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JAGO, sculture ispirate al passato che raccontano il presente

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Roma è tappezzata di cartelloni che pubblicizzano l’inaugurazione di una mostra a Palazzo Bonaparte, in quella che fu la residenza della madre di Napoleone. Tre parole, “JAGO The Exibition” e due volti, l’artista JAGO e una Venere anziana scolpita nel marmo. Un’immagine potente che alimenta le aspettative legate alla prima grande mostra dedicata allo scultore noto come “The social artist” per il grande seguito social e la capacità di avvicinare all’arte un pubblico trasversale.

La scultura è il linguaggio di JAGO che attraversa la linea del tempo ispirandosi ai grandi artisti classici rinascimentali, con opere che raccontano la complessità della contemporaneità. JAGO ha 34 anni e una bella storia che comincia a Frosinone, dove è nato e ha studiato, incontra la scultura ad Anagni, nel suo primo studio dove trasforma in sculture i sassi che raccoglie sul greto del fiume Sacco. Le prime opere che realizza sono una mano, un braccio, un volto che sottopone all’attenzione di Maria Teresa Benedetti, autorevole studiosa dell’arte. Le porta un busto marmoreo che ritrae Papa Benedetto XVI e le dice che quell’opera sarà esposta un giorno ai Musei Vaticani. Impensabile? Futuribile? Forse, ma l’impensabile accade nella storia, Papa Benedetto XVI si dimette, JAGO prende il suo busto e lo trasforma, per renderlo al passo della storia. Lo spoglia degli orpelli papali, conserva in un reliquario i resti del marmo e l’opera assume un altro nome, più aderente alla realtà “Habemus Hominem”. Il Pontificio Consiglio della Cultura lo onora con la Medaglia Pontificia, Vittorio Sgarbi lo invita alla Biennale Arte nell’anno in cui è il curatore del Padiglione Italia. L’arte di JAGO esce dalle sale espositive e incontra la gente, è tra la gente. JAGO viaggia, Cina, America, torna e si connette con l’energia di Napoli, scolpendo, comunicando, divulgando, vero faber fortunae suae, perché dietro JAGO c’è solo Jacopo Cardillo, la sua intelligenza e la sua indipendenza. Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano JAGO, Maria Teresa Benedetti, Vittorio Sgarbi e Jole Siena, presidente di Arthemisia, che ha portato la scultura di JAGO in mostra a Roma.

JAGO

 La sua storia come comincia?

E’ la storia di un ragazzino innamorato di se stesso a tal punto da identificarsi con le immagini bellissime che fanno parte della nostra eredità culturale e che ha cominciato a proiettarsi in una dimensione in cui si è immaginato capace di riuscire a fare cose simili. Tutto il percorso della mia vita è il tentativo di sentirmi in quella dimensione, conservando  quel ragazzino e proteggendo la sua ispirazione.

La scultura è il suo linguaggio?

Si, per capire le cose ho bisogno di romperle, sapendo che rompendole si può trovare anche un gioiello. Realizzare un’opera d’arte significa distruggere qualcosa per arrivare all’essenza.

Nella sua vita ci sono luoghi lontani e diversi…

Sono abituato a considerare ogni luogo in cui ho vissuto come una tappa, anche se poi tendo a piantare un seme in ogni posto. Ci sono città nelle quali ho vissuto e dalle quali sento che non riuscirò mai a distaccarmi, New York rappresenta questo per me perché mi sono accadute cose talmente importanti e rivoluzionarie che restano intrinsecamente collegate a quel luogo. Altre esperienze mi legano a Napoli, Verona, Roma, perché oggi possiamo essere davvero cittadini del mondo, lasciandoci condizionare favorevolmente dai luoghi nei quali viviamo.

Perché ha realizzato il “Figlio Velato”, una delle sue opere più significative, a New York?

Ero innamorato del “Cristo Velato” che vidi la prima volta da bambino a Napoli, e cercai anche di toccarlo, nonostante fosse vietato. La contemporaneità ci suggerisce immagini terribili che si sedimentano e si esprimono in modi diversi, ci sono immagini di bambini morti a causa delle scelte di altri, quindi l’opera con un bambino morto coperto da un velo, non è patrimonio di nessuno, è solo la necessità di dare una forma e un peso a qualcosa che altrimenti diventa un’immagine che scorre sullo smartphone.

JAGO ha un’idea di arte che i cattedratici dell’Accademia non hanno compreso e il pubblico ha apprezzato subito. Che arte è la sua?

E’ l’arte di una persona che si occupa di se stessa e che non rinuncia a fare le cose che ama fare. Ciascuno può amarla, non amarla, comprenderla o non capirla, ma nessuno può dire che io non sia un professionista, perché l’impegno con cui realizzo le mie opere sono proprie di chi sa esattamente quello che sta facendo. Per realizzare un’opera ci impiego anche 18 mesi, ma alla fine so cosa ho fatto.

La spiritualità che importanza ha nelle sue opere?

Ho un rapporto spirituale con me stesso ma mi interessa poco imprimerlo nelle cose che faccio. Sono gli altri che vedono la propria spiritualità nelle mie opere e mi piace molto lasciare questa libertà.

Quando presentò il busto di Papa Benedetto XVI alla professoressa Maria Teresa Benedetti dicendo “Quest’opera finirà ai Musei Vaticani”, ci credeva davvero?

Diciamo che lo dicevo a me stesso come incoraggiamento, per darmi una prospettiva, ambiziosa ma necessaria.

Non è andato molto lontano perchè è arrivata la Medaglia Pontificia

Avranno fatto un errore (JAGO sorride n.d.r.)

A Palazzo Bonaparte è stato ricavato uno studio dove lavorerà alla realizzazione di un’opera mentre è in corso la mostra. La condivisione con il pubblico cosa rappresenta per lei?

Lavorerò alla preparazione di modelli per le prossime opere.  La mia linea di principio è dettata dalla necessità di fare le cose e condividerne il processo.

JAGO artista social. Cosa significa?

Io sono un artista indipendente, mi occupo di me interamente, anche per la comunicazione. I social sono per me uno strumento, come il martello e lo scalpello.

Maria Teresa Benedetti, curatrice

Che artista è JAGO?

E’un artista interessante, entusiasta della vita, che si gestisce con intelligenza. Lo seguo da quando era ragazzo, mi cercò, volle conoscermi e io capii subito che aveva stoffa. Ciò che non capivo era perché dedicasse tanto tempo ai social. L’ho capito dopo e lo apprezzo ancora di più, perché avvicina l’arte non solo agli specialisti ma alla gente. Oggi gode di una fama diffusa e questo è importante per un artista.

La sua scultura cosa racconta?

Sta lavorando a due sculture, non in mostra perché ancora non terminate, molto importanti, “Ajace e Cassandra” racconta la storia dello stupro del guerriero greco ai danni della giovane profetessa troiana figlia di Priamo, un riferimento simbolico all’antico per parlare di ciò che succede oggi. Con la seconda opera, “Davide” femmina, tiene stretto il pugno e lottando contro Golia scaglierà il sasso e vincerà, affronta il tema della femminilità, con la vittoria del bene sul male. Sono cose che nascono dall’antico e che JAGO riferisce al contemporaneo, tutto quello che fa è simbolico del nostro tempo perché lui è un uomo e uno scultore del nostro tempo.

Le opere in mostra più simboliche?

 Il Papa svelato è simbolico della crisi della Chiesa, la Venere vecchia è simbolica del fatto che la bellezza non è solo quella della giovinezza, il Figlio Velato è simbolico della violenza sui bambini, nelle guerre e nelle peregrinazioni, la Pietà, il gesto di amore di un padre che sorregge il corpo del figlio, racconta le vittime dei nostri giorni. JAGO adopera gli strumenti della tradizione per esprimere valori e problemi del nostro tempo.

 “JAGO come Michelangelo” è un’associazione che è stata fatta. Da chi e per quali ragioni?

E’ una stupidaggine detta dai media, ma priva di qualsiasi consistenza. Michelangelo e la sua grandiosità è un modello  straordinario a cui guardare, un esempio a cui ispirarsi, uno scultore che ha vissuto drammaticamente la sua scultura, ma non ha né può avere un rapporto diretto con JAGO, un uomo contemporaneo, uno scultore che non dimentica il passato ma vive e racconta il nostro tempo.

JAGO è un ottimo scultore e lo sarebbe anche senza social, ma è uno scultore diventato famoso grazie ai social. Condivide questa affermazione?

E’ proprio così, è uno scultore che si gestisce da solo assumendosi per intero il compito di dialogare con il mondo, non ha mercanti né mediatori, si procura blocchi di marmo che pesano quintali e li scolpisce, condividendo le fasi del lavoro e il risultato finale con chi lo segue. E’ famoso come una rockstar grazie ai social e questo, va ricordato, aggiunge e non toglie valore alla sua arte.

Vittorio Sgarbi

Quali sono gli elementi innovativi della scultura di YAGO?

Il ritorno alla tradizione, l’idea che non ci sia bisogno di rompere tutti gli schemi come ha fatto l’Avanguardia per qualche secolo e che si può tornare a guardare il corpo umano, l’anatomia, l’armonia delle forme e ritornare a rappresentarle. C’è la tecnica, il mestiere, la conoscenza, la capacità di agire in totale indipendenza rispetto alle tendenze del proprio tempo. JAGO è un artista che si è formato trovando in se stesso quell’accademia che l’istituzione non riusciva a dargli, con una tecnica ritrovata  e con la modernità di avere diffuso la propria attività attraverso i social, arrivando a tutti, soprattutto ai giovani, con un processo di condivisione che rende un’opera  come fatta da ognuno di noi, come se le opere di JAGO fossero il sapere di una intera umanità che si collega con lui e condivide quello che lui fa. Questo bilanciamento tra tradizione e innovazione è la sua cifra più specifica.

Professore, lei e Maria Teresa Benedetti avete capito subito le sue potenzialità

Maria Teresa Benedetti è stata quasi una veggente, io ho premiato YAGO poco più che ventenne e l’ho poi invitato nel 2011 alla Biennale di Venezia e ciò fa parte della sua crescita rispetto all’attenzione della critica che si aggiunge alla ammirazione delle persone semplici.

La spiritualità nell’arte di Jago che importanza ha?

Fa parte dell’ispirazione risentire la pienezza dell’arte come la avevano intesa Michelangelo, Bernini, Canova, i grandi maestri che avevano una unicità nella produzione di immagini che colpivano la sensibilità e l’emozione di chi le guarda.

JAGO è un artista più irregolare o indipendente?

Più indipendente.

JAGO oggi cosa rappresenta per l’arte contemporanea?

Quello che è Bocelli per la musica, nel senso che ci sono quelli che osservano i limiti della voce di Bocelli, ma ciò non toglie che abbia una universalità di condivisione che è abbastanza insolita per la musica lirica.

Jole Siena

È una sfida la mostra di un artista social e global?

Presentiamo una mostra insolita, la prima mostra che si organizza su un giovane artista contemporaneo che ha caratteristiche che non possono essere ignorate e trascurate. JAGO è uno scultore italiano che sta facendo un cammino molto importante, si sta affermando nel mondo, è estremamente talentuoso, sa raccontarsi e raccontare la sua opera, sa essere manager di se stesso, ha oggi un seguito social come nessun altro artista. Il messaggio che trasmette ai giovani è molto importante perché oltre ad avvicinarli all’arte, testimonia anche come si possa vivere delle proprie passioni, con caparbietà e tanto lavoro. JAGO rappresenta un unicum, un fenomeno che doveva essere studiato e presentato in una mostra importante.

La prima mostra personale di JAGO a Roma

Si, è una mostra che arriva dopo molte esposizioni di singole opere. Sono esposte le sue opere realizzate dai 20 ai 34 anni, dalle prime realizzate con i sassi di fiume quando non poteva acquistare i blocchi di marmo, fino all’ultima, la Pietà. La mostra racconta l’intero percorso dell’artista.

La sua opera è costantemente in fieri, scolpisce anche a Palazzo Bonaparte con le sue opere in mostra

Abbiamo creato uno studio da artista all’intero delle sale della mostra. JAGO lavorerà all’interno di una stanza chiusa, da cui entrerà e uscirà spesso per incontrare il pubblico perché è estremamente generoso in questo. La sua prossima opera sarà realizzata proprio a Palazzo Bonaparte e contiamo di presentarla al pubblico prima della chiusura dell’esposizione. Ma non è l’unica iniziativa, perchè tutti i venerdì alle ore 19, ci sarà la possibilità di visitare la mostra accompagnati da JAGO, per entrare compiutamente nel suo mondo e per conoscere personalmente un grande artista.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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