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Zakhor ricorda il Giorno della Memoria

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Il 27 gennaio, Giornata Internazionale della Memoria, è  una data simbolo e un pugno nello stomaco che va vissuto con consapevolezza, al di là della diffusa attitudine a celebrazioni rituali che rischiano di essere fini a se stesse. Il 27 gennaio non è un giorno scelto a caso per ricordare l’atrocità della Shoah, ma è il momento preciso in cui il 27 gennaio 1945, era un sabato, l’esercito russo dell’Armata Rossa scoprì e liberò il campo di concentramento di Auschwitz, il giorno in cui l’umanità si vergognò di se stessa. Solo sessanta anni dopo la scoperta dell’inenarrabile, esattamente il 1 novembre 2005, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite designò la Giornata internazionale della Memoria per ricordare le vittime dell’Olocausto. Roma dedica alle celebrazioni del Giorno della Memoria 2023, dal 18 gennaio al 12 febbraio,  un progetto espositivo diffuso in sei musei civici che ha un titolo di grande impatto, Zakhor/Ricorda.

Opere realizzate in passato da sei artisti contemporanei israeliani saranno visibili solo in video attraverso installazioni nei sei musei che le ospitano, Centrale Montemartini, Museo dell’Ara Pacis, Museo di Roma, Museo di Roma in Trastevere, Galleria d’Arte Moderna, Museo di scultura antica Giovanni Barracco.

Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero incontra Giorgia Calò, curatrice del progetto espositivo e Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma.

Giorgia Calò, Zakhor possiamo declinarlo anche come verbo, affinchè ognuno possa dire io Zakhor?

Zakhor è un monito, Ricordo, che appare 222 volte nella Torah e nella  Bibbia Ebraica, è una delle pietre miliari e del modo di vivere della cultura ebraica. Nella Torah è scritto non solo ricorda, ma anche non dimenticare, più esattamente non bisogna mai dimenticare ciò che ti fece Amalek, che è la rappresentanza del primo male assoluto del popolo Ebraico. La perpetuazione della memoria è fondamentale per andare avanti, guardare al futuro e soprattutto non cadere nell’oblio.

La memoria è un dovere, soprattutto per le giovani generazioni?

La memoria è un diritto e un dovere, c’è il dovere civico di ricordare le generazioni passate e il diritto delle nuove generazioni a non dimenticare ciò che è stato.

Perché Zakhor?

Zakhor significa Ricorda, cita un celebre libro di Yosef H. Yerushalmi e pone l’accento sull’importanza della memoria per la cultura ebraica.

Come si articola il progetto espositivo?

Insieme all’Ambasciata di Israele abbiamo scelto sei artisti e abbiamo deciso di esporre riproducendo in video due fotografie, due video e due loop fotografici di installazioni di mostre. Il motivo per cui le opere non sono esposte in originale ma solo attraverso riproduzioni, fa parte del percorso espositivo perché il pubblico deve visitare il museo cosciente di ritrovarsi in una sorta d’incursione, con un’opera che parla di tutt’altro.

Perché le opere sono trasmesse su video?

Per avere l’idea di una sorta di inciampo video, nel senso che come ci sono le pietre d’inciampo, il pubblico si ritrova davanti a un monitor che trasmette opere e fotografie. Tutto ciò per permettere al pubblico di riflettere su quello che sta vedendo, aiutato anche da un pannello esplicativo e da un Qrcode che permette di tracciare la mappa di tutti i musei coinvolti, con le opere e le biografie degli artisti. Le opere sono trasmesse su video perché la fugacità e l’immaterialità di quell’opera d’arte ci fa capire che quell’opera poteva non esistere se i genitori di quell’artista non si fossero salvati. E così il mezzo diventa messaggio.

Sono artisti contemporanei?

Sono artisti di seconda e terza generazione, i cui genitori e nonni sono scampati, fuggendo e riuscendo ad arrivare in Israele.

Quanta cultura abbiamo perso?

E’ un tema fondamentale della nostra riflessione, anche se non sapremo mai quanta cultura è stata tolta, sappiamo quante vittime ci sono state ma è inquantificabile cosa quelle vittime avrebbero potuto dare alla cultura occidentale.

Per presentare Zakhor oggi ci sono le istituzioni di Roma e Israele, segno di un rapporto storicamente importante

Tra le opere in mostra abbiamo scelto anche l’opera di Micha Ullman Second House- Jerusalem Rome, una installazione ambientale che non a caso si trova a Roma, a Piazza di Monte Savello, realizzata dall’artista in occasione  del Giorno della Memoria 2004 e rappresenta esattamente questo, perché la seconda casa, nella cultura ebraica, rappresenta il Secondo Tempio di Gerusalemme distrutto nel 70 d.C.  per mano di Tito ed è da lì che parte tutta la storia degli Ebrei nella prima, grande diaspora occidentale degli Ebrei. Il rapporto tra Roma e Gerusalemme dura da millenni.

Il Museo di Scultura antica Giovanni Barracco ospita  un’opera di Maya Zack

E’ un’opera originale di Maya Zack, una videoartista pluripremiata, dal titolo Counterligth, che significa contro luce. Si tratta di un video che fa parte di una trilogia esposta recentemente al Tel Aviv Museum e muove intorno alla storia del poeta Paul Celan. Il poeta ebreo riuscì a scampare alla razzia nazista, i genitori furono uccisi, ma Paul Celan non si liberò mai dall’incubo del nazifascismo e per questo morì suicida all’età di 50 anni. Il complesso, l’esegesi lasciati da Celan tra scritti e poesie, è fondamentale anche in questo  perché Celan non ha mai parlato espressamente di Shoah né di Olocausto, si riferiva alla Shoah con la frase “ciò che è stato”, per rappresentare il momento di cesura tra ciò che è stato prima e la Shoah.

Zakhor/Ricorda ha una fotografia rappresentativa di grande impatto emotivo e visivo, tre donne con un numero al polso

Three Sisters  dell’artista Vardi Kahana, esposta al Museo dell’Ara Pacis, è l’immagine guida che abbiamo scelto perché più esplicativa. Fa parte di un progetto realizzato dall’artista già negli anni Novanta, che ha cercato parti della sua famiglia, dentro e fuori Israele, ravvisando un corpus di immagini in bianco e nero, per rintracciare  maglie parentali che si sono perse per la guerra. La foto delle tre sorelle, la madre di Vardi Kahana con le sorelle, ha un fortissimo impatto iconografico, perché le tre donne si abbracciano  l’una con l’altra, con l’avambraccio scoperto, dove appare in primo piano il numero marchiato a fuoco. Il miracolo è che si siano salvate tutte e tre.

Cosa aiutano a fare progetti come Zakhor?

Aiutano a evitare quello che va assolutamente evitato, l’oblio e la dimenticanza.


Ruth Dureghello Presidente Comunità Ebraica di Roma

Presidente, la Giornata della Memoria si arricchisce ogni anno di nuove suggestioni, ma sono sufficienti?

Considerando quello che vediamo intorno a noi, direi proprio di no ma apprezziamo che larga parte della società civile e del mondo della cultura, della ricerca e dell’accademia si impegna nel rinnovare, nell’approfondire  e nel continuare la trasmissione della memoria. Ci sono purtroppo vuoti importanti nella formazione delle nuove generazioni, c’è un problema di ignoranza, indifferenza e incuria rispetto al tema della memoria. Noi siamo impegnati a dare voce e importanza a chi si pone sempre dalla parte giusta.

Come si costruisce e si tramanda la memoria?

Lo si fa tutti insieme, assumendo ciascuno un pezzetto della responsabilità collettiva, di quella che è l’importanza di avere una identità collettiva su valori comuni di rispetto, tolleranza, umanità che durante la Shoah non c’è stata.

Com’è il rapporto con Roma e lo Stato di Israele?

Lo Stato di Israele è sempre un punto di riferimento imprescindibile per la nostra comunità, con la città di Roma siamo legati per tradizione, storia e cultura millenaria, c’è un rapporto duraturo, prezioso e ancor più preziosa è la capacità di coordinare e mettere a sistema, agendo in maniera corale attorno ai valori fondamentali. Ci possono essere differenze, anche distanze in alcuni momenti e per tematiche particolari, ma sui valori si rimane accomunati negli obiettivi, con un passato e un futuro da voler costruire. Per questa ricorrenza ci siamo trovati tutti uniti in un racconto, in una testimonianza, in una responsabilità comune che si rappresenta all’interno di musei romani così differenti nella loro connotazione e nel pubblico che andranno ad accogliere, rispetto alla sfida , tanto importante e significativa nel presente, di trasmettere memoria nonostante la biologica scomparsa dei sopravvissuti e dei testimoni. Il museo, luogo di storia e di futuro, è il posto migliore per rappresentarsi e nel momento in cui i testimoni non ci sono più, il museo in sé diventa il luogo della testimonianza.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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