Il 24 maggio il mondo della cultura italiana ha celebrato i 120 anni dalla nascita di Eduardo De Filippo, l’autore, l’attore, il regista che ha arricchito il teatro napoletano con pagine che raccontano la vita attraverso tematiche universali e storie che non hanno tempo. Napoli, scenario comico e drammatico, intenso e appassionato di una rappresentazione teatrale che ci vede tutti attori sul palcoscenico della vita, si apre al racconto dell’umanità.
Eduardo rappresenta e racconta l’essere umano, nelle tensioni emotive dei legami famigliari, nel bisogno di finzione e illusione, nella brutalità della realtà, nella speranza e nel desiderio di redenzione. C’è tutto per tutti nei testi di Eduardo, che non lasciano mai indifferenti, pervadono, modificano, migliorano. Per conoscere meglio Eduardo, la sua eredità nel teatro italiano contemporaneo, Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Tosca D’Aquino, un’attrice “attrice” da sempre, che a sei anni recitava i testi di Eduardo, a 18 entrava nell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico a Roma conoscendo solo l’opera eduardiana tutta e approfonditamente, tanto che dopo aver letto e studiato i grandi della letteratura teatrale mondiale, non ha dubbi nel ritenere che “Eduardo è come Shakespeare e Pirandello, un autore universale”.
L’albero della sua napoletanità eduardiana ha radici salde a Napoli, ma i rami dove arrivano?
Io sono napoletana doc, le mie radici sono napoletane e anche la decisione di diventare attrice l’ho presa a soli 6 anni a Napoli quando interpretai, nella recita scolastica delle Suore Missionarie Francescane che avevano un teatro, la protagonista di “Io non ti pago” di Eduardo De Filippo. Nasce da lì il mio amore per il teatro e per l’immenso Eduardo. I rami del mio albero si protendono a Roma, dove mi sono trasferita all’età di 18 anni per frequentare l’Accademia di arte drammatica Silvio D’Amico, dove sono nati i miei figli e dove vivo. Sono una napoletana a Roma, orgogliosa di esserlo.
Il 24 maggio sono stati ricordati i 120 anni dalla nascita di Eduardo De Filippo, la cui eredità vive in tutto il teatro napoletano contemporaneo. Cosa aveva di così speciale Eduardo?
Eduardo De Filippo fa parte di quegli autori che sopravvivono allo spazio e al tempo in cui sono vissuti, che sono universali perché raccontano, con le loro opere, temi nei quali tutti si riconoscono. Eduardo è come Pirandello, come Shakespeare, autori di epoche diverse che continuano a essere letti e rappresentati in tutto il mondo per la modernità e l’universalità delle tematiche affrontate. Il mio amore per il teatro è nato proprio grazie a Eduardo che ho avuto l’onore e il piacere di vedere al Teatro San Ferdinando di Napoli, il suo teatro, nell’opera “Il Sindaco del Rione Sanità”. Luca De Filippo, figlio di Eduardo, mi ha scelta in seguito per fare quattro stagioni, una serie di spettacoli, tra cui “Questi Fantasmi”, dove interpretavo la moglie. Quando sono arrivata a Roma in Accademia, il mio bagaglio teatrale e culturale era solo Eduardo di cui però conoscevo perfettamente tutte le opere, perché cresciuta con la drammaturgia eduardiana. E’ stato un passepartout, che poi mi ha permesso di avvicinarmi con il piacere e la curiosità della conoscenza a molti grandi autori, ma il mio imprinting nel teatro lo devo a Eduardo.
“Io, Eduardo” è uno spettacolo che ha rappresentato con successo, interamente dedicato alle sue opere. Quanto ha aggiunto alla conoscenza dell’uomo Eduardo?
Molto indubbiamente, perché ciascuno di noi attori rappresentava una parte di Eduardo, con un approfondimento che ha permesso di scendere nell’intimità di questo grande uomo e scoprire una serie di facce che ancora non conoscevo e che mi sono state svelate dalle sue frasi memorabili, stupende, incredibili. Tra le tante, ce n’è una che porto sempre con me ed è quella con la quale Eduardo descriveva il momento immediatamente precedente all’ingresso nel palcoscenico, quando all’attore manca quasi il respiro nell’attesa che si apra il sipario e cominci la magia dello spettacolo, dicendo “Ecco il baratro, ecco l’attore”. Una frase che riassume i sentimenti e lo stato d’animo che prova l’attore prima di cominciare lo spettacolo, con quel cuore che “ha tremato tutte le sere e continuerà a battere anche quando si sarà fermato”. Sono state queste parole l’ultimo saluto al suo pubblico.
Eduardo e il suo teatro come può essere raccontato a chi non lo conosce ancora?
Eduardo ha scritto grandissimi testi teatrali, dai quali sono stati tratti bellissimi film, attingendo dal bagaglio di dolori e difficoltà che hanno caratterizzato la sua vita di ragazzino. Ha avuto una straordinaria attenzione nello scrivere ruoli per le donne, intensi, importanti, come Filumena Marturano, una struttura teatrale perfetta, un meccanismo incredibile interpretato in teatro dalla sorella Titina e poi da altre grandi attrici e trasposto anche in edizioni cinematografiche e televisive.
Chi e’ Filumena Marturano?
Filumena Marturano è una donna bellissima che giovanissima, nel dopoguerra, per fame e necessità, si mette a fare la prostituta, fino a quando si innamora di Domenico Soriano, un ricco pasticciere di cui diventerà la mantenuta per 25 anni. Filumena avrà tre figli, ma solo uno sarà di Don Mimì. Quando, ormai anziani, torneranno insieme dopo un intreccio teatrale bellissimo, Filumena non svelerà mai a Domenico Soriano quale dei tre sia suo figlio, perché “ ‘e figlie so’ figlie e hanna essere ugual tutt e tre”. E per questo sentimento universale di protezione di una madre verso i suoi figli che Eduardo ha magistralmente rappresentato con un meccanismo teatrale perfetto, Filumena Marturano continua a essere rappresentata in tutto il mondo.
In cosa consiste la specialità e la specificità artistica di Eduardo?
Ogni suo testo è scritto in modo tale che riesce a far ridere e a far piangere. E’ il racconto, comico, grottesco e drammatico, della vita che induce a profonde riflessioni. Quando si esce dal teatro dopo aver visto un’opera di Eduardo, non si è mai come prima, ma si è più consapevoli e riflessivi. Per raccontare Eduardo, soprattutto ai giovani, bisogna invitarli a leggere i suoi testi, a guardare le sue opere perché insegnano, al pari delle opere di Shakesperare, Pirandello e altri grandi autori, a comprendere la vita. Lo sguardo di Eduardo sulla vita è catartico, perchè attraversa tutti i rapporti che la caratterizzano, madre e figlio, marito e moglie, parenti e conoscenti. Attraverso questi grandi testi teatrali, noi, come esseri umani, ne siamo migliorati.
L’eredità di Eduardo è presente ovunque nel teatro napoletano contemporaneo, ma si può parlare di una eredità eduardiana anche nel cinema?
Certamente, è uno di quei personaggi, come anche Totò e Massimo Troisi, che hanno dato le basi a un cinema che tuttora riesce a godere di una precisa peculiarità, che esprime la grandezza dell’universo attoriale e autorale napoletano.
L’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico cosa ha aggiunto al suo talento forgiatosi sul teatro di Eduardo?
Sono molto grata all’Accademia che ha coltivato il mio talento, lo ha indirizzato alla scoperta di Shakespeare e dei suoi fantastici personaggi, di Ibsen, Cechov, autori che anche se poi non porti in scena perché scegli percorsi diversi dal teatro impegnato, ti formano e ti preparano per affrontare generi diversi. Con Giorgio Panariello ho fatto sia in teatro “Il borghese gentiluomo” di Moliere, ma ho condotto anche per tre anni lo spettacolo televisivo in diretta del sabato sera, “Torno Sabato”, e sebbene fosse un varietà, mi è tornato molto utile tutto lo studio serio fatto all’Accademia che mi ha permesso di improvvisare, recitare, di avere le spalle larghe. L’invito ai giovani non può che essere accorato, studiare serve davvero.
Tosca D’Aquino come si approccia alle differenti forme d’arte, televisione, cinema, teatro, che incrocia tutte e con successo?
“Ho assorbito avidamente e con pietà la vita di tanta gente”, è quello che diceva Eduardo per spiegare il compito dell’attore che deve ogni volta entrare completamente nel personaggio, farlo suo, senza dare giudizi morali ma interpretandolo, in teatro, al cinema o in televisione. Lo studio del personaggio è sempre lo stesso ed è quello che mi ha consentito di interpretare ruoli molto lontani dal mio essere e dalla mia natura ma nei quali mi sono immedesimata.
Ruoli da attrice e ruoli, non meno importanti, da spalla
Essere la spalla di un comico è molto difficile, perché bisogna avere tempi comici, capacità di connessione, saper essere un supporto senza mai scavalcare, con la ricerca di un equilibrio e nel rispetto di tempi impegnativi da realizzare.
Il Coronavirus ha interrotto il sogno del teatro ma anche il cinema e le fiction televisive sono in sofferenza. Eduardo direbbe che anche per loro “ha da passà a nuttata”?
Certamente, è l’espressione adatta e tutti ci auguriamo che avvenga presto. Io ero in tourneè teatrale con “Belle Ripiene”, uno spettacolo partito dal Sistina, in scena a Teramo e all’improvviso siamo state costrette a tornare a Roma perché era scattato il lockdown. Ci sono segni di ripresa, a giugno la fiction “I bastardi di Pizzofalcone”, con Alessandro Gassman, di cui avevamo girato la metà delle puntate, riprenderà con nuove modalità e protocolli di sanificazione, senza scene d’amore o di colluttazione, con gli attori in distanziamento sociale. La nostra speranza è quella di ripartire al più presto sia con il teatro, che con il cinema e la televisione.
“I bastardi di Pizzofalcone”, è una fiction trasmessa da Rai1 che seppur molto contestualizzata territorialmente perché racconta Napoli e le sue contraddizioni, è amata e seguita da tutto il pubblico italiano
Si, ha una forza narrativa avvincente, una scrittura molto forte che le deriva dalla capacità del suo autore Maurizio De Giovanni, grande scrittore di bestsellers tradotto in 39 Paesi. Io interpreto il ruolo intenso di una poliziotta piena di dolori e di sconfitte, con un figlio malato e bisognoso di cure, che vive tra l’amara constatazione del fallimento del suo matrimonio e la speranza di un nuovo amore. E’ il racconto contemporaneo delle difficoltà dovute al lavoro, alla salute, alle famiglia nelle quali tutti si riconoscono.
Il cinema, inteso come necessità di racconto del tempo che stiamo vivendo, come potrà rappresentare questa pagina di storia?
Il cinema dovrà raccontare questo tempo. Come i film del neorealismo di Fellini e De Sica han no raccontato un’Italia distrutta dalla guerra che cercava di riprendersi, oggi il cinema dovrà essere capace di raccontare questo periodo triste con film che saranno di grande poesia. Scrivendo di questo, ciò che appare surreale potrà essere sublimato.
Tosca D’aquino che rapporto ha con le nostre comunità italiane che vivono all’estero?
Bellissimo, ho conosciuto persone meravigliose nelle mie tourneè. Ricordo con grande emozione l’affetto con cui la comunità italiana a Toronto ha accolto me e Iaia Forte quando abbiamo portato la Sceneggiata Napoletana, una rappresentazione tipica di Napoli, del teatro musicale popolare napoletano, che hanno interpretato grandi attori, come Mario Merola con “Guapparia” e “Lacrime napulitane”, dove i personaggi agiscono senza sfumature, il cattivo è veramente cattivo, il buono veramente buono, e sono protagonisti di amori struggenti, che spesso finiscono male, accompagnati da canzoni da Musical. Ricordo con emozione l’amore struggente di questi connazionali, di terza e quarta generazione, per la loro patria che sentivano vicina anche attraverso le emozioni forti trasmesse dalla Sceneggiata napoletana. E’ a tutti loro che va il mio saluto.