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Veniero’s. Storia di pasticcieri italiani a New York

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Veniero’s. Storie di emigranti italiani a NY è un libro sulla  storia di una famiglia italiana di Vico Equense che nell’Ottocento arriva a New York, si mette a far dolci, fonda una pasticceria che attraversa le generazioni, resiste nel tempo e continua ancora oggi, nello stesso posto e allo stesso modo, a produrre sfogliatelle, cannoli e biscotti, secondo un’antica ricetta scritta a mano. È una storia di emigrazione italiana, un racconto che sostanzia in modo paradigmatico l’importanza storica e culturale del 2024, l’anno delle radici italiane nel mondo. L’autrice di questo viaggio nel tempo che parte dal 1875, racconta vicende familiari ma anche il modo in cui si è formata la comunità italoamericana. È una ricostruzione senza stereotipi, realizzata con una rigorosa ricerca storica, interrogando archivi, analizzando documenti e raccogliendo i ricordi di anziani testimoni, ultimi custodi di preziosa memoria. Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero incontra Germana Valentini, scrittrice innamorata di New York e appassionata di storie italiane.

Perché le piace tanto New York?

New York è sempre stato il mio sogno fin da bambina, quando ero una piccola ballerina attratta dalle luci di Broadway nella Grande Mela. In realtà siamo in tanti a essere cresciuti con il sogno americano e soprattutto con la curiosità per questa incredibile città, raccontata da film, serie televisive e musical.

Cosa ha rappresentato New York per gli italiani in America?

New York simboleggiava gli Stati Uniti, era il primo punto di approdo per gli emigranti che guardavano la Statua della Libertà e la città di New York come ingresso nel nuovo mondo e in quella che speravano potesse essere una vita migliore. Non a caso, l’ultimo saluto che chi restava rivolgeva a chi partiva, era ci rivedremo all’altro mondo, che se andava bene significava si sarebbero rivisti in America, se andava male significava che non si sarebbero rivisti mai più.

Com’è lo sguardo sull’Italia da NY, da parte di chi è stato costretto a lasciarla per necessità?

L’Italia continua ad avere un posto speciale nel cuore degli Italoamericani di seconda e terza generazione che sono nati a New York, anche in quelli che seppur non siano ancora riusciti a visitarla, la adorano e coltivano il legame fortissimo delle loro radici italiane. La comunità italiana, anche quella formata dai nuovi migranti, di chi è arrivato in aereo e conserva un rapporto diretto con l’Italia grazie ai social e agli smartphone, ricrea a New York e in ogni grande città americana, una vera e propria piccola Italia, un quartiere dove ci si può veramente sentire a casa.

Da cosa nascono i suoi racconti sugli Italiani a NY?

Dalla grande passione che ho per questa città dove sono arrivata la prima volta nel 2006, tornandoci da allora con regolarità almeno due, tre volte ogni anno. Ho realizzato programmi televisivi raccontando gli Italoamericani, le loro vite, le loro storie perché ciascuna ha una sua particolarità e tutte sorprendono per la quantità di cose che raccontano.

In che modo gli Italiani hanno contribuito a costruire New York?

Potrebbe sembrare una frase fatta e una sintesi semplicistica ma in realtà gli Italiani hanno veramente costruito l’America e in particolare la città di New York. Tutto ciò che rappresenta il simbolo di questa città, opere di edilizia come il Chrysler Building, il Ponte di Brooklyn, l’Empire State Building, sono state materialmente costruite anche dagli Italiani, che hanno avuto un ruolo importante nell’affermazione di una istituzione economica, la Bank of America, nata Bank of Italy e fondata da un Italiano.  L’influsso italiano si riscontra in tanti ambiti, la stessa cerimonia di accensione dell’albero di Natale del Rockfeller Center, una delle attrazioni più famose della Grande Mela, è una tradizione che si deve agli Italiani. I nostri emigrati sono stati la grande forza di New York, soprattutto nei momenti storici più critici, nella Grande Depressione conseguente alla crisi del 1929, in altri avvenimenti politici o sociali che hanno messo a dura prova New York o quando la città è stata interessata da fenomeni metereologici sconvolgenti.

Gli Italiani mentre costruivano New York, si costruivano anche come comunità?

Si sono costruiti la loro comunità, la loro città, i loro spazi, a partire dalla prima chiesa italiana di Sant’Antonio da Padova, eretta nel 1858. Il culto della religione e il cibo italiano hanno unito la comunità, favorendo l’incontro tra le diverse regioni. L’emigrazione di massa in America inizia dopo l’unificazione del Regno d’Italia ma la Little Italy dell’immaginario collettivo, era suddivisa per regioni, Mulberry Street abitata da chi arrivava dalla Campania, Mott Street da calabresi e pugliesi, Elizabeth Street, chiamata Elisabetta stretta, dai siciliani.

Perché c’era una suddivisione regionale?

Era dettata dall’esigenza di stare con persone che parlavano lo stesso dialetto e mangiavano le stesse cose. I nostri emigrati sono riusciti a costruire una comunità italiana che comprendesse e accogliesse tutti gli Italiani, qualsiasi fosse la regione di provenienza, condividendo ricette, riunendosi per celebrare le feste patronali, costruendo un’Italia fuori dall’Italia.

Perché raccontare proprio la storia dei Veniero tra le tante storie italiane a New York?

Veniero’s è una pasticceria che si trova nell’East Village, nella 11th Street, tra First and Second Avenue, da 130 anni. È il primo dato che mi ha colpito perché New York è una città che cambia continuamente e trovare un’attività che da oltre cento anni è sempre nello stesso posto, gestita dalla stessa famiglia, è qualcosa di veramente raro.

Come l’ha scoperta?

Sono entrata per la prima volta in questo posto magico, come inviata per una trasmissione televisiva e ho subito provato una sensazione incredibile. Sono stata inebriata da un profumo di dolci che non sentivo da quando ero bambina, un odore di cose buone, di gusti autentici che in Italia non mi capita di sentire più. La pasticceria Veniero ha avuto su me l’effetto della Madelein di Proust,  ha risvegliato ricordi di sapori e odori che non avvertivo da tempo. Ho conosciuto il proprietario, Robert Zerilli e mi sono fatta raccontare la storia di questa antica pasticceria italiana.

Ha tanti motivi di interesse?

È una storia straordinaria che coinvolge non solo le tre famiglie e i dipendenti che ruotano intorno a essa in oltre un secolo di attività, ma tutta la comunità italoamericana e l’East Village che agli inizi del XX secolo era una zona totalmente italiana, oggi invece non lo è più dal momento che l’emigrazione italiana è molto cambiata.

Cosa c’entra Vico Equense e perché la sua ricostruzione storica parte da lì?

Perché la storia dei Veniero parte da Vico Equense, una piccola gemma incastonata nella penisola sorrentina, anzi esattamente dal Gran Caffè Zerilli, che si trova nella piazza principale del paese. Il Caffè scrive e incrocia storie veramente da film, già nell’Ottocento era un cafè chantant, il bisnonno di Bruce Springsteen era uno dei fratelli Zerilli proprietari del locale e attraverso le ricette, i sapori ma soprattutto le imprese particolari di uomini semplici, scrive la storia della pasticceria italiana a New York.

Chi ha fondato la pasticceria?

Antonio Veniero, un ragazzo che parte da Vico Equense a 14 anni, va a New York e mette su una pasticceria riconosciuta dalla città di New York come un landmark, una delle attività storiche più importanti di New York.

È una storia con tanti protagonisti?

Ho impiegato due anni per ricostruire con esattezza il complesso albero genealogico della famiglia, con ricerche svolte a Napoli, nei comuni di Vico Equense, di Santa Maria Capua Vetere e online. Le famiglie coinvolte sono tre, perché tre sorelle Merola hanno sposato un Veniero, uno Zerilli e un Di Palma, legando le tre famiglie nella gestione della pasticceria e nella vita quotidiana. Si è formata una sola grande famiglia allargata, alcuni sono andati a vivere a New York, altri sono tornati a Vico Equense ma il legame con la famiglia è rimasto sempre saldo. La ricerca è stata molto interessante per ricostruire vicende e legami familiari che il tempo aveva fatto perdere ma anche per raccontare come si è costruita la comunità italoamericana a New York. Nel corso delle mie ricerche ho scoperto come a New York siano stati fatti censimenti, soprattutto ai primi del Novecento, dove gli abitanti di intere strade erano tutti italiani, tutti i cognomi annotati erano italiani. Sembrava il censimento di una città italiana, non di New York, anche i mestieri, le professioni italiane, erano descritti con definizioni pittoresche. Antonio Veniero, il capostipite, nel certificato di nascita di una delle figlie, viene annotato come bisinesse man.

Una sorta di linguaggio parallelo?

Assolutamente si, era l’italglish, un linguaggio creato nei teatri, nei cafè chantant, attraverso la trasformazione di alcune parole inglesi, modificate nel dialetto italiano e viceversa. Il lavoro era il jobbo, la macchina era il carro… un linguaggio inventato per potersi capire tra loro. È stato qualcosa di unico.

Ci sono ancora persone che hanno memoria di quel periodo e di quel linguaggio?

Si, sono riuscita a intervistare alcuni protagonisti, anche molto anziani, che mi hanno raccontato le proprie esperienze. Uno dei ristoratori più anziani di Little Italy, ha ancora oggi ricordi molto nitidi di anni lontani. Le ricerche d’archivio sono importanti, ma il racconto di chi ricorda per averlo vissuto direttamente o indirettamente, è decisamente emozionante.

La cittadina di Vico Equense conosceva questa straordinaria storia di emigrazione italiana a New York?

L’ha scoperta grazie al mio libro e ha concesso la cittadinanza onoraria a Robert Zerilli, accogliendolo con l’attenzione e l’onore che merita chi ha costruito e conservato negli anni, una bellissima realtà economica a New York, con le sfogliatelle, i cannoli, i biscotti e le famose zeppole di San Giuseppe che continuano a produrre seguendo scrupolosamente le ricette scritte a mano dai pasticcieri italiani.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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