Chi sono e che storie raccontano i sommersi del 16 ottobre 1943, i 1022 Ebrei romani arrestati e deportati nei campi di sterminio nazista? Un videowall posizionato alla fine del percorso espositivo della mostra I SOMMERSI. 16 ottobre 1943, visitabile ai Musei Capitolini fino al 18 febbraio, elenca 1.022 nomi, ciascuno dei quali racconta la storia di una vita spezzata. In occasione della commemorazione dell’80° anniversario del rastrellamento degli Ebrei di Roma, si inaugura una mostra che è un viaggio nella storia più cupa di Roma, l’oltraggio a una comunità che da 2.200 anni è parte della città. Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero incontra Claudio Parisi Presicce Sovrintendente capitolino, Alessandra Di Castro Presidente della Fondazione per il Museo Ebraico di Roma e Lia Toaff curatrice del progetto espositivo.
Claudio Parisi Presicce
I Musei Capitolini, luogo che custodisce la memoria di Roma, si apre alla memoria della Shoah?
I Musei Capitolini sono il cuore del sistema museale romano, qui sono conservate tutte le memorie della città, qui era l’Archivio Storico Capitolino fino a un secolo fa. La mostra I SOMMERSI è un passaggio nella memoria di un evento tragico ma molto importante per la città, perché è un evento che ha dimostrato quanto i cittadini che sono stati deportati, abbiano avuto la possibilità di essere ricordati dalle memorie delle loro famiglie e dei sopravvissuti.
Perché SOMMERSI?
Sommersi dal punto di vista dell’evento violento ed efferato di essere strappati ai loro cari e alle loro famiglie, sommersi perché dimenticati ma finalmente riemersi attraverso quei piccoli oggetti della vita quotidiana che consentono di ricordare nomi, relazioni familiari, affetti e oggetti della loro vita a Roma, una vita tragicamente spezzata dalla loro deportazione.
La mostra è realizzata con prestiti e collaborazioni?
È una mostra che ha visto coinvolte molte istituzioni, l’Archivio di Stato di Roma, la Fondazione del Museo Ebraico di Roma, il Museo Barracco, l’Archivio dei Musei Vaticani ma anche le famiglie che hanno messo a disposizione documenti per raccontare, attraverso gli oggetti minuti della vita quotidiana, un episodio drammatico nella vita della città.
La sede espositiva ha un significato particolare?
Lo spazio che è stato scelto, le sale terrene del Palazzo dei Conservatori, è un luogo aperto ai cittadini, dove tutti potranno recarsi per vedere una mostra che tocca il cuore.
Alessandra Di Castro
Chi sono I SOMMERSI protagonisti della mostra?
I sommersi sono quelli che non sono più tornati, portati via quella mattina di sabato 16 ottobre 1943 e mai più ritornati. L’elenco dei sommersi, di quelli che non ce l’hanno fatta, scorre alla fine del percorso e frantuma, in un rullo di immagine, i nomi di chi non è più tornato. La mostra racconta quell’evento tragico, riproduce anche la pioggia che cadeva sui tetti delle case quel giorno, quando anziani, bambini, donne, malati furono portati via, increduli e inermi.
Perché increduli?
Perché si consideravano al sicuro dopo aver consegnato l’oro, appartenevano alla città, facevano parte di un tessuto cittadino e di una società, c’erano testimonianze continue di solidarietà dei cittadini romani. Molte famiglie sono state salvate e aiutate dai romani.
La mostra è allestita con prestiti di materiali custoditi da istituzioni, enti e privati?
Si, ringrazio i numerosi musei che hanno prestato documenti e opere, le due curatrici Yael Calò e Lia Toaff, molto attive nel recuperare oggetti potentissimi, ancora nelle mani dei discendenti delle persone drammaticamente portate via. Sono oggetti fragili sia per i materiali che per l’emotività che li circonda.
Roma, come città e non solo come istituzione, come sta vivendo la commemorazione dell’80° anniversario del rastrellamento?
Con grande partecipazione, Roma non dimentica quel 16 ottobre quando si svolse quello che purtroppo fu solo il primo dei rastrellamenti che avvennero in tutti i quartieri e non solo nell’ex ghetto e lo fa anche con questa mostra allestita nel cuore della città, come naturalmente non dimenticano le famiglie ebree quel tragico sabato di ottobre.
Lia Toaff
Qual è la linea narrativa della mostra I SOMMERSI?
La mostra è stata pensata ponendo al centro due protagonisti, i sommersi, coloro che non tornarono e quindi quasi tutti e la città di Roma. Sono state scelte le storie dei sommersi, presi nei diversi quartieri della città per dimostrare che la retata non coinvolse solo gli Ebrei di piazza, dell’ex ghetto, ma gli Ebrei di tutta la città.
Una città divisa in zone?
I nazisti divisero la città in 26 zone e deportarono gli Ebrei di cui avevano avuto gli indirizzi dalla Questura. La narrazione racconta le storie dei sommersi del 16 ottobre, di chi non ha avuto un futuro.
In cosa è una mostra immersiva?
In tutto, dalla pavimentazione in sampietrini che dà proprio l’idea di passeggiare per strada, tra le case delle famiglie ebree, ricostruite nelle teche con la carta da parati alle pareti e gli oggetti di vita quotidiana delle persone. Ogni teca è una finestra su una casa diversa, al cui interno sono conservati documenti, fotografie, giornali, atti delle persone che non sono tornate.
Sono esposti dipinti tematici di forte impatto emotivo
Ci sono acquerelli del Museo di Roma, c’è un bellissimo dipinto di Pollack, archeologo deportato il 16 ottobre e una scena del rastrellamento realizzata da Pio Pullini, opere che testimoniano in modo tangibile la deportazione, di cui non esistono fotografie, ma che è raccontata efficacemente proprio attraverso la storia per immagini che i dipinti restituiscono.
Che giorno era quel 16 ottobre 1943?
Tutti i sopravvissuti raccontano un sabato autunnale, scandito dalla pioggia fine che cadeva sui tetti, dai calci e dai fucili dei nazisti che svegliarono le famiglie.