Il 14 settembre 1321 Dante Alighieri moriva a Ravenna. Era ammalato di malaria e aveva solo 56 anni. A 700 anni dalla morte, è ancora lo scrittore più letto al mondo, padre della lingua italiana, simbolo della cultura italiana nel mondo e capostipite della tradizione letteraria europea.
Il mondo culturale italiano si è preparato da tempo alla ricorrenza con l’istituzione di un Comitato Nazionale per le celebrazioni dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Un dato parimenti significativo è che si registra grande e diffuso interesse, in Italia e all’estero, sulle celebrazioni dantesche, un riscontro da cartina di tornasole su come Dante sia profondamente vissuto, conosciuto e amato. La Divina Commedia, l’opera più famosa e letta, espressione di sentimenti universali che appartengono a una umanità di ogni tempo, svelata nei molteplici aspetti dell’anima, non è il solo prodigio letterario del Sommo Poeta. Roma ospita fino a settembre, al Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, una mostra “La Vita Nova. L’amore in Dante nello sguardo di 10 artiste” che hanno letto e interpretato, dalla parte di Beatrice, La Vita Nova, un’opera giovanile autobiografica, scritta in lingua volgare, in cui il Sommo Poeta, tra visioni, sogni e incubi, ripercorre idealmente il suo amore per Beatrice. Il nove, numero simbolo dell’amore per Beatrice, sottolinea le tappe di un incontro emotivo e sentimentale determinante nella vita personale e artistica di Dante che la incontra in chiesa all’età di nove anni, la rivede nove anni dopo e la sogna come speranza d’amore, elevata poi a creatura angelicata celebrata nel Paradiso. L’opera si presta alle interpretazioni visive contemporanee per le immagini e le suggestioni con cui affronta tematiche forti, di grande impatto emozionale, la celebrazione dell’amore ma anche la sua crudeltà, il connubio amore e morte, l’elevazione spirituale e la ricerca di Dio attraverso l’amore terreno, la santificazione della donna amata. Micol Assael, Letizia Battaglia, Elisabetta Benassi, Marta dell’Angelo, Ra Di Martino, Giosetta Fioroni, Marzia Migliora, Sabina Mirri, Elisa Montessori e Patrizia Cavalli sono le artiste, espressioni di generazioni diverse, che hanno interpretato e attualizzato un testo che rappresenta “un paradigma del discorso d’amore nella cultura d’Occidente”.
Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Alessandra Mammì, ideatrice e curatrice della mostra e le artiste Marta dell’Angelo, Ra Di Martino e Marzia Migliora.
Alessandra Mammì
Come e perché nasce una mostra dedicata alla Vita Nova nello sguardo di 10 artiste?
E’ un omaggio a Dante che si inserisce nelle iniziative organizzate dal Comitato Nazionale per le celebrazioni dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, istituito nel 2018 dal Ministro per i beni e le attività culturali e il turismo. La mostra ha la caratteristica di essere ispirata a un testo giovanile di Dante, La Vita Nova, che forse è il meno ricordato e celebrato nei Festival che sono dedicati al Sommo Poeta. La lettura del testo è stata affidata ad artiste donne, perché La Vita Nova è la costruzione dell’immagine della Musa, è un paradigma del discorso d’amore rimasto tale per tutto l’Occidente. Le donne, artiste contemporanee, lo hanno riletto dalla parte di Beatrice, perché restituisce una visione legata alla cultura maschile dominante. E’ interessante sottolineare come nessuno dei lavori ha avuto una ricaduta femminil femminista, ma tutte le opere si sono concentrate su alcuni aspetti de La Vita Nova che sono essenziali alla costruzione di una umanità e di una contemporaneità.
Di cosa parlano le opere realizzate?
Ci sono lavori che parlano di ecologia, altri che recuperano l’immaginario cinematografico, alcuni parlano dell’amore, altri della morte, altri ancora ci proiettano nella cronaca e nella storia.
Le artiste come hanno affrontato il testo di Dante?
Ciascuna delle 10 artiste è riuscita a entrare nel testo de La Vita Nova, a sceglierne una parte e ad appropriarsene. Questa è un’operazione che dovremmo fare tutti, artisti e non artisti perché il testo è come una scatola magica che parla della vita, dei sentimenti più profondi ma anche di natura, sogni, viaggio, tempo e rapporto con il tempo. Penso che con questa mostra siamo riusciti a rendere omaggio al testo e a Dante.
Il Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, scelto come sede ospitante, come accoglie le opere e il tema?
Il Museo Giovanni Barracco è uno dei luoghi culturali più belli di Roma, ancora poco conosciuto. Nasce da Giovanni Barracco, uno di quei personaggi che fanno parte della storia e della cultura italiana di fine Ottocento e inizi Novecento. Il marchese Barracco era un uomo ricchissimo che ha finanziato Garibaldi, è stato risorgimentale, senatore dopo l’Unità d’Italia, è stato il primo alpinista che ha scalato il Monte Bianco e ha anche fondato il Club Alpino Italiano. Era un uomo di mondo, molto amico di Eleonora Duse ma è stato soprattutto uno dei più grandi collezionisti, con una visione moderna che lo portava a ritenere come la scultura greca e romana potesse essere compresa solo osservando esempi di scultura sumera, egizia, fenicia, etrusca. Il marchese Barracco colleziona con esempi paralleli e costruisce una collezione eccezionale di volti, divinità, ermafroditi, dove i partners si rimbalzano al di là delle griglie cronologiche e geografiche, cercando di capire come si muoveva la cultura in tutto il Mediterraneo.
La collezione custodita nel Museo Barracco cosa comprende?
E’ una collezione straordinaria che Giovanni Barracco raccoglie originariamente in un museo che si fa costruire, ma che verrà poi demolito durante il fascismo per le trasformazioni che hanno interessato Roma in funzione dei successivi ampliamenti, finchè la collezione che dona allo Stato nel 1905, non avendo figli né eredi, approda in questo palazzo chiamato “La Farnesina ai Baullari”, costruito nel 1523 su progetto di Antonio da Sangallo. E’ un palazzo bellissimo che sorge su resti di età romana, dove la Collezione Barracco trova casa e sembra essere nata per questo posto. Una delle preziosità di questo luogo a cui Barracco teneva molto, è l’illuminazione naturale, la meravigliosa luce di Roma che grazie alla tripla esposizione del palazzo, cambia a ogni ora ed entra morbidamente nelle sale.
L’iscrizione dei versi di Dante sui gradini della scala di ingresso del Museo Barracco è parte della mostra. Come sono stati selezionati?
Abbiamo inserito i versi affinchè il visitatore fosse accompagnato nella mostra, mentre sale le scale, legge alcuni versi dei sonetti, delle canzoni e delle ballate di Dante. Le artiste ne hanno scelti alcuni, noi curatori altri e lo scopo è stato raggiunto perché i versi di Dante accompagnano il visitatore come una musica.
Qual è il significato profondo della mostra, al di là dell’aspetto celebrativo?
La visita alla mostra si trasforma in una capacità di visualizzare Dante attraverso un lavoro contemporaneo. Il rapporto con Dante è molto stretto, rafforza la visione delle artiste e ci avvicina a Dante.
Marta Dell’Angelo
La sua opera apre il percorso espositivo e la racconta a NY
Sono molto legata a NY, dove ho vissuto un anno, nel 2002, grazie al Premio NY di cui sono stata insignita. In occasione di una mostra organizzata alla Italian Academy, nella Columbia University, America Oggi mi dedicò una pagina, quindi sono felice che la mia arte incontri nuovamente America Oggi e i suoi lettori.
Il suo sguardo su Beatrice e La Vita Nova cosa restituisce?
Sono stata invitata, con altre artiste donne, a leggere il testo La Vita Nova e a entrare nel merito, in modo particolare nel rapporto tra vita e morte che ho interpretato utilizzando il mio modo di lavorare. Utilizzo il corpo, che è il luogo più indagato sulla terra, perchè penso che per aggiungere tasselli a volte bisogna ripartire dai luoghi più indagati.
Come rappresenta il corpo?
Nella mia opera, “Il Passaggio”, olio su doppia tela sovrapposta, è un corpo molto fisico, corpo/mente che riporta con i piedi per terra, alla fisicità, al contatto, alla sensazione che Dante auspica ne La Vita Nova ma che non riesce a raggiungere, dove Beatrice è sempre vista come idealizzazione. Ho voluto restituire l’assenza di un corpo, con tutta la sua fisicità, con tutto il suo peso, soprattutto un corpo, quello di Beatrice che viene circondato da tutte le sue amiche, femmine, donne che la accudiscono. Ho pensato che nella storia del tempo, questa è una operazione molto al femminile, l’affidare il proprio corpo a un’altra donna, è un gesto che abbiamo fatto nei secoli e quindi il corpo femminile un po’ efebo, neanche tanto dichiarato, che porta sulle sue spalle, trasporta e costituisce il passaggio tra la vita e la morte, di consegna di un corpo che nel testo di Dante non si può afferrare. Mi piaceva l’idea di poterle dare, attraverso l’anima, anche la sua fisicità.
Il rapporto tra mente e corpo è un tema ricorrente nelle sue opere?
In tutta la fisicità del mio lavoro, cerco di restituire il connubio inseparabile tra mente e corpo, in quanto nonostante continuiamo a dire che sono insieme, li chiamiamo sempre in modo separato. Non c’è una parola che li comprende entrambi e questo determina una grande contraddizione che ci portiamo, perché a volte parliamo di mente, altre di corpo dimenticando che in realtà sono una cosa sola. Il sistema nervoso ci attraversa ed è attraverso questo percorso che passano le emozioni. In questo caso le emozioni delle artiste visive passano attraverso la forma e l’immagine rappresentata.
La sua opera è la prima che si incontra visitando la mostra e rimanda all’immagine accompagnata dai versi. Come dialogano?
Il testo de La Vita Nova è il punto di riferimento che ho scelto per creare l’immagine e ho deciso di farlo entrare anche nell’opera. Il testo è dipinto con la terra di Siena bruciata che è la base del dipinto, fatto a pennello. Ho tolto il telaio dalla tela perché mi piaceva che fossero come fogli, pagine del libro e che toccando terra, permetteva al pubblico di toccare una fisicità che non fosse idealizzata a sua volta. L’opera contiene una sua monumentalità che non è messa su un piedistallo, perché non ha bisogno del piedistallo per essere monumentale. E’ il corpo che continua a parlare, se qualcuno sente questo passaggio, lo racconta. C’è poi anche un aspetto legato alla morte, un tema con cui, in epoca contemporanea, abbiamo smesso di fare i conti. Parliamo solo di quanto la vita può essere più lunga, di quanto noi possiamo diventare più eterni, ma stiamo dimenticando di fare i conti con la morte in senso vitale, non in senso drammatico. Bisogna tornare a parlarne, anche attraverso le immagini e riprendere confidenza con il corpo e con la morte.
Oggi il corpo come è rappresentato?
Abbiamo delegato i nostri corpi a essere espositori e contenitori ma non siamo attenti al contenuto. Io ritengo che il corpo resti, da sempre, nella storia dell’umanità e dell’arte, il contenuto, ciò che noi siamo. Questo lavoro è legato alla postura e al gesto e in quanto tale restituisce un significato e un’emozione.
Ra’ Di Martino
La sua opera attinge dalla memoria visiva del Novecento per raccontare Dante. In che modo?
Ho interpretato La Vita Nova realizzando una nuova opera di una serie a cui lavoro da anni, Allunati, in cui uso le immagini della Luna prodotte dalla NASA e su queste stampe applico, in foglia oro, sagome che arrivano dalla storia dell’uomo. Sono immagini di esseri umani rappresentate da foto, che ho scattato io ma anche foto antiche recuperate e foto storiche che cristallizzano momenti importanti per l’umanità. Per la realizzazione di questa opera ho utilizzato una scena di un film di Bernardo Bertolucci “Prima della rivoluzione”, in cui i due protagonisti si guardano e quindi abbiamo i due profili di uomo e di donna, separati da due dittici, fatti dalla foglia d’oro come un ricordo prezioso che arriva fino alla Luna.
Come è arrivata a concepire questa forma d’arte per interpretare La Vita Nova?
La tecnica a cui sto lavorando da anni è tra la fotografia e il disegno. E’ contemporanea perché ha la Luna ed è fotografia, il rapporto umano di un lui e una lei che si guardano cercando di darsi la mano, è universale e non ha tempo e ci riporta a Dante e a Beatrice.
Marzia Migliora
Le sue tre opere cosa raccontano?
Ho realizzato tre lavori su carta, collage pittura e disegno. Sono tre opere che riportano al centro del foglio il numero 9, che in Dante ritorna più volte come fortemente simbolico all’interno della narrazione de La Vita Nova. Ho creato un ponte tra questo e Beatrice in Dante e per me qui sono tante le figure femminili che popolano il mio lavoro, tante e attive che coltivano, seminano, zappano, lavorano la terra per procurare il cibo che mangiamo.
Le opere riflettono suggestioni etniche. Perché?
Perché rimandano alla Banca dei semi in India fondata dalla scienziata, ecologista e attivista Vandana Shiva, che si chiama Navdanya, nove semi, un nome derivato da un rituale che le donne fanno portando 9 semi al fiume e scegliendo i migliori da serbare per il raccolto dell’anno successivo e da scambiare. E’ un lavoro a tinte forti, vitale, dove c’è un brulichio di persone attive. L’idea de La Vita Nova è quella di avere un miglior rapporto con l’ambiente che ci circonda, con il cibo che mangiamo, sapere da dove proviene e chi lo ha coltivato, per essere generosi con i contadini che procurano il sostentamento, indispensabile per la nostra vita.