Il grande musical torna al Sistina, tempio dello spettacolo leggero, con l’adattamento italiano di My Fair Lady. Il musical ha una storia importante che parte nel 1956 quando Alan Jay Lerner scrisse libretto e liriche e Frederick Loewe le musiche, ispirati dall’opera teatrale Pigmalione di George Bernard Show del 1913. Lo spettacolo esordisce a Broadway, nel 1964 diventa un film pluripremiato, è ancora oggi la favola più rappresentata al mondo. Cosa rende sempre attuale la storia di una povera fioraia ambulante che sognava di diventare commessa in un negozio di fiori e arriva dopo una storia di riscatto, a insegnare fonetica, le canzoni che ci fanno viaggiare in un sogno senza tempo, le tematiche ancora di attualità su riscatto sociale, diritto all’amore e a un mondo senza barriere? Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero lo ha chiesto a Serena Autieri, protagonista del musical in scena al Sistina dal 3 novembre, a Vincenzo Incenzo che ha curato l’adattamento italiano, a Enrico Griselli che lo ha prodotto, a A.J Whessbard che ha curato la regia e al M°Enzo Campagnoli a cui è affidata la direzione musicale dello spettacolo che per tre ore trascina lo spettatore in una favola.
Serena Autieri
Il ruolo di Eliza Doolittle, la fioraia di My Fair Lady, è una prova di travolgente poliedricità
Credo tantissimo nella preparazione a 360 gradi degli interpreti. Gli attori stranieri sanno fare tutto in ogni occasione, quando è il momento opportuno hanno anche le frecce del ballo e del canto da poter tirare. Meryl Streep ne è un esempio. Anche in Italia avevamo una scuola importante, Delia Scala, Walter Chiari, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni e siamo orgogliosi e grati perché veniamo anche noi da quel mondo. A un certo punto questa riconoscibilità è un po’ scomparsa o comunque l’Italia cerca sempre un po’ di metterti un’etichetta e chiuderti in un ruolo. Invece io credo sia importante, mai come in un momento nel quale tutto è apparenza, lanciare un messaggio ai giovani che iniziano a fare questo lavoro.
Qual è il messaggio?
Studiate più cose possibili! Preparatevi il più possibile, perché tutto può sempre servire. E soprattutto, una cosa supporta l’altra, ad esempio la musica aiuta per la recitazione nel movimento corporale da eseguire sul palco. Quindi bisogna studiare e prepararsi a essere interpreti poliedrici, pronti per interpretare ogni ruolo. Interpretare Eliza Doolittle per me è un sogno che finalmente si avvera.
Vincenzo Incenzo
L’adattamento italiano in cosa è innovativo?
È innovativo perché rispetto alle versioni precedenti, ho voluto recuperare tutta la struttura originaria nel senso e nel suono. È stato un lavoro complesso e articolato, non solo per la storia ricca di particolari interessanti, ma perché siamo in un’opera dove c’è una scrittura dentro la scrittura. Il professore, il personaggio che insegna fonetica, porta con sé tutta una serie di giochi di parole e sottotesti che erano stati un po’ abbandonati. Sono andato a ritroso per recuperarli e in questa ricerca ho recuperato anche un linguaggio tecnico per i cantanti.
Un linguaggio tecnico perché?
Perché in quest’opera siamo più vicini all’opera lirica che al musical e le tessiture melodiche dei cantanti sono da tenore e soprano, di conseguenza il posizionamento di certe vocali e consonanti era assolutamente sacro, non si poteva toccare perché è la dimensione ideale per permettere ai cantanti di cantare con certe altezze. Il lavoro tecnico è stato capillare, quasi maniacale ma ha conservato leggerezza e poesia.
My Fair Lady è una favola?
È una favola piena di morale e di insegnamenti, dove lo spettatore viene trascinato.
Il ruolo della donna come viene proposto?
Al centro di un’opera pensata in una dimensione futuribile perché oggi la libertà della donna non è ancora prevista sotto tutte le latitudini. È la storia di riscatto femminile di una donna che arriva al punto di potercela fare anche da sola, l’amore è conseguente, non è una scialuppa che la salva perché Eliza è già indipendente e sufficiente a sé nel momento in cui compie scelte definitive. My Fair Lady è un grande omaggio anche alla donna che verrà.
Enrico Griselli
Ogni produzione è una sfida, questo spettacolo lo è in modo particolare?
Per la continuità dell’industria teatrale è di fondamentale importanza ritrovarsi in una comunità, dopo l’evento pandemico e farlo anche in un luogo come il Sistina. Cerchiamo di contribuire il più possibile all’incontro tra le persone, vogliamo che il pubblico riscopra, dopo il Covid, una sorta di chimica dello stare insieme. Noi a teatro, tutto sommato, vendiamo chimica, intesa come un modo positivo di stare insieme. Vogliamo presentare lo spettacolo al pubblico per una sua fruizione collettiva condivisa, per emozionarlo con uno show dal respiro internazionale, capace di unire pubblici e generazioni.
A.J. Weissbard
Uno spettacolo che racconta una favola deve avere una regia visionaria e sognante?
Credo che il teatro sia un luogo fondamentale per ritrovarci in comunità dopo la pandemia. È un posto dove vengono persone da tutti i luoghi e settori della città, dove si può avere un’esperienza unica con colleghi, amici e familiari. Dopo il periodo intenso in cui siamo rimasti solitari, è importante riscoprire il significato del ‘vivere insieme’, perchè fa parte dell’essenza umana e farlo raccontando una favola è un’esperienza con un valore aggiunto.
Enzo Campagnoli
La musica sottolinea ogni spettacolo ma in un musical è regina?
La musica unisce, nella storia è sempre stata uno strumento di aggregazione fondamentale. Il passato recente lo racconta, anche durante i periodi più bui delle restrizioni dovute al Covid le persone cantavano dai balconi. Sono tanti i momenti in cui, attraverso la musica, ci si sente più vicini. La musica mette insieme i popoli e le generazioni, indipendentemente dallo stile. Un musical è indubbiamente uno spettacolo dove è regina e My Fair Lady ha musiche che sono pietre miliari della storia di Broadway.