Pietro Cascella è un nome immediatamente identificabile con l’autore di sculture importanti che adornano palazzi istituzionali, piazze di grandi città, stazioni centrali, luoghi di cultura. In realtà la storia di Pietro Cascella presenta una ricchezza narrativa che attraversa diverse esperienze artistiche, non solo scultura ma anche disegno e pittura, e merita di essere approfondita insieme al contesto familiare da cui trae origine.
Pietro nasce a Pescara nel 1921 in una famiglia che di artisti da generazioni, pittore il nonno, il padre, lo zio, il fratello, i famosi Noi Cascella i cui volti ritrarrà in una delle sue prime opere e che apre il percorso espositivo della mostra PIETRO CASCELLA INEDITO, allestita nel Casino dei Principi di Villa Torlonia. La sua formazione artistica parte dalla bottega artigiana del padre Tommaso in quella terra d’Abruzzo le cui influenze, sentimentali e artistiche, sono chiaramente rintracciabili nelle sue prime opere, disegni, acquerelli e olii prevalentemente a tema paesaggistico e a soggetto bucolico. Si perfeziona a Roma dove Pietro si trasferirà nel 1938 per studiare pittura all’Accademia delle Belle Arti, sarà raggiunto qualche anno dopo dal fratello Andrea. Le prime esperienze pittoriche sono incoraggianti, nella capitale si confronta con nuovi linguaggi artistici, è chiamato a partecipare alla IV Quadriennale di Roma e alla XXIV Biennale di Venezia. Mentre imposta la sua vita personale sposando la mosaicista Annamaria Cesarini Sforza, cerca una sua dimensione artistica che troverà nella scultura. Fondamentale e ricca di spunti creativi è l’esperienza che vive nelle fornaci di Valle d’Inferno a Roma, vicino al Vaticano, dove “c’erano le fornaci di mattoni, dietro San Pietro” e dove
“Pietro e Andrea Cascella, a un certo momento della loro giovane arte… hanno messo da parte i loro cavalletti e in armoniosa collaborazione, hanno preso a modellare nella creta vasi d’ogni sorta, estraendone forme spiritate e argute, arnesi emblematici e da scongiuro quali può suggerirne la loro terra d’Abruzzo… che mantiene integra e saporosa la tradizione della ceramica”.
Le parole di Libero De Libero, critico d’arte e poeta, contemporaneo di Pietro e Andrea Cascella, sottolineano il passaggio dalla pittura alla scultura che attraverso l’incontro con materiali diversi, ceramica, mosaico, bronzo, alluminio, fino ad approdare alla pietra che diventerà la sua materia, consacrerà Pietro Cascella nell’Olimpo degli scultori. PIETRO CASCELLA INEDITO è pertanto non solo il titolo di una mostra, accompagnata da un raffinato e ricco catalogo delle opere, che Roma dedica all’artista del quale custodisce importanti testimonianze artistiche, come la ceramica policroma collocata al di sopra del portone del Palazzo all’ex Ministero del Tesoro in via Sicilia o il grande mosaico alla Stazione Termini, ma è una straordinaria occasione per conoscere le opere degli esordi a Roma, dal 1938 al 1961, alcune mai esposte, che raccontano una storia personale, familiare e sociale dell’Italia post bellica, piena di vita e di speranza.
Fondazione Osservatorio Roma e ICN Radio incontrano Tommaso Cascella, pittore e curatore della mostra dedicata al padre Pietro e Francesca Triozzi, storica dell’arte.
Tommaso Cascella
Pietro Cascella Inedito perché?
La mostra è un focus sulle prime opere di uno dei pochi artisti del dopoguerra romano, realizzata grazie a che consentono di raccontare un capitolo poco noto, direi inedito, di Pietro Cascella.
Cosa raccontano le opere esposte?
Raccontano il primo periodo, è esposto un nucleo di opere realizzate da mio padre diciottenne e ventenne, prestate dal museo Basilio Cascella di Pescara che documentano un lavoro figurativo. Le opere realizzate dopo l’arrivo a Roma, rappresentano l’apertura alla modernità, con la scoperta di Picasso che dà avvio alla sua attività prima come pittore e poi come scultore.
“Noi Cascella” è l’opera che apre il percorso espositivo. Chi erano i Cascella di Pescara?
Il mio bisnonno Basilio è stato il capostipite di questa famiglia di pittori, che a fine Ottocento dipingeva e che ha continuato a dipingere con i figli Michele, Gioacchino e Tommaso, l’ultimo è mio nonno, padre di Pietro e Andrea, tutti pittori. La tradizione artistica della famiglia Cascella continua con i figli maschi di Pietro, oltre a me c’è anche Jacopo e oggi la quinta generazione di pittori prosegue con i miei figli Matteo e Davide Sebastian.
L’arrivo a Roma e il lavoro a Valle dell’Inferno cosa ha significato per Pietro Cascella?
La scoperta di una cultura artistica che dopo la guerra, finalmente si apriva all’Europa e al mondo. Una tappa importante per la sua formazione da scultore è stata la Valle dell’Inferno, dove c’erano decine di grandi fornaci che producevano mattoni e marmi per la Fabbrica di San Pietro e per la decorazione di Roma. Pietro e Andrea, insieme a mia madre Annamaria Cesarini Sforza e al pittore Fabio Rieti, avevano un piccolo spazio insieme agli operai che lavoravano nella cooperativa che gestiva questo posto, dove c’erano cave di creta, acquitrini e alte ciminiere dei forni alimentati a legna. Mio padre e il suo gruppo cominciarono a realizzare ceramiche commissionate per i grandi lavori di decorazione di quegli anni, ma anche vasellame per uso quotidiano. Insieme a loro c’era l’operaio Angelo Brogna, un ragazzo come loro, vasaio al tornio che abitava con la moglie in una baracca costruita lì vicino, in una sola notte, con l’aiuto dei fratelli Cascella. Noi invece abitavamo a Piazza dell’Orologio.
Quali erano i luoghi di Roma che venivano decorati dalle ceramiche dei Cascella?
Luoghi pubblici, cinema, bar, perché allora c’era un’arte diffusa e bella che permetteva agli artisti di esprimersi, in felice sinergia con gli architetti dell’epoca.
A Roma sono rimaste testimonianze della produzione artistica Cascella risalenti a quel primo periodo?
Sono rimaste importanti testimonianze di mosaici, fino a poco tempo fa c’era il grande mosaico della Stazione Termini provvisoriamente smontato ma in via di ricollocamento, tutti i cinema della catena Amati, alcuni chiusi, qualcuno ancora aperto.
Qual è stato il materiale preferito da Pietro Cascella?
La pietra, soprattutto il travertino, che mio padre definiva “un pane”, per il suo colore ma anche perché era per lui pane quotidiano.
Cosa racconta di inedito la mostra allestita al Casino dei Principi di Villa Torlonia?
La novità di opere esposte per la prima volta o dopo molto tempo. I dipinti sono degli anni Trenta e Quaranta, le prime sculture risalgono al 1948. E’ una mostra che mette insieme tanti oggetti e quando si parla di ceramica, non è mai una cosa scontata riuscire a farlo, per la fragilità delle opere, perché qualcuna è andata distrutta, qualcuna persa.
Il Museo Basilio Cascella di Pescara custodisce molte delle opere esposte a Roma
Si, il Museo Civico Basilio Cascella custodisce un nucleo importante delle opere giovanili e non, ma in mostra ci sono anche opere provenienti da collezioni private e naturalmente dalla collezione della nostra famiglia. E’ una mostra che merita di essere visitata perché inquadra un periodo poco esplorato che può interessare anche i giovani, in quanto racconta la storia di altri giovani, ragazzi creativi che nella Roma del dopoguerra, inventavano l’arte in un clima culturale e artistico che ruotava attorno a energie giovanili come Flaiano, Fellini e altri, in un clima vivace e bello da rivivere e ricordare.
Le opere di ceramica in mostra, allegre e colorate, raccontano la speranza che animava Roma negli anni Cinquanta?
Certamente, era una ceramica assimilabile a un pre Pop Art americano, con colori accesi e vitali, che raccontavano in modo nuovo, un tempo di rinascita.
Francesca Triozzi
Un percorso espositivo importante che si articola sui due piani del Casino dei Principi
Si, un percorso espositivo suddiviso in sale, a cominciare dalla prima dove sono esposti in bacheca i cataloghi più antichi delle mostre su Pietro Cascella, il catalogo del Monumento di Auschwitz, un’opera fondamentale per la messa a fuoco del principio di scultura come arte corale e dove sono esposte le prime opere realizzate.
Ce ne presenta qualcuna?
“L’insegna della mia bottega” è un’opera realizzata in ferro con inserti di pietra, “Noi Cascella” è un dipinto che rappresenta la famiglia, realizzato da un Pietro giovanissimo, nel 1940, nella bottega paterna. Il nonno Basilio, pittore, incisore, fotografo, era un personaggio poliedrico che ha dato inizio a una generazione di artisti, i Cascella.
La seconda sala cosa racconta?
Espone i dipinti custoditi nel Museo Cascella di Pescara, quello che prima era lo stabilimento cromolitografico di famiglia. Ci sono pastelli su carta, studi di volti, figure di donne e animali realizzati nella bottega del padre, scene mitologiche, una Crocifissione e una uccisione del cinghiale che fanno parte di un percorso figurativo che Pietro Cascella supera fino a sperimentare altre tecniche artistiche e nuovi linguaggi astratti.
La sala dedicata alla scultura cosa espone?
Espone i primi bronzi e gli allumini di grande dimensione realizzati negli anni Sessanta, bozzetti sviluppati per grandi sculture come le forme che si avvicinano alle sue future Veneri.
La conoscenza di Picasso cambia la pittura di Pietro Cascella?
Si, lo fa entrare in una visione più autonoma e influenzata dallo spirito del tempo, fatto di rinnovamento e rivoluzione.
Sono esposte opere rappresentative dell’esperienza a Valle Inferno?
E’ esposta una testa in ceramica realizzata nel 1951 colorata, fantasiosa come tutte le sue ceramiche realizzate a Valle Inferno, con colori accesi proprio per festeggiare lo scampato pericolo della guerra. Sono esposti anche oggetti di uso comune realizzati a Valle Inferno, piatti, portafiori, ciotole che Pietro e Andrea vendevano per guadagnarsi da vivere ma in cui mettevano estro e creatività. Sono in mostra anche progetti per importanti decorazioni parietali commissionate per palazzi romani e per alcune chiese del Sud Italia, ai quali Pietro lavorava con la moglie, bravissima mosaicista.
Una delle sculture più particolari esposte è il Mazzamurello. Cosa rappresenta?
Il Mazzamurello è una creatura fantastica del mondo popolare, che si intrufolava nelle case, una credenza popolare a cui Pietro Cascella ha dato forma.
La Sala delle Sabbie cosa contiene?
Quadri materici, definiti dalla critica “quadri scultura” proprio perché comincia a emergere la terza dimensione, in particolare quando l’artista crea protuberanze che escono dalla tela. I quadri di sabbia sono molto vicini all’arte informale, realizzati con una tecnica mista, sulla tavola l’artista inserisce tele, colori, carbone, oggetti. C’è una terracotta smaltata dove ha impresso tenaglie, strumenti da fabbro.
Una gigantografia documenta il progetto per il Monumento di Auschwitz, un’opera compiuta o incompiuta?
Nel 1957 il Comitato internazionale di Auschwitz aveva bandito un concorso per realizzare un monumento commemorativo ad Auschwitz a cui parteciparono oltre 700 artisti e uno dei progetti vincitori fu quello presentato da Pietro e Andrea Cascella, in collaborazione con l’architetto Julio Lafluente. Il progetto prevedeva la costruzione di 23 vagoni in cemento, ferro e pietra che rappresentavano le nazioni deportate, con inciso su ogni vagone il nome della nazione che aveva subito lo sterminio nazista. Questo primo progetto vinse ma non passò la selezione della giuria internazionale di assegnazione, secondo la quale questi vagoni avrebbero tagliato una parte della visione generale della landa desolata di Auschwitz, determinando un ostacolo ai visitatori e togliendo forza evocativa al lager. Pietro, dopo diversi anni, ripropose un nuovo progetto in collaborazione con l’architetto Simoncini, realizzato nel 1967 ed è quello che oggi si vede ad Auschwitz, pietre tombali e una lastra di granito nera al cui centro appare il triangolo rovesciato, simbolo dei prigionieri politici. Auschwitz rappresenta la conclusione della mostra perché è l’opera monumentale più importante di Pietro Cascella, forse non ancora adeguatamente conosciuta.