Il Festival di Sanremo 2025 ha suscitato grande apprezzamento tra il pubblico televisivo. Dal punto di vista musicale, l’elevato numero dei brani in gara (29) ha offerto uno spaccato di un mercato discografico che sembra arrivato a un punto di saturazione e destinato prima o poi a esplodere. Tre canzoni si distinguono particolarmente: “Volevo essere un duro”, “Viva la vita” e “La mia parola”. Olly si è aggiudicato la vittoria con “Balorda nostalgia”. Merita una sottolineatura l’assenza di Luca Chiaravalli e Takagi & Ketra, produttori di grande talento, che non hanno contribuito a nessuno dei brani in gara per la 75ª edizione del Festival. Un vero peccato, considerato il loro impatto storico sulla scena musicale italiana.
Di seguito le pagelle dei brani in gara.
Lucio Corsi – Volevo essere un duro
Voto: 9
Un brano che viaggia nell’inconscio dell’essere umano e analizza il delirio di grandezza, scomponendolo nelle sue radici più oscure, svelandone gli aspetti più grotteschi. Un inno anti-narcisista, un elogio della fragilità umana intesa come autentica ricchezza. “Volevo essere un duro” veicola un messaggio semplice ma efficace, sottolineando l’importanza di apprezzare la vita nella sua straordinaria quotidianità. “E sono così libero che posso essere debole…”, cantava Lo Stato Sociale nel 2018: frase con la quale può essere riassunto il significato dell’opera che Lucio Corsi ha presentato in gara al Festival di Sanremo, conquistando il secondo posto nonostante fosse sconosciuto al grande pubblico prima della kermesse musicale (è questo il potere delle grandi canzoni). Il cantautore toscano produce musica artigianale, ricordando un po’ il primo Morgan: il suo sound è tradizionale, non particolarmente innovativo, ma al tempo stesso di alta qualità musicale. Nella prima strofa sorprende la scelta di scomporre ulteriormente il già basico dualismo “cassa-rullante”, indicando nello spartito un tempo di silenzio al posto della cassa in alcune situazioni ritmiche. Questa scelta nell’arrangiamento è in linea con il significato della canzone: nelle circostanze in cui si potrebbe andare duri con la cassa, Lucio Corsi preferisce la leggerezza del silenzio. È un musicista di alto livello che ha anni di gavetta alle spalle e considera la sua attività una passione, più che un lavoro: l’obiettivo è regalare emozioni all’ascoltatore. Il suo exploit sanremese stimola una considerazione: Lucio Corsi è davvero l’unico artista italiano di grande talento che non ha (aveva, prima di Sanremo) successo? In verità il nostro Paese è ricco di artisti sottovalutati, che non partecipano ai talent show a causa di preconcetti personali o semplicemente per evitare il trattamento che certi profili interessanti (come il duo The Van Houtens) hanno ricevuto nei talent televisivi. Lucio Corsi è il tipico musicista “fai da te” che, per dirla alla Checco Zalone, negli anni si è scritto, si è composto… e si è arrangiato. Finalmente, una meritata grande ricompensa.
Francesco Gabbani – Viva la vita
Voto: 8,5
L’innovatore per eccellenza del Festival di Sanremo, che nel 2017 ha tracciato una nuova rotta – metafora presa in prestito proprio dal suo album di successo, “Magellano” – per la musica italiana, negli ultimi anni si è spinto verso sonorità più classiche e meno dirompenti, mostrandosi in un percorso di maturità artistica e umana. I brani intimi e introspettivi nei suoi progetti discografici non sono mai mancati: detto ciò, è normale che alcuni suoi fan arrivati con “Occidentali’s Karma” l’abbiano un po’ perso di vista dopo aver constatato, nel 2022, che Francesco Gabbani fosse uscito con un album “alla Fiorella Mannoia”, ovvero denso di brani profondi, esistenzialisti e decisamente poco “freschi” a livello sonoro. Quella foto (non tanto l’inchino, ma vedere la Mannoia seconda e Gabbani vincitore) ha cambiato per sempre la musica italiana: inutile far finta di niente. È strano che lo stesso Gabbani non abbia calcato la mano, facendo invece un passo verso il mondo classico. Al Festival del 2025 era, pertanto, atteso con un brano più “tradizionale” che “innovatore”, ma Francesco Gabbani ha comunque – tenendo conto del suo momento discografico – presentato a Sanremo il miglior brano possibile: convincente ed emozionante fin dal primo ascolto. Il cantautore di Carrara sa bene che la kermesse dell’Ariston è un trampolino verso la primavera (fu lui il primo a intuirlo, nel 2017) e in effetti ha proposto in gara un brano etichettabile come “primaverile”, anche per via del suo testo che anela a una riscoperta della vita e al raggiungimento della serenità. Gabbani nella prima strofa ci ricorda di essere un bluesman d’altri tempi, nel ritornello raggiunge vette musicali alte. Non originalissime alcune linee melodiche: ad esempio, nello special, “Viva la vita” ricorda un po’ lo special della sua “Tossico Indipendente” (la quale, tra l’altro, è tra le canzoni che nella sua discografia rendono meno). In classifica non era mai arrivato così in “basso” (è comunque in Top 10), neppure all’Eurovision: l’ottavo posto impone una riflessione. Sapeva realizzare contenuti originali che solo lui in Italia era in grado di proporre: ora è passato al “classico”… con questi risultati. Prima era bravissimo e al tempo stesso un genio, ora si potrebbe dire che è “solo” bravissimo. Nel 2025 il panorama musicale italiano presenta ben altre criticità e Gabbani resta un diamante da stimare e tutelare, fatto sta che l’ondata di freschezza e originalità da lui portata in Italia sembra essersi (si spera, provvisoriamente) arrestata.
Shablo feat. Guè, Joshua, Tormento – La mia parola
Voto: 8+
Se un ritornello di questo calibro avesse vinto il Festival di Sanremo, nessuno avrebbe avuto niente da ridire: ballabile, con sonorità internazionali e perfettamente calato nello stile hip-hop. Sarebbe stata la prima volta per il rap italiano, che invece vede ancora rimandato il suo appuntamento con il Leone d’Oro. Shablo ha sottolineato in molteplici interviste che diversi appassionati del genere non si riconoscono nella contemporanea trap e che si può proporre in Italia nel 2025 un rap più maturo, sottolineando che si tratta di un genere (testuali parole) “con più di 50 anni di vita alle spalle”. Il brano si ispira a sonorità Anni ’90: in fase di produzione, ad esempio, mancano alcuni ingredienti moderni (tra cui il drill) e la parte strumentale ricorda molto gli arrangiamenti dei Sottotono. Il ritornello è il migliore mai concepito negli anni post-pandemici del rap italiano (Drillionaire ha fatto il suo con “Cenere” e “Miu Miu”, Shablo sale in cattedra con un sound dirompente) non solo a livello melodico, ma anche grazie a un “clap” ben calibrato che fa salire di livello l’intera produzione. La voce di Joshua si prende la scena, Guè fa il suo con una strofa ponderata. La penna di Tormento è abbastanza scarica: peccato perché quando è pienamente centrato (come nel 2019, anno del suo grande ritorno) sa essere un ottimo autore. Si poteva osare di più in studio nelle contrapposizioni tra gli artisti coinvolti (ad esempio per quanto riguarda le ad-lib): in tal senso, Guè ha provato a spingere sul palco dell’Ariston durante la seconda esibizione. La sensazione è che, con una produzione ancora più “strong” e ritmica, il brano possa decollare maggiormente. C’è sempre tempo per tornare in studio e proporre un arrangiamento nuovo, anche per lasciarsi alle spalle un deludente diciottesimo posto (immeritatissimo). In generale è un buon pezzo, ma si poteva scavare di più nell’inconscio dell’ascoltatore, introducendo nuove spezie discografiche davanti alle quali sarebbe stato davvero impossibile restare fermi e non ballare.
Olly – Balorda nostalgia
Voto: 6,5
Ha vinto Sanremo un brano da 6,5. Se avesse portato “Devastante”, non ci sarebbe stato nulla da obiettare sulla vittoria. Il punto è proprio questo: molti artisti ultimamente si presentano all’Ariston con una brutta copia di un loro successo recente, e in linea di principio non vincono, meritando di non vincere (come nel caso di Alfa nel 2024, che se avesse partecipato con “Bellissimissima” avrebbe avuto qualche chance di primo posto). All’inizio del brano, la formula è la stessa di “Devastante”: si parte con una chitarra e con riflessioni malinconiche che si fanno il 10 agosto in riva al mare alle due di notte. Nel frattempo comincia a suonare un piano, ma resta discreto, con il volume tenuto volutamente basso in fase di missaggio. In seguito la canzone cresce, ma Olly finisce per impantanarsi in una stucchevole via di mezzo tra – per fare due esempi – “Milano” di Irama e “Vivere” di Vasco Rossi (senza però raggiungere la qualità musicale di nessuno dei due), per poi imboccare definitivamente la strada del secondo nel ritornello. L’ingrediente di maggiore qualità è il contrasto tra il silenzio che precede l’inciso e l’improvviso attacco della parte strumentale quando il ritornello entra nel vivo. Lo special è in sostanza un vocalizzo (prima di “Bellissima” di Annalisa in Italia non lo faceva nessuno, ora sembra una moda). L’arrangiamento ha una struttura circolare: nel finale del brano, si torna alla chitarrina e alle considerazioni da Baci Perugina. Vincere Sanremo è una cosa seria. A tal proposito, focalizziamoci sul testo. Nessuno pretende la poesia di “Chiamami ancora amore”, la profondità di “L’essenziale” oppure la filosofia di “Occidentali’s Karma”, ma di certo constatare che il brano vincitore di un’edizione sanremese contenga frasi dal livello di “Ti cerco ancora in casa quando mi prude la schiena”, non è un bel sentire. Non sono messaggi educativi, perché quando si iniziano a sdoganare certe cose in basso, poi per inerzia si va ancora più giù. L’autotune vince Sanremo 2025 e questa è una notizia rilevante, anche perché all’Eurovision – da regolamento – il correttore automatico dell’intonazione è vietato.
Brunori Sas – L’albero delle noci
Voto: 8+
Fin dalle prime note e parole l’ascoltatore si immerge nella poesia del cantautore calabrese, che con un gioco di parole cita la figlia Fiammetta e canta con la sua voce elegante e dolce. A livello melodico i riferimenti a “Rimmel” di Francesco De Gregori sono piuttosto evidenti. Il ritornello è riuscito meglio in studio che all’Ariston: in studio viene sussurrato, sul palco di Sanremo è stato quasi urlato. Brunori entra in punta di piedi con la sua voce nelle strofe: “Less is more”, si dice spesso in ambito discografico, e in effetti – più che di “base strumentale” – si può parlare di un vero e proprio “tappeto sonoro” che tra piano, archi, coro e batteria, aggiunge poesia in maniera ovattata, senza sottrarre la scena alle parole, che restano in primo piano. L’arrangiamento è impostato in base a una struttura circolare: inizia e finisce con il suono del pianoforte. Una rappresentazione in note della circolarità della vita: si nasce figli, si può diventare genitori.
Achille Lauro – Incoscienti giovani
Voto: 8
Un brano che sa di cantautorato Anni ’60. L’Achille Lauro più maturo mai visto all’Ariston rinuncia alla forma per privilegiare la sostanza. Il testo è ricco di suggestioni cinematografiche e il significato del brano – soprattutto per quanto attiene alla considerazione della gioventù – è di certo in linea con il film “Parthenope”, quindi la scelta di Celeste Dalla Porta per il videoclip risulta perfettamente appropriata. Da un punto di vista strumentale, l’assolo di sassofono nella struggente parte finale della canzone aggiunge un tocco di malinconia che fa salire di livello l’intero brano. Impressionante l’ingresso della batteria e, in generale, è coinvolgente la parte ritmica che precede il ritornello. “Se non mi ami, muoio giovane” è una frase che non può vincere Sanremo, per ovvi motivi. In ogni caso il brano meritava una posizione migliore rispetto al settimo posto.
Fedez – Battito
Voto: 7,5
Opera d’arte molto toccante. Non sarà il massimo a livello musicale, nel senso che il Palco dell’Ariston negli anni recenti ha visto di meglio, ma lo spessore artistico raggiunto da Fedez con questo brano è di assoluto livello. Strofe rap, ritornello pop: la ricetta è un marchio di fabbrica (fu lui, nel 2012, a portare questa commistione di generi in Italia) e la canzone renderebbe benissimo anche a cappella, quindi l’arrangiamento è strettamente funzionale alla melodia e non dà una marcia in più (perché non ce n’è bisogno). Da segnalare nell’orchestrazione qualche sfumatura techno, in linea con il successo estivo “Sexy shop”. Il testo è struggente, c’è tanta autobiografia ma la canzone è soprattutto la rappresentazione di una realtà universale nella quale ognuno può trovarsi costretto a vivere. La depressione è un ospite indesiderato che però, come la psicologia sottolinea, serve a dare una scossa all’individuo: una delle principali cure è imparare a lasciar andare le proprie convinzioni (spesso tossiche) per riscoprire alcuni lati nascosti di sé. Con la frase “Tu mi conosci meglio di me”, riferendosi alla depressione stessa, Fedez sintetizza molto bene questo discorso. Da quando esiste discograficamente, l’artista milanese racconta i suoi tempi. Gli Anni ’20 sono il decennio del disorientamento, della paura, dell’ansia, talvolta anche della depressione. La versione in studio è molto più delicata rispetto a quanto si è ascoltato in diretta all’Ariston, dove l’atmosfera è stata invece un po’ pesante (forse anche per un uso spietato dell’autotune, che in studio è stato addomesticato nel migliore dei modi e reso gradevole).
Francesca Michielin – Fango in Paradiso
Voto: 7+
Brano che decolla di ascolto in ascolto. Il testo è autobiografico, la Michielin è rimasta profondamente delusa dalle modalità con cui si è concluso il rapporto con un uomo e descrive i trattamenti che ha subìto con particolare trasporto. Sul web è in voga il trend “sputo fatti”: ecco, Francesca Michielin all’Ariston ha tirato fuori tutto il non-detto nei confronti del suo ex. La Michielin ondula continuamente tra la rabbia e la tristezza, senza marcare un netto distinguo, con grande capacità interpretativa e artistica. È il tipico brano italiano autunnale/invernale piacevole con sonorità Anni ’10: insomma, è il classico brano di Francesca Michielin, innegabilmente tra i migliori della sua carriera. Azzeccata la scelta di portare a Sanremo un pezzo così forte. In classifica non ha reso, si spera abbia la giusta considerazione in radio.
Coma_Cose – Cuoricini
Voto: 7
A distanza di 8 anni un concorrente in gara si ispira ancora a “Occidentali’s Karma”, questo per far capire quanto fosse avanti Gabbani all’epoca. I tentativi di ispirazione alla canzone in questione non sono andati mai a buon fine in termini di vittoria: Lo Stato Sociale nel 2018 con la “vecchia che balla”, i Kolors nel 2024 con un balletto pressoché identico a quello di Gabbani, nel medesimo anno Ghali con il suo “extraterrestre” portato sul palco. I Coma_Cose si avvicinano al contenuto di Occidentali’s Karma, ma non pungono: qualche buona riflessione suscitata al primo ascolto, poi si scivola verso l’effetto Zecchino d’Oro. Non a caso è una canzone molto cantata in questi giorni dai bambini, ma vincere Sanremo è una cosa seria. Nell’arrangiamento si parte subito con un’atmosfera spietatamente dance, dove un basso prorompente si prende la scena. Archi acuti per creare l’atmosfera pre-ballo, poi ritornello ancora più ritmico. “Sotto la notizia: crolla il mondo” suona come un moderno “tutti giù per terra”: lo stesso concetto poteva essere espresso con una penna più incisiva. La seconda strofa fa tenerezza, pensando al fatto che hanno voluto mettersi sul binario di “Occidentali’s Karma”: la hit di Gabbani saliva in cattedra a livello testuale proprio nella seconda strofa, qui invece si cade in constatazioni indie leggermente imbarazzanti (“porta il gelato”, robe del genere). Il secondo ritornello (sarà per l’arrangiamento, sarà per il mix) ricorda “Dolceamaro” di Cristiano Malgioglio (nella versione recente, arrangiata da Diego Calvetti). Top 10 conquistata per il rotto della cuffia: il brano chiude al decimo posto. A Sanremo una canzone del genere fa bella figura, ma non vince: come “Dove si balla” di Dargen D’Amico.
Willie Peyote – Grazie ma no grazie
Voto: 7
Ben venga la contaminazione tra i generi, che in questo brano si traduce in un mix riuscito di sonorità e influenze diverse. L’aggiunta di una sfumatura gospel è senza dubbio un tocco di classe, anche se va detto che la parte affidata al coro non riesce in studio a trasmettere la stessa intensità della versione presentata al Teatro Ariston. Il ritmo è vivace e coinvolgente, ma non modernissimo: c’è un chiaro rimando a quell’hip-hop Anni ’90 un po’ giocoso e scanzonato, tant’è che in alcuni tratti la canzone ricorda il “Tranqi funky” degli Articolo 31. Il brano alterna un ritornello pop accattivante a strofe rap che toccano la sfera sociale e anche quella politica, arricchite da un pizzico di ironia che non guasta mai. In sostanza: sembra uno scarto dell’album “Comunisti col Rolex” mai pubblicato.
Noemi – Se t’innamori muori
Voto: 7
Un brano che mette in luce la potenza vocale di Noemi, evidenziando il carattere deciso e il graffio distintivo del suo timbro. Non c’è dubbio che il ritornello sia firmato da Blanco: il suo stile inconfondibile si fonde perfettamente con l’interpretazione della cantante e la speranza è che la collaborazione tra i due artisti non si limiti solo al Festival 2025. Dal punto di vista dell’arrangiamento, merita una sottolineatura l’atmosfera tormentata e di pregevole fattura realizzata nello special. Lo slancio decisivo si registra nel secondo ritornello, con l’ingresso di un sintetizzatore e un’ottima linea melodica eseguita dal violino. Come spesso accade a Noemi, il brano prende vita in modo ancora più intenso dal vivo rispetto alla versione in studio. Affascinante la chiusura del pezzo, quando l’interprete passa improvvisamente da un registro potente a una voce raffinata, quasi angelica.
Gaia – Chiamo io chiami tu
Voto: 7
Profilo spendibile per l’Eurovision. È passata un po’ inosservata durante la settimana sanremese, ma la canzone è ricca di spunti ritmici che le conferiscono una prospettiva internazionale. Il ritornello è martellante e ipnotico: non sarà un capolavoro, ma farà il suo percorso in radio. Il testo è obiettivamente poca roba.
Rocco Hunt – Mille vote ancora
Voto: 7-
La presenza del mandolino all’inizio del brano ha un valore simbolico profondo: fin dai primi secondi della sua canzone sanremese, Rocco Hunt ha qualcosa da comunicare e l’oggetto d’analisi è il rapporto con la sua terra d’origine. L’attacco della prima strofa richiama fortemente lo stile di Emis Killa in “Maracanã”, il celebre tormentone estivo del 2014 (“lontano dalla Grande Mela / c’è un piccolo uomo in una favela”), con un’immagine legata al desiderio di riscatto provato in tenera età. Rocco Hunt esprime un sentimento complesso: da piccolo si sentiva “destinato a partire”, percependo il distacco da casa come una condanna inevitabile, ma in età adulta si accorge di rimpiangere “anche le cose che odiavo: le stesse che mi hanno fatto andare via”. È una frase di alto livello cantautorale, che esprime una sofferenza personale degna di essere rispettata. A proposito di “Maracanã” di Emis Killa, è dal lontano 2014 che l’Italia non partecipa a un Mondiale di calcio e Rocco Hunt solleva un tema intrigante: “L’erba cresce in un campetto abbandonato / Colpa dei telefoni: non ci hanno più giocato”. Il ritornello viene arricchito da spunti in dialetto napoletano che non suonano mai forzati, anzi, aggiungono una dimensione folkloristica che conferisce le giuste sfumature a un brano già di per sé di buon valore artistico.
Simone Cristicchi – Quando sarai piccola
Voto: 6,5
Il testo è meraviglioso, una poesia. Il cantautore esplora la circolarità del rapporto tra figlio e genitore, messo a dura prova da una malattia degenerativa di quest’ultimo: “Per restituire tutta questa vita che mi hai dato” è una frase che, da sola, spiega il senso dell’intera canzone. Il tema trattato è originale, lo stesso titolo “Quando sarai piccola” colpisce perché si tratta di un ossimoro. A livello di arrangiamento, da segnalare l’onnipresenza del piano e una batteria totalmente assente, con l’eccezione di qualche “colpetto” morbidissimo. Il fraseggio musicale non è memorabile. Le note da prendere sono poche e Simone Cristicchi non le prende neanche tutte. Più di qualche volta (soprattutto nella prima strofa) sembra che il cantante vada fuori tempo: non è così, perché recupera sempre i 4/4, però l’allineamento tra melodia cantata e base musicale non è il massimo. Questa dinamica mette un po’ di agitazione nell’ascoltatore, perché ci si rende conto che qualcosa non quadra: proprio nel momento in cui il brano a livello testuale prova a essere rassicurante, c’è questo senso di inquietudine perché Cristicchi sembra andare fuori tempo. È un contrasto non voluto, che stride.
Giorgia – La cura per me
Voto: 6,5
La sensazione è che, lavorando con un’artista come Giorgia, gli autori abbiano pensato che bastassero la sua voce e la sua capacità interpretativa per colmare alcune lacune piuttosto evidenti. In fase di scrittura non è stato fatto un lavoro brillantissimo: il brano, per quanto presenti alcuni buoni spunti nel testo, a livello melodico non è esaltante, pertanto avrebbe necessitato di una spinta maggiore da parte dell’arrangiamento. Si aggiunge a queste considerazioni la presenza di un evidente punto debole, ovvero lo special, il quale non è all’altezza delle altre parti musicali e abbassa il livello generale della canzone. Inoltre si tratta di un pezzo poco “cantabile”, nel senso che può cantarlo quasi solo Giorgia: non c’è una linearità complessiva, è difficile cantare melodie del genere che prevedono un importante sforzo vocale. Questa canzone, spiace dirlo, suona come una brutta copia di “Oro nero” (che è un capolavoro). È comunque un brano che merita una sufficienza comoda.
Joan Thiele – Eco
Voto: 6,5
Canzone con sonorità internazionali, che tuttavia non rinnega la tradizione italiana. La batteria dà il suo contributo affinché il brano salga di livello. La melodia è ottima (fin dalla prima strofa) e le parti del brano sono ben legate tra loro. Joan Thiele ricorda molto Levante. Presentarsi a Sanremo da esordiente con un brano del genere è sintomo di grande maturità e autoconsapevolezza artistica.
Sarah Toscano – Amarcord
Voto: 6,5
L’anno scorso c’era Emma Marrone con un brano (“Apnea”) ultramoderno e perfettamente calzante nel contesto degli Anni ’20. Nel 2025, con un sound meno contemporaneo, Sarah Toscano si presenta all’Ariston con il medesimo scopo: proporre una canzone pop-dance che vuole far ballare parlando del più e del meno. Il testo è chiaramente il punto debole del brano. L’interprete è brava a rendere suo il pezzo, per quanto possibile (siccome non deve recitare una poesia ma limitarsi a pronunciare frasi che non stimolano enormi riflessioni). Sarah Toscano deve crescere, anche se – per avere 19 anni appena compiuti – è sulla buona strada. Il motivetto iniziale è carino e crea subito un’atmosfera Anni ’80, ma la prima strofa parte in sordina: nell’attacco non si capiscono bene le parole (quantomeno al primo ascolto). Il brano sale di livello e nel ritornello l’effetto dance funziona. La canzone decolla soprattutto grazie alla seconda strofa e – a differenza di diversi altri brani in gara – non si perde nello special. Nel ritornello ci sono più linee ritmiche: ingrediente che dà profondità al brano. La ripetitività delle linee melodiche nell’inciso genera l’effetto di un loop che ipnotizza l’ascoltatore. Avrebbe meritato un piazzamento migliore.
The Kolors – Tu con chi fai l’amore
Voto: 6,5
Il panorama musicale italiano sta assistendo a un ritorno dei The Kolors ai livelli che la band aveva raggiunto nei primissimi Anni ’20 (per intenderci, gli anni del Covid), quando lanciavano brani estivi come “Non è vero” o “Cabriolet Panorama”. Questa regressione suggerisce un periodo di pausa necessario per ricaricare le energie e tornare più freschi in studio per fabbricare nuovi tormentoni. Il brano presentato a Sanremo 2025 appare come una “hit scarica”: Stash e i suoi compagni sono in grado di produrre delle bombe discografiche memorabili, ma sembrano essere chiaramente “a fine ciclo” e hanno sparato all’Ariston l’ultima cartuccia di questa (eccezionale) fase della loro carriera. Hanno bisogno di una breve pausa, che non solo permetterà loro di metabolizzare quanto accaduto, ma sarà anche fondamentale per ritrovare quella chiarezza mentale necessaria per scrivere nuovi brani capaci di restare nel tempo. Interrompere un loop in cui si tende continuamente a copiare se stessi è essenziale per riscoprire quella linfa creativa che i Kolors negli anni hanno saputo trasformare in ottima musica.
Serena Brancale – Anema e core
Voto: 6+
Fin dai tempi di “Shakerando” di Rhove (2022), è diffusa nel panorama musicale italiano l’idea che non occorra per forza scrivere un pezzo indimenticabile: l’importante, sostengono molti produttori, è azzeccare un buon motivetto di 14 secondi (durata delle storie di Instagram con sottofondo musicale). In tal senso, Serena Brancale ha vinto: postare la foto di uno spritz sulle note di “Non lo so / se ti suonerà neomelodico / Ma stanotte ti dedico / Anema e core…” è già un trend nazionale. Il suo brano sanremese è un omaggio alla musica latina, ma l’arrangiamento è piuttosto banale. Il giudizio generale è notevolmente abbassato da una seconda strofa non convincente e da uno special non inascoltabile, ma quasi.
Rkomi – Il ritmo delle cose
Voto: 6+
L’attacco sembra una rapina. “Dove sono i soldi adesso?”, detto senza un’introduzione musicale, appare come una minaccia. La prima strofa, al netto di questo equivoco, contiene alcuni incastri interessanti. Il ritornello trascina, anche se in generale questo brano sembra una demo grezza sulla quale si può costruire una canzone migliore. Un arrangiamento troppo piatto e “sanremese” (nell’accezione più conservatrice del termine) non aiuta, anzi, penalizza. Il penultimo posto è comunque immeritato. Punto debole del brano: lo special, momento in cui il livello si abbassa (per dirla come Rkomi, “è un violento decrescendo”).
Marcella Bella – Pelle diamante
Voto: 6+
Il testo è un inno all’emancipazione femminile e il tema viene trattato dagli autori in modo diretto, chiaro e facilmente comprensibile: già soltanto per questo motivo, la canzone non meritava di trovarsi all’ultimo posto della classifica sanremese. In particolare, il ritornello è di buona qualità e nessun aspetto musicale tocca in basso il livello dell’inascoltabilità (sebbene lo special faccia perdere un po’ di ritmo). Marcella Bella ha pagato principalmente due fattori. In primo luogo, il brano non prende una posizione netta nel dibattito tra “far ballare” e “far riflettere”: la melodia è coinvolgente, ma non abbastanza da trascinare del tutto; il testo, pur essendo impegnato, non scende in profondità. Il risultato è che la canzone è difficile da etichettare poiché resta in una sorta di limbo. Inoltre, si tratta di un brano che sembrerebbe più adatto a “Una voce per San Marino” che al Festival di Sanremo, ma non in senso negativo: la coreografia proposta all’Ariston richiama infatti quelle esibizioni tipiche dei Paesi che all’Eurovision sono in bilico tra semifinale e finale. L’ipotesi San Marino, quindi, non va affatto scartata. In generale, rispetto al classico brano di una vecchia gloria della musica italiana che potrebbe perdersi nel Radio Date di un qualsiasi venerdì, il livello qui è superiore, sia in termini musicali che testuali. Carlo Conti, pertanto, non ha sbagliato ad accettare un brano del genere in gara.
Modà – Non ti dimentico
Voto: 6
Un progetto discografico come quello dei Modà vuole rilanciarsi sul palco dell’Ariston in vista dell’uscita del nuovo album e del concerto estivo a San Siro. Il brano presentato alla kermesse sanremese appare, tuttavia, piatto sul piano musicale. Non aiuta, in tal senso, il fatto che gli strumenti impiegati per arrangiare i loro brani siano sempre gli stessi (problema che riguarda quasi tutte le band, non solo in Italia): sul medio-lungo periodo questo stanca. Non è questione di gusti. Come spiegano numerose ricerche scientifiche, il cervello umano ha continuamente bisogno di nuovi stimoli e il discorso si applica anche all’interno di uno stesso brano: tra un ritornello e l’altro, oppure tra prima e seconda strofa, la gran parte dei produttori musicali introduce suoni nuovi per fornire ulteriori stimoli al cervello dell’ascoltatore. I Modà non si aggiornano sotto questo aspetto e quindi, per quanto gradevole, la loro canzone del Festival 2025 può essere tranquillamente classificata come “il classico brano dei Modà”, che poteva uscire nel 2008 come nel 2016. Il testo è ricco di frasi esistenzialiste non casuali, che compongono un puzzle interessante. Bisogna osare di più negli arrangiamenti e nell’orchestrazione.
Bresh – La tana del granchio
Voto: 6
La funambolica metamorfosi dei rapper che si mettono a fare questi brani alla Laura Pausini che nella musica italiana ci sono sempre stati e sempre ci saranno, al di là di chi li propone. L’originalità a livello sonoro non c’è: potrebbe benissimo essere un brano del Festival di Sanremo 2015. Il tema della canzone è piuttosto importante (ognuno di noi ha una sorta di luogo interiore nel quale rifugiarsi e sentirsi al sicuro, anche nei momenti più tumultuosi) ma viene spiegato malissimo: per capire bene il significato del brano è necessario leggere le interviste al cantante e questo significa che il testo non è incisivo, tutt’altro, ronza intorno all’argomento senza definirlo bene. È un peccato, perché il tema è interessante. Il brano trasuda cantautorato fin dalla prima strofa, si parte con due linee diverse di chitarra e la voce di Bresh dà un tocco di malinconia che rilassa l’ascoltatore e in effetti lo trasporta, materialmente, in questo luogo interiore di pace e intimità. Il ritornello è nettamente più convincente delle strofe.
Irama – Lentamente
Voto: 6
L’Irama degli esordi, fino all’album “Crepe” (agosto 2020), è un signor artista. In seguito, con la nobile eccezione di “Ovunque sarai”, il cantautore ha sfornato diversi brani sui quali si può appuntare più di qualcosa. La canzone presentata al Festival di Sanremo 2025 non è indimenticabile. La parte finale del ritornello è il momento migliore a livello melodico. Non basta: troppo poco. Un vocalizzo decisamente ASMR (ovvero, rilassante) accompagna strofe deboli. Da sottolineare come a inizio brano la voce dell’interprete non si imponga con un attacco diretto, ma spunti fuori dolcemente, come se durante la parte strumentale fosse già presente: questo è un effetto usato spesso nelle colonne sonore dei film e delle serie TV. L’arrangiamento crea un’atmosfera cupa e pesante e c’è un uso spietato dell’autotune (uno con la voce di Irama ne ha realmente bisogno?). Lentamente in spagnolo si traduce “Despacito”, la canzone di Irama ha un profilo discografico diametralmente opposto rispetto alla hit internazionale di Luis Fonsi e Daddy Yankee.
Massimo Ranieri – Tra le mani un cuore
Voto: 6
Proposta più teatrale che discografica, il brano sale di livello grazie all’interpretazione di un performer eccellente come Massimo Ranieri che dà colore a ciascuna parola. Lo spessore del brano è da misurare nel testo, non banale ma al tempo stesso non indimenticabile. In alcuni tratti la canzone non convince e l’arrangiamento appare anacronistico soprattutto nello special, ma una buona linea melodica suonata dal sassofono e un ritornello ben scritto da Tiziano Ferro sono elementi che fanno conquistare la sufficienza a una canzone non modernissima e passata inosservata durante la settimana del Festival.
Clara – Febbre
Voto: 5,5
Esperienza sanremese non particolarmente graffiante per Clara, che si presenta all’Ariston con un brano confezionato ad hoc per funzionare ma che, alla fine, non convince fino in fondo. L’impressione è che dietro una canzone del genere non vi sia chissà quale ispirazione trascendentale: il prodotto finale assomiglia più a una semplice addizione di parti musicali che esprimono generi diversi. Le strofe sono impostate sul classico. Quando parte la cassa dritta, invece, il brano prende in prestito un flow da Salmo (la cui influenza sta diventando sempre più rilevante per i concorrenti del Festival di Sanremo, al quale nella passata edizione ha partecipato Big Mama). Il bridge non è affatto male, anche se la linea melodica (che poi si ripeterà nello special) ricorda un passaggio di “Melodrama” di Angelina Mango. Il ritornello è fine a se stesso, non esprime alcun carattere di originalità e non ha una melodia indimenticabile.
Rose Villain – Fuorilegge
Voto: 5,5
La proposta è simile a quella dell’edizione 2024, ma il pezzo è più debole rispetto a “Click Boom!”, con Rose Villain che dopo un anno non migliora, anzi, cala. È un brano troppo particolare, a livello strutturale, affinché possa essere ben compreso dalla platea nazionalpopolare. Proporre una canzone del genere al Festival di Sanremo è un rischio azzardato, che non ha portato a risultati molto soddisfacenti. Il refrain del ritornello è piacevole, per il resto si tratta di una canzone piuttosto atipica, che ha il suo pubblico. Il brano sale di qualità nel finale con il coro e un “clap” coinvolgente.
Elodie – Dimenticarsi alle 7
Voto: 5
Elodie si esibirà a San Siro in estate e non ha una discografia degna di riempire un tempio della musica mondiale (non è Bruce Springsteen o Vasco Rossi, per intenderci), quindi pensava di fare il botto al Festival e riempire il Meazza sullo slancio dell’ondata di affetto sanremese. È finita con una delusione: ha chiuso dodicesima, fuori dalla Top 10, passando anche piuttosto inosservata. A livello musicale si possono muovere tante critiche al brano, a partire dall’introduzione, la quale ricorda senza troppi giri di parole “Sinceramente” di Annalisa (gli autori sono gli stessi). In studio, in fase di missaggio, è stato messo in secondo piano il pregio della canzone: sul palco dell’Ariston il brano non ha convinto, ma quantomeno si intuiva che le percussioni fossero ottime. Ebbene: il volume delle percussioni in studio è stato mantenuto basso. Il bridge rimanda alla prima fase della carriera di Elodie (“volevano farmi diventare una Mia Martini 25 enne, piuttosto sarei tornata a fare la cubista” cit. Elodie stessa). In generale le sonorità sono tipicamente autunnali, Sanremo è uno slancio verso la primavera e quindi il contesto è sbagliato. L’ultimo minuto di canzone è piuttosto piatto, non c’è un significativo rallentamento o cambio di passo.
Tony Effe – Damme ‘na mano
Voto: non classificabile.
Resterà nella storia della musica italiana come uno degli esperimenti più fallimentari mai registrati al Festival di Sanremo. La canzone in alcuni tratti sarebbe anche gradevole, ma un brano del genere è del tutto de-contestualizzato rispetto al passato discografico e alle prospettive future dell’interprete, pertanto il cantante (che tra l’altro all’Ariston ha stonato e non poco) non è credibile quando pronuncia determinate frasi (a maggior ragione perché da anni vive a Milano) e tanto meno ha lo status artistico per provare a confrontarsi con figure come Franco Califano o, più semplicemente, Luca Barbarossa. Il progetto comunicativo di “reputation rebuilding” (ovvero il tentativo di risanare la propria immagine nei confronti dell’opinione pubblica) non funziona appieno, siccome nella seconda strofa viene descritta nei dettagli una scena di sesso orale. Da sottolineare che in fase di produzione sono state realizzate buone percussioni nel ritornello da parte di Drillionaire. In generale si può tranquillamente voltare pagina, rispetto a una parentesi inspiegabile e imbarazzante sia per l’artista che in generale per la musica italiana (il suo album è stato il più ascoltato in Italia nel 2024). Il Festival di Sanremo ha messo a nudo tutti i limiti artistici, musicali e canori di questo ragazzo che al Teatro Ariston è stato costretto a ridimensionare il proprio ego, apparendo – più che un pesce fuor d’acqua – un vero e proprio dilettante rispetto ad artisti professionisti.