Palazzo Altemps, una delle sedi del Museo Nazionale Romano, entra nel racconto di un cortometraggio pluripremiato in Italia e all’estero. Statue e donne che disegnano INTRECCI tra silenzi e linguaggi universali, all’insegna della creatività e dell’inclusività, in un palazzo storicamente legato a donne importanti e originali che lo hanno animato fin dalla sua costruzione nel XV secolo. Osservatorio Roma il giornale degli Italiani all’estero incontra Barbara Massimilla, autrice del racconto cinematografico, presidente dell’Associazione DUN, psichiatra e psicoanalista junghiana prestata alla regia.
Donne, arte, musica, sono questi gli INTRECCI che ha voluto raccontare?
INTRECCI è un distillato simbolico delle attività prodotte dall’Associazione DUN, di cui sono presidente, fondata nel 2015, che si occupa di migrazione e si prende cura dell’altro, da qualsiasi luogo provenga. Con gli psichiatri e gli psicoanalisti di AIPA abbiamo strutturato un tipo di intervento che intreccia di continuo la cura alla creatività. Realizziamo molti laboratori, cinema, story telling, cucina, coro, disegno, sartoria che si intersecano con le cure psicologiche in senso stretto, in quella che è diventata una sorta di cittadella.
Come nasce l’idea di scrivere un racconto cinematografico sulla migrazione ambientandolo in un museo?
Palazzo Altemps è un museo di enorme bellezza per la quantità, la selezione e l’alta qualità delle opere che custodisce, immerse in una luce bellissima. Mi è sembrato una sorta di teatro interno dove queste figure potevano muoversi ed entrare in osmosi con le opere.
In che modo?
Si realizza una sorta di trasfusione che il film racconta, tra i frammenti vivi dei corpi delle donne con frammenti delle statue e delle opere. Sembra che ogni categoria, vivente e non vivente ma di rappresentazione, si nutra a vicenda, instaurando una profonda relazione di vitalità.
Qual è la linea narrativa del cortometraggio?
C’è il momento iniziale dell’attesa, quando le quattro donne protagoniste si incontrano in questo palazzo che è il luogo della romanità e di una vocazione all’accoglienza che aiuta a realizzare il sogno multietnico di convivenza pacifica e di creatività.
La creatività come si manifesta tra persone che non parlano la stessa lingua?
La creatività si realizza nell’incontro con l’altro, il massimo arricchimento che esiste perché lo scambio tra le culture è stimolante e generativo.
Afrodite, Artemide, Demetra, Amore e Psiche sono alcune delle opere che entrano nel racconto cinematografico. Qual è il fil rouge?
Ciascuna opera rappresenta in maniera potente un’immagine archetipica, se Afrodite è l’amore, Artemide è la resistenza, Demetra è la grande madre. Il Trono Ludovisi potrebbe essere Proserpina che emerge dagli Inferi in una rinascita continua, con un senso molto importante della ciclicità e del ricambio. Il Trono Ludovisi, l’ultima scena della statue,è una conchiglia, un luogo gestazionale, dove l’emergere di Afrodite o di Proserpina allude alla rinascita che nel femminile c’è sempre, nella funzione femminile, anche in natura. Inconsciamente ho vissuto questo museo come una camera gestazionale che fa rinascere a nuova vita.
E’ una dimensione solo femminile?
No, la rinascita c’è anche nell’uomo laddove l’uomo accetti la possibilità di contaminazione feconda e di ciclicità generativa.
Perché la scelta di girare un cortometraggio senza dialoghi?
In realtà un dialogo c’è ed è quello finale, quando ciascuna donna offre all’altra la conoscenza della propria cultura nello scambio di abiti. Ciascuna di loro, in questo mandala gioioso in cui si rincorrono nel cortile, parla la lingua d’origine però si capiscono e si amalgamano. La scena finale è l’unico momento in cui ogni donna conserva la propria specificità, ma sempre nell’ordine dell’incontro, dell’abbraccio, dell’accoglienza, dell’intreccio. Il vestito tradizionale rappresenta una appartenenza culturale ma alla fine avviene la magia in cui ognuna incontra l’altra.
La migrazione e la bellezza, un rapporto possibile?
Non solo possibile ma auspicabile. La migrazione deve essere incastonata nella bellezza, chi affronta un viaggio migratorio ha bisogno di questo tipo di accoglienza. Il museo di Palazzo Altemps è stata un’occasione straordinaria di immergere il pensiero sull’intercultura in un posto di straordinaria bellezza.
Le protagoniste da quali Paesi arrivano?
Le quattro donne arrivano da Senegal, Bangladesh, Colombia e Cina ma sono il simbolo di una multiculturalità globale.