Roma è la città più verde d’Europa, con il 67% del territorio comunale composto da parchi urbani, ville storiche, giardini pubblici e riserve naturali. Se le ville storiche hanno una antica origine di committenza privata, realizzate per cardinali e nobili, fruibili nella storia passata solo da una ristretta cerchia di privilegiati, Roma ha anche una grande e democratica tradizione di giardini pubblici destinati al popolo, spazi per tutti che ne hanno accompagnato lo sviluppo urbanistico dagli anni Venti del Novecento.
Il protagonista indiscusso nella progettazione del verde pubblico romano è stato Raffaele de Vico, giardiniere d’arte e architetto paesaggista, che è intervenuto, in maniera significativa ma non invasiva, in aree archeologiche e in grandi spazi urbani, creando nuove tipologie di giardino, conferendo dignità a luoghi anonimi e abbandonati e recuperando frammenti sopravvissuti alle devastazioni delle ville nobiliari. Tanti sono stati i suoi progetti, altrettante le realizzazioni, il Serbatoio Idrico di Villa Borghese e di via Eleniana, la sistemazione del giardino di Piazza Mazzini che per la sua complessità strutturale rese protagonista l’Italia a Londra nel 1948, in una esposizione europea, i giardini dell’EUR con la grande cascata del parco centrale, il parco della Rimembranza di Villa Glori, il Giardino Caffarelli ai Musei Capitolini, il Monumento Ossario ai Caduti della Grande Guerra al Verano, il Parco di Colle Oppio, il Parco Nemorense, l’ampliamento del Giardino Zoologico e anche, in epoca successiva, la sistemazione di giardini e ville private. La progettazione paesaggistica di de Vico si ispirava a solidi principi ambientisti, al rispetto di quello che già c’era, le realtà archeologiche, soprattutto quando, come lui stesso scriveva, doveva sistemare a parco Colle Oppio,
“lo storico colle a cospetto del Colosseo e con lo sfondo del Palatino, la cui progettazione mira al doveroso rispetto delle vestigia che ne hanno suggerito l’originale armonia”.
L’idea di paesaggio che de Vico promosse nella Roma degli anni Venti, originale e innovativa, cambiò per sempre il volto di Roma. Il suo archivio è stato donato dalla famiglia, nel 2017, all’Archivio Storico Capitolino, importante istituzione culturale che custodisce la memoria di Roma e dei suoi cittadini, che ha condiviso il valore della documentazione acquisita, organizzando nel 2018 una mostra a Palazzo Braschi, completata oggi da un volume, concepito come catalogo, ma che assume le caratteristiche di un manuale enciclopedico per la ricchezza dei documenti. Il libro ricostruisce compiutamente la visione della progettazione paesaggistica che ha reso Roma una città accogliente anche per i luoghi suggestivi destinati al verde pubblico.
Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Massimo de Vico Fallani, nipote di Raffaele e coautore del libro “Raffaele de Vico architetto e paesaggista. Un consulente artistico per Roma” e Alberta Campitelli, presidente dell’Accademia di Belle Arti ed esperta di giardini storici, per conoscere le ragioni per le quali Raffaele de Vico è nella storia urbanistica e archeologica di Roma.
Massimo de Vico Fallani
Un libro accende finalmente un faro di attenzione sul primo architetto paesaggista di Roma?
La figura di Raffaele de Vico è passata inosservata per molti anni. Con lo sviluppo della città gli studiosi, urbanisti e architetti, si sono incontrati con una grande quantità delle sue realizzazioni, prevalentemente giardini, ma non soltanto e hanno cominciato a capire che studiare Raffaele de Vico poteva essere utile per il loro lavoro, sia per capire come recuperare opere che rischiavano di andare in degrado, sia come costruire meglio la città futura.
Quali sono le opere di arte pubblica realizzate a Roma da Raffaele de Vico?
Innanzitutto i giardini, il Parco Nemorense, il giardino di Piazza Mazzini, Colle Oppio, le due grandi costruzioni architettoniche del serbatoio d’acqua di Villa Borghese e di via Eleniana, vicino all’anfiteatro Castrense, i giardini e i parchi dell’EUR. Raffaele de Vico era già all’EUR, come Sovrintendente, per la realizzazione delle opere previste in occasione della grande esposizione universale del 1942, che non si tenne a causa della guerra. Fu poi chiamato dopo la guerra per ricostruire l’Eur e per completare l’opera iniziata, in vista delle Olimpiadi di Roma del 1960. La sua opera principale è la grande cascata del parco centrale all’EUR, oggi finalmente riaperta al pubblico dopo 61 anni.
L’architetto Raffaele de Vico come ha costruito il verde di Roma?
Roma è la città al mondo dove il verde assume una grande importanza in quanto si lega all’archeologia. Alcuni studiosi stranieri hanno scritto che i giardini di Roma sono i più originali perché hanno una associazione con le rovine. A fine ‘800 l’archeologo Giacomo Boni aveva inventato i parchi archeologici del Foro romano e del Palatino. Mio nonno lo conobbe e apprese da lui l’insegnamento a realizzare giardini seguendo la profonda intimità tra giardini e archeologia, che è il marchio caratteristico e caratterizzante dei giardini romani. E’ questo il motivo per cui il verde a Roma ha una grande importanza.
Roma non sarebbe Roma senza i suoi giardini?
Roma non sarebbe Roma senza i suoi giardini che sono unici, pieni di fascino perché la loro realizzazione è stata pensata in maniera ragionata, scegliendo con attenzione le specie vegetali ornamentali, pini, cipressi, mirto, alloro, oleandro, rose, melograni, magnolie erano selezionati sulla base di studi fatti in precedenza che risalivano finanche allo storico Plinio, per evitare radici che potessero danneggiare le strutture sottostanti. La bellezza dei giardini nasce dalla conoscenza di una storia antica e dalle vedute dei paesaggisti del ‘600.
Un libro per ricordare l’architetto paesaggista de Vico. Perché proprio ora?
Dopo aver curato personalmente il riordino dell’archivio di mio nonno, con le mie sorelle lo abbiamo donato all’Archivio Storico Capitolino, che ne ha apprezzato il valore storico e culturale. Parte del materiale, tutti documenti originali accompagnati da un filmato, è andato in mostra a Palazzo Braschi e l’esposizione ha attirato un gran numero di visitatori. Tuttavia tra il materiale esposto in mostra e quello che ancora si deve conoscere, c’è un grande spazio che il libro ora pubblicato vuole andare a colmare. E’ un catalogo che segue la mostra ma, per la ricchezza di contenuti, è in realtà un vero e proprio manuale che dà forma a una ricchezza documentaria immensa. E’ un libro organico e completo.
Il libro lancia un messaggio?
Mi piacerebbe che servisse a far capire che il verde non è un ornamento ma una parte integrante dell’architettura. Se si capisse questa cosa fondamentale, la città cambierebbe.
Cosa era l’architettura per Raffaele de Vico?
L’architettura era il disegno delle cose dove noi viviamo. L’opera d’arte si poteva realizzare solo se chi la disegnava, sapeva anche eseguirla come esecutore materiale. Non a caso era figlio di uno scultore.
Alberta Campitelli
Qual è il contributo che Raffaele de Vico ha dato a Roma?
De Vico è riuscito a recuperare lembi sopravvissuti di ville storiche distrutte o da demolizioni, alle quali ha ridato dignità e a creare spazi pubblici. A Roma avevamo le passeggiate del Pincio e del Gianicolo, nate per il popolo ma non vi erano giardini di quartiere. Raffaele de Vico ha disseminato, in tutti i quartieri, dal Nomentano a San Giovanni, a Testaccio giardini pubblici, dove i bambini potevano andare a giocare e il popolo romano a trascorrere il tempo. De Vico ha dato vita, gioia e colore a questa città, il suo è stato un contributo di grandissimo valore, da apprezzare e conservare. Spero che questo libro serva a far capire il valore del patrimonio verde che abbiamo e a conservarlo meglio.
L’architetto de Vico è stato un visionario, un precursore o un costruttore del verde pubblico?
Ha intuito che era necessario fare luoghi democratici, nonostante fosse il tempo del fascismo e i giardini erano utilizzati anche per la propaganda populista, ma erano spazi pubblici che offrivano un servizio pubblico. E’ stato capace di interpretare il suo tempo, con professionalità, serietà e anche con grande passione. E questo è un merito importante.
E’ riuscito a traghettare Roma in un approccio moderno al verde?
Spero che Roma torni a essere la città più verde d’Europa, perché lo è. Il Comune di Roma è proprietario di 42 complessi di verde storico, intese come aree verdi storiche, non viali alberati o giardinetti di quartiere, dalla grande estensione di Villa Pamphilj con i suoi 184 ettari, a Villa Aldobrandini in via Nazionale di un ettaro e mezzo, tutti purtroppo oggi accomunati da un grande degrado. Spero che ci sia un ritorno di sensibilità verso un patrimonio fondamentale per una città moderna.
Raffaele de Vico è stato un giardiniere d’arte o un architetto d’arte?
E’ stato più giardiniere che architetto, anche se molti sono stati i suoi progetti architettonici. Ha realizzato il Serbatoio di Via Eleniana che è un’opera architettonica eccellente, ma non è stato l’architetto dei grandi progetti urbani, perché la sua vera innovazione si è realizzata nel verde.
De Vico ha lavorato alla realizzazione di una città delle arti a Roma che ancora non c’è. E’ un progetto che si concretizzerà?
Raffaele de Vico ha lavorato per 30 anni alla progettazione di un polo di formazione, una città delle arti, che poteva nascere a Valle Giulia ma che non è mai nato. Come Presidente dell’Accademia di Belle Arti soffro molto il non poter dare ai nostri studenti spazi adeguati dove potersi formare in modo completo e pieno, perché la città dell’arte, dove i ragazzi possono trovare tre poli di formazione artistica in continuità tra loro, liceo, accademia e università finora a Roma non è stata mai realizzata. Raffaele de Vico avvertiva profondamente questa esigenza, perché anche lui era stato studente e docente all’Accademia delle Belle Arti. E’ la storia infinita di una città votata all’arte che non si è saputa dare una città delle arti. Spero di riuscire a vederla in un prossimo futuro.