere un mio canale tv privato senza averne i costi, che sono a carico di Facebook. Sono uno strumento importante di comunicazione di massa e mi dispiace che molte persone non lo capiscono e lo sottovalutano.
Il suo mondo social da cosa è costituito?
Dalle pagine Facebook de “Il mio viaggio a New York” e “Piero Armenti” che hanno 2 milioni e mezzo di followers, Instagram e la pagina spagnola che ha più di un milione di followers.
Un filosofo italiano, Luciano Floridi, che ha trovato l’America in Inghilterra, ha coniato la nuova dimensione dell’onlife. È una definizione che appartiene alla sua vita in larga parte condivisa?
Grazie per aver citato Luciano Floridi, un filosofo che rappresenta un orgoglio italiano nel mondo. La dimensione naturale della mia narrazione include la massima trasparenza e autenticità del mio stile di vita, altrimenti non potrei continuare a fare video perché non si può essere artificiali H24. Io lo definisco l’ultrarealismo dei social media che sono la chiave vincente.
L’onlife la rappresenta?
Sono convinto di sì, anche perché la mia maniera di fare video con uno smartphone, con inquadrature a volte traballanti, sembra sgrammaticata ma offre una immedesimazione incredibile. È una rivoluzione della maniera di raccontare, come lo è stato Picasso nell’arte che faceva figure che non venivano comprese, ma dopo Picasso non c’è stato un modo diverso di fare arte.
I suoi racconti lanciano l’idea che New York non è poi così lontana, offrono gli strumenti concreti per visitarla e viverla anche senza molti soldi, ma questo serve più agli Italiani o agli Americani?
Gli italiani amano New York, ne sono assolutamente ossessionati. Se la sono sentita raccontare in molti modi, dai film, dallo zio d’America che c’è in molte famiglie ma al rovescio anche gli Americani adorano l’Italia. È una relazione simmetrica ed equivalente, diciamo che è l’amore perfetto.
Il mondo social che la segue è lo stesso che compra e legge i suoi libri?
Sì e no. Il libro è una maniera classica e tradizionale di raccontare quello che racconto con i social. La presentazione a Roma del romanzo “Se ami New York”, il mio terzo libro dedicato a New York, è il tentativo di raccontare la città attraverso le vicende di un personaggio che proprio qui cambia e sconvolge la sua vita. Roma ha accolto con grande entusiasmo il libro.
Cosa racconterebbe a una platea di italiani d’America poco social e molto local?
Molti italiani d’America a volte hanno un po’ di diffidenza verso Manhattan, la vedono pericolosa e tendono a frequentarla poco. Io invece li invito a tuffarsi, con l’ingenuità di un bambino, tra le strade di New York, che sia Manhattan, Brooklyn, Queens, è una cosa bellissima che va fatta a qualsiasi età. Mia madre ha 70 anni e quando viene a New York, ringiovanisce di 30 anni, cammina, scopre, vive con l’energia e l’entusiasmo di una ragazzina. Perché a New York non si invecchia mai.