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Cruor, al Museo Carlo Bilotti

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Roma ha un museo di arte contemporanea intitolato a una illuminata figura di imprenditore italoamericano, Carlo Bilotti, partito da Cosenza, vissuto a NY, innamorato dell’Arte che ha collezionato e valorizzato come presenza costante e attiva nella vita e nel lavoro. Carlo Bilotti, scomparso nel 2006, l’anno in cui alcuni dei suoi progetti culturali più significativi trovavano concreta realizzazione, va ricordato come collezionista, mecenate, amico di molti artisti internazionali, appassionato promotore della interazione tra arte e ambiente urbano che lo ha portato a realizzare il MaB, Museo all’aperto Bilotti a Cosenza e a concentrare la sua attenzione culturale su uno dei luoghi più iconici di Roma, Villa Borghese. Ed è a Roma, città da lui molto amata, che la sua passione per l’arte ha messo radici, nel Museo dell’Aranciera di Villa Borghese a lui intitolato, dove sono custodite le opere donate al Comune di Roma provenienti dalla sua collezione privata, che comprende un nucleo importante di sculture e dipinti di Giorgio de Chirico, Larry Rivers, Andy Warhol, Gino Severini e Giacomo Manzù.

Il Museo Carlo Bilotti, che oltre alla esposizione permanente delle opere in collezione si apre all’accoglienza di eventi espositivi temporanei,  è sede ospitante, dal 17 settembre al 10 gennaio 2021, di CRUOR, una mostra composta da 14 dipinti, 46 studi preparatori, una installazione e un video della pittrice Renata Rampazzi. Ma CRUOR è molto più che una mostra, è un urlo straziante, un pugno nello stomaco, un secchio di acqua ghiacciata sulle coscienze addormentate di chi non si occupa come dovrebbe o non fa quel che potrebbe per affrontare con energia e determinazione il problema della violenza di genere. 

Cruor significa sangue in latino, un sangue diverso dal sanguis che rimanda a ciò che è naturale e proprio dell’essere umano. Il sanguis scorre nelle vene, il cruor sgorga dalle ferite inferte.

Cruor è un sangue cruento, indotto, sventrato, violato, offeso, ucciso.

L’arte di Renata Rampazzi, pittrice molto conosciuta e apprezzata dagli anni Settanta, espressione del filone informale e astratto, diventa strumento di denuncia con le Composizioni, Ferite, Sospensioni Rosse, Lacerazioni delle opere in mostra e lo fa in modo forte e deciso, con disegni che pur rimanendo astratti, rimandano inequivocabilmente a vagine che grondano sangue con grumi neri e offensivi, testimoni brutali delle violenze subite. I dipinti, forti e tragici, restituiscono la drammaticità della violenza contro le donne, con l’obiettivo di generare nuova consapevolezza. Ma l’arte è sublimazione e Renata Rampazzi sa uscire dal dolore ed elevarsi verso una visione di lievità che segna la strada maestra verso cui ogni donna deve tendere, indicata metaforicamente da uno spazio installazione dove si entra camminando, costruito con pannelli di garze colorate, appese al soffitto su piani sfalsati, dipinte con colori sfumati che vanno dal rosso, al rosa, al viola e che segnano metaforicamente il passaggio dalla condizione di dolore e denuncia, al sogno di una dimensione diversa, eterea ma possibile.

America Oggi e Osservatorio Roma incontrano Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, nipote di Carlo Bilotti e istitutore di altri musei, per capire come la storia di un’antica villa romana abbia incrociato la vita di Carlo Bilotti, Renata Rampazzi, l’artista che espone CRUOR e Claudio Strinati, storico dell’arte e curatore della mostra.

Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona

Carlo Bilotti racconta una bella storia italoamericana, che ha inizio dove?

A Cosenza, la sua città natale, prosegue a Napoli dove studia dai Gesuiti, si laurea a Palermo e si sviluppa a NY dove ha vissuto lungamente, sposando un’americana, Margaret Embury Schultz. Nato nel 1934 in una antica famiglia di nobili napoletani (il padre era il più importante industriale del Sud Italia, la madre, baronessa di Serradileo, era figlia della proprietaria della Banca di Calabria), Carlo diventa un imprenditore di grande successo internazionale nel settore cosmetico. La sua vita conosce anche parentesi europee, soprattutto a Parigi dove ha vissuto quando era presidente della Nina Ricci. Collezionista d’arte, continua a coltivare  la passione ereditata dalla sua famiglia, già proprietaria di collezioni di arte antica nel Castello di Serragiumenta,  soprattutto a  NY  quando diventa presidente di Pierre Gardin e Nina Ricci. Ha applicato l’arte, che lo ha sempre accompagnato, all’imprenditoria, realizzando un virtuoso binomio tra industria e arte che sopravviveva alla iniziale committenza. Quando era presidente di Pierre Gardin, chiese a  Andy Warhol di disegnare 12 dipinti dedicati a un fiore da cui derivavano alcuni profumi Pierre Gardin, “Mimosa e ylang ylang”, opere che sono rimaste nella collezione Bilotti dopo la campagna comunicazionale per la quale erano state commissionate. E’ però da Cosenza che parte il primo dei suoi progetti di straordinario mecenatismo, con la nascita del MaB, il Museo all’aperto Bilotti, un percorso di 1,5 km nell’area pedonale di Corso Mazzini, dove ha inserito parte della sua collezione di sculture degli artisti più importanti del Novecento italiano, Rotella, Manzù, de Chirico, Dalì, Greco, Consagra, Sosno Modigliani, donata alla città di Cosenza per creare un museo a cielo aperto con l’intento di favorire l’interazione tra arte e ambiente urbano, in una costante relazione tra fruitori e città, facendo in modo che i cittadini possano fruire costantemente la visione delle opere, vivendole nel loro quotidiano. Il MaB è un’iniziativa realizzata nel 2006,  che conserva ancora oggi carattere di unicità. La storia di Carlo Bilotti racconta la sua nobile discendenza, i grandi successi imprenditoriali ottenuti in tutto il mondo, la sua appassionata attività di collezionista e mecenate ma è innanzitutto la storia di un Italiano che ha sempre portato orgogliosamente l’Italia, Roma e il suo Meridione nel cuore.

Come nasce il Museo Carlo Bilotti?

Nasce in quello che è per dimensioni il secondo edificio di Villa Borghese, dopo la Galleria, che era in epoca romana una grande villa ancora visibile sotto l’edificio. Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1600 arriva alla famiglia Borghese che abitava nel Cembalo, mentre nella Galleria il cardinal Borghese raccoglieva grandi collezioni statuarie di Bernini e Caravaggio alla Pinacoteca. L’edificio che oggi è sede del Museo era il Giardino dei giochi d’acqua perché soddisfaceva la dimensione ludica della famiglia, con fontane, affreschi, statuaria. Era la casa preferita di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, sposata con il principe Camillo Borghese. A metà ‘800 l’edificio, bombardato durante la Repubblica Romana e semidistrutto, rimane in stato di abbandono e viene utilizzato come deposito delle arance. Da Giardino dei giochi d’acqua diventa l’Aranciera di Villa Borghese. Nel 1901 i Borghese, caduti in bancarotta, vendono tutto allo Stato che trasferisce tutto al Comune ad eccezione della Galleria, oggi museo statale. L’edificio è rimasto abbandonato, con destinazioni marginali fino al 2005, quando si stipula una convenzione tra il Comune di Roma e Carlo Bilotti che dona parte della sua collezione al Comune per costituire il Museo di Arte Moderna e Contemporanea che rientrava nel progetto di riqualificazione di Villa Borghese. Il Museo Carlo Binotti nasce con una funzione dinamica volta all’esposizione della collezione permanente di Carlo Bilotti e a una attività di esposizione contemporanea.

La collezione Carlo Bilotti cosa ha di straordinario?

Indubbiamente il fatto di nascere dalla committenza, dalla relazione e dal confronto con gli artisti che spesso ispirava. Andy Warhol ripete spesso l’immagine di de Chirico perché richiesta da mio zio che con Warhol ha avuto un rapporto personale privilegiato e a cui ha commissionato molte serie. Un progetto molto amato è stata la Cappella della Chiesa del Divin Amore di Villa Ada Savoia, sulla via Salaria, che mio zio voleva realizzare affinchè fosse luogo di arte e meditazione in senso laico. Ha indetto un concorso per recuperare e restaurare la Cappella che era in uno stato di totale abbandono, tre artisti contemporanei importanti hanno elaborato un progetto di Cappella, originale e innovativo, esposto al Museo e poi andato a decorare la chiesa.

Roma cosa ha rappresentato per Carlo Bilotti?

Roma è stata molto importante per Carlo Bilotti, per tante ragioni anche personali e famigliari. E’ una città che ha sempre molto  abitato e frequentato, dove aveva una tenuta tra via Cecilia Metella e l’Appia Antica e un intero palazzo in via del Vantaggio. Il Museo a lui intitolato è testimonianza viva della sua grande passione per l’arte ma anche per Roma.

Renata Rampazzi

Cruor. Perchè una mostra con un titolo tanto impegnativo?

Cruor significa sangue sparso di donne, quello che esce dalle ferite inferte, diverso da quello che scorre nelle vene.  E’ un titolo forte, meditato a lungo per sostenere, con la mia pittura, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul dramma del femminicidio. Ho cercato di dare voce alle donne che soffrono in silenzio. Già negli anni successivi al ’68 avevo dipinto cose che nascevano dall’insofferenza verso i soprusi che alcuni uomini esercitavano nei confronti delle donne. I quadri in mostra, violentissimi perché ricordano grumi di sangue su vagine, sono stati esposti una sola volta negli anni ’80 alla Galleria Vismara di Milano e poi sono rimasti sempre nel mio studio. La recrudescenza della violenza di genere, ripetuta, efferata mi ha fatto ripensare ai miei quadri ai quali ho aggiunto una installazione pensata come un ambiente di veli, che ricordava originariamente il sudario, dove lo spettatore entra dentro e si immedesima nel dolore e nel problema delle vittime, tra teli e garze dipinte con il colore del sangue. Partendo da bozzetti dipinti fatti in studio con telaio e colori a olio, sono arrivata a un’altra scenotecnica, con materiali e garze leggerissime che cadono dal soffitto, dipinte con pimenti naturali, che non ricordano il momento della violenza ma sono vissute come un lamento delle vittime, dove si avverte la debole voce delle donne.

Qual è la finalità della mostra?

 Spero che lo spettatore, passeggiando nell’installazione, attraversi il dolore e si senta sensibilizzato.  Questo è il mio messaggio e il mio scopo.

Qual è lo spettatore a cui pensa?

Alla Fondazione Cini a Venezia, dove la mostra è già stata presentata, molte donne sono uscite sconvolte, perché il lamento, accompagnato da musiche dolci, tocca noi donne e ci fa entrare nella mente delle donne ferite. E’ un messaggio che non aggiunge violenza a violenza ma che vuol far riflettere e maturare consapevolezza.

Può essere letto come una sublimazione?

E’ esattamente questo il tragitto che ho fatto. La violenza denuncia, la mostra incoraggia.

Cruor è una mostra che diventa strumento di denuncia sociale?

Certamente, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema terribile che coinvolge tutti, attraverso una mostra da cui mi aspetto nascano altre iniziative.

Come si articola la mostra?

 14 dipinti, 46 bozzetti, una installazione di 40 veli e un video che documenta le fasi della realizzazione.

Il velo, nonostante l’apparente impalpabilità, ha una sua forza intrinseca?

Il velo, originariamente pensato come a un sudario, rimanda alle garze che avvolgono le ferite delle donne.

Può essere letto come un anelito di lievità a cui tutte le donne hanno diritto?

Assolutamente sì. L’installazione Cruor è uno spazio che  avvolge e commuove. Io lo sento molto, innanzitutto come donna e poi perché per la prima volta presento una pittura di denuncia. Ciascuno di noi deve far qualcosa per affrontare questo tema, per sensibilizzare al problema. La mia pittura è gestuale e tutto ciò che sento lo esprimo attraverso il gesto liberatorio del dipingere. Spero che questa mostra aiuti tutte le donne a liberarsi.

Claudio Strinati

Come dialoga la mostra CRUOR con il Museo Carlo Bilotti?

Il Museo Bilotti è stato creato in anni recenti, è infatti il museo più giovane di Roma, da Carlo Bilotti che credeva fortemente agli artisti giovani, viventi. Bilotti, uomo del Sud, grande imprenditore, amico di personalità gigantesche della Pop Art, nella sua esperienza americana, ha raccolto una collezione importante con opere che riflettono tante tendenze. Renata Rampazzi è un esempio eccellente di ciò che Bilotti amava e desiderava, ovvero portare nel suo Museo artisti che avevano già una parabola ampia, una carriera importante e che arrivavano al museo per fare un punto della loro attività. Renata Rampazzi è la rappresentante di un grande filone dell’arte del ‘900, l’informale ma è anche una donna molto impegnata sul piano politico.  La mostra è una denuncia contro la violenza alle donne e questo riflette la mentalità di Carlo Bilotti, uomo dalle idee molto aperte, un progressista, che oggi sarebbe felice di ospitare presso il suo museo un’artista come Renata Rampazzi che dà un contributo utile alla cultura. CRUOR è a casa sua nel Museo Carlo Bilotti, in modo organico e coerente con la grande cultura dell’arte americana contemporanea che Bilotti apprezzava in sommo grado, accanto al  suo bellissimo ritratto  realizzato da Larry Rivers, in uno spazio che offre continue occasioni di mostre e rilancio dell’attività artistica italiana e non solo italiana.

Quali sono stati gli amori americani di Carlo Bilotti?

Carlo Bilotti era molto legato al mondo della Pop Art, soprattutto a Andy Warhol che è stato suo amico e di cui ha tante opere. Ma la sua collezione ha tante opere dei pittori del filone informale, che Bilotti apprezzava moltissimo e ha collezionato ed è quello che Renata Rampazzi oggi prosegue. L’esperienza di Bilotti collezionista è l’esperienza molto ampia di un uomo che non aveva una sola predilezione ma cercava di assorbire le principali tendenze del suo tempo.

CRUOR come si inserisce nel percorso artistico di Renata Rampazzi?

L’arte di Renata Rampazzi è arte di essenza. La pittrice ha sempre fatto costante riferimento all’armonia e all’armoniosa composizione nella propria arte.  In questa circostanza c’è il contenuto concreto di un’arte di denuncia, il tema è la violenza sulla donna, la mostra comincia con opere che rappresentano in modo esplicito il dolore, il taglio, il sangue che sgorga ma a mano a mano si arriva alle garze eteree e sottilissime che costituiscono un ambiente raccolto che stimola il silenzio meditativo. Le lacerazioni evocano le ferite ma il dolore è sublimato da un cammino marcato nello spazio da una serie di pannelli, fatti di garze e teli che evocano una sorta di processione dei dolenti che il visitatore vive in una solenne passeggiata di aspra indignazione nello spazio installazione che conclude la mostra.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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