Antonio Canova, lo scultore del bello, il Fidia del neoclassicismo, è in mostra a Roma per ripercorrere e sottolineare l’importanza che la città eterna ha avuto nella sua vita personale e nella sua produzione artistica. Roma racconta Canova e Canova racconta Roma, attraverso opere meravigliose che esprimono e contengono la fascinazione che la città esercitò sull’artista sin dal suo arrivo nel 1779.
Canova studiò Roma inebriandosi delle sue bellezze, delle opere d’arte, visitando chiese, monumenti, musei, appassionandosi a tutto ciò che rappresentava l’arte antica, di cui l’urbe era l’espressione massima con le statue, i colossi, i templi, gli anfiteatri, le tombe, gli affreschi e i bassorilievi. Considerava Roma un museo, fonte di inesauribile ispirazione che non fu mai mera emulazione, ma creazione originale di un Antico destinato a rinascere nel Moderno, plasmando il Moderno attraverso il filtro dell’Antico. Roma lo affascinò e lui la ripagò con la moneta più preziosa, la produzione di opere d’arte che hanno fatto scuola, molte delle quali esposte nella mostra – evento allestita al Museo di Roma, il Palazzo appartenuto alla famiglia Braschi il cui esponente più autorevole fu Papa Pio VI, pontefice negli anni in cui Canova giunse a Roma.
I monumenti papali che Canova ha creato per Roma, I Monumenti funerari di Clemente XIV e Clemente XIII, il Monumento agli ultimi Stuart , custoditi nella Basilica di San Pietro e nella basilica dei Santi Apostoli, sono attrazioni ancora irresistibili, che non avvertono il trascorrere del tempo e i cui modellini in gesso sono esposti nella mostra. L’amore per la città fu espresso anche attraverso le donazioni che l’artista fece per tutelare il patrimonio artistico, nello sforzo di trattenere le opere a Roma per sottrarle alle spoliazioni francesi, come l’acquisto di due Cippi Funerari Antichi che il Principe Giustiniani fu costretto a vendere e che l’artista comprò e donò ai Musei Vaticani. Il gesto nobile e generoso di un artista “non romano” a cui però Roma era scivolata dentro. Le sue origini erano venete, nato a Possagno, vicino Treviso, orfano di padre in tenera età, fu affidato alle cure del nonno che ne intuì l’inclinazione artistica e lo incoraggiò sostenendone gli studi a Venezia con i proventi della vendita di un campo. L’arrivo a Roma nel 1779 coincise con un periodo di profondi mutamenti storici, attraversati dal Canova con la lievità di una produzione artistica che portò alla realizzazione delle sue opere più importanti nello studio-atelier in via San Giacomo, frequentatissimo dalla aristocrazia capitolina e da quella in visita nella città eterna, che considerava il suo laboratorio tappa irrinunciabile del soggiorno romano, non a caso una delle tappe romane del Grand Tour. Canova si circondava di molti collaboratori, giovani scultori che lavoravano l’opera grezza, partendo dai suoi disegni e dai suoi calchi e che arrivava a lui solo per l’ultima, geniale definizione. Molte le opere realizzate in gesso dai “ Gessini”, come venivano chiamati, sotto la supervisione di Canova che rivelano assoluta perfezione. L’architettura dello studio era strutturata in modo che il suo laboratorio fosse collocato nell’ultima stanza, dove lavorava mentre ascoltava la lettura di pagine di storia e poesie antiche e a volte riceveva gli ospiti, continuando a scolpire con martello e scalpello. Ebbe committenti illustri, amicizie importanti, incarichi prestigiosi nella gestione e salvaguardia del patrimonio culturale, ricoprendo il ruolo di ispettore generale delle Belle Arti con competenze sui Musei Vaticani e i Musei Capitolini e di presidente per la Commissione per gli Acquisti di Antichità. Principe dell’Accademia di San Luca, prestigiosa Associazione degli artisti di Roma fondata nel 1593, nominato Marchese dal Papa, Canova soffrì la spoliazione napoleonica delle opere d’arte italiane, portate in Francia, per il cui recupero si adoperò come ambasciatore inviato dal papa a Parigi. Con Canova si interrompe la consuetudine che la fama sia postuma all’artista, perché vive con pienezza le soddisfazioni legate alla sua avventura umana e artistica, vede riconosciuta la sua straordinaria competenza nella cultura e nell’arte classica che conosce e sa reinterpretare, adattandola e applicandola al gusto del suo tempo, riscuotendo gloria e onori in Italia e in Europa. “Canova, Eterna bellezza” è il titolo della mostra-evento allestita a Palazzo Braschi dal 9 ottobre al 15 marzo, dedicata al rapporto e al legame speciale che il grande artista ebbe con Roma e che oggi le istituzioni romane tutte, l’assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale, la Sovrintendenza Capitolina, Zetema Progetto Cultura e Arthemisia, in collaborazione con l’Accademia Nazionale di San Luca, propongono attraverso l’esposizione di 170 opere di Canova e di altri grandi artisti a lui contemporanei, provenienti in prestito da grandi musei, l’Hermitage di San Pietroburgo, i Musei Vaticani, i Musei Capitolini, il Musée des Augustins di Tolosa per tessere la tela di un racconto appassionante. Il percorso espositivo si articola attraverso 13 sezioni che delineano i filoni attraverso i quali si è declinato il rapporto dell’artista con Roma: 1779 Canova a Roma, La nascita del nuovo stile tragico, Canova e la Repubblica romana, Ercole e Lica, I Pugilatori, Il teorema perfetto Antico e Moderno a confronto, Canova e l’Accademia di San Luca, Canova ispettore delle Belle Arti, Canova e i busti del Pantheon, Ultime opere per Roma, Lo studio di Canova, La Danzatrice, Morte e glorificazione. Giuseppe Pavanello, massimo esperto dell’arte canoviana, è il curatore della mostra che assume carattere di evento e che travalica i confini nazionali perché frutto di una rete di scambi e di prestiti internazionali che rendono omaggio ad un artista apprezzato in vita dai regnanti di tutta Europa – era il ritrattista ufficiale di Napoleone Bonaparte e della sua famiglia – che conserva inalterata la sua fama costruita sulla centralità e sull’importanza che Roma ha esercitato nella sua vita. Il visitatore ha la possibilità di vedere gli studi effettuati sui Colossi di Monte Cavallo, evocati in mostra con due antichi calchi in gesso delle teste, di cui il Canova scrive nei suoi Quaderni di viaggio : “ Questa mattina andiedi di buon’ora a disegnare a Monte Cavallo, quando poi il sole diede nelle statue, ritornai a casa”, sulla collocazione di busti di personaggi illustri nel Pantheon, che Canova commissionò ai più importanti scultori del suo tempo, osservando disegni, bozzetti, modellini, incisioni che documentano poi grandi capolavori. Si possono ammirare due marmi canoviani straordinari nella loro diversità: la Maddalena Penitente, che ritrae Maria Maddalena accovacciata a terra, tra le mani un crocifisso, vicino ad un teschio, che esprime una raffinata ambiguità tra sacro e profano, le cui lacrime rimandano a quelle della Dafne del Bernini e l’ Amorino alato, pensato come corrispettivo moderno dell’Eros Farnese. Tra le 170 opere in mostra, il gesso di “ Amore e Psiche Stanti”, raffigurati in piedi per differenziarli dal gruppo celeberrimo ma giacente, in marmo, conservato al Museo Louvre. Canova definì questo gruppo “platonico”, diverso da “Amore e Psiche” giacenti espressione di grande sensualità, mentre i due adolescenti in piedi guardano una farfalla, capolavoro di virtuosismo artistico in cui Canova sembra sfidare il Bernini ed espressione simbolica e trasfigurata dell’anima. La mostra propone l’insolita esperienza di osservazione in semioscurità di alcune opere, come la coppia di Pugilatori, riproducendo l’atmosfera alla luce delle fiaccole con cui il Canova mostrava le proprie opere ai suoi ospiti, di notte nel suo studio. Interessante lo spazio destinato allo studio- atelier, officina e laboratorio senza eguali per l’epoca, con un carattere e una dimensione quasi contemporanea, situato in via di San Giacomo, con bozzetti in terracotta, piccoli gessi, marmi e calchi in gesso di sculture già affermate che costituivano una specie di “antologica” permanente del grande scultore. Tra le opere esposte “La Danzatrice con le mani sui fianchi”, in prestito dal Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, esercita una grande attrazione per la leggerezza e la lievità delle movenze restituite al visitatore anche grazie al piedistallo girevole su cui è poggiata, come lo stesso Canova auspicava e desiderava l’opera si ponesse quasi per prender vita autonoma. Il percorso di visita si conclude con l’esposizione di 30 fotografie di Mimmo Jodice che ritraggono i marmi di Antonio Canova, restituendone la grandezza attraverso lo sguardo di un grande fotografo d’arte. Una mostra assolutamente da visitare, per la qualità delle opere esposte, l’imponenza della sua realizzazione – molte opere hanno dimensioni fisiche notevoli – l’introduzione di pedane rotanti e specchi che spettacolarizzano una mostra già di per sé eccezionale e l’incontro innovativo con le nuove tecnologie che attraverso l’utilizzo della scansione 3D del gesso preparatorio della scultura esposta al Louvre, ha portato alla riproduzione contemporanea del blocco di Amore e Psiche giacente, realizzata da un robot che ha scolpito per 270 ore un blocco di marmo bianco di Carrara di 10 tonnellate, che accoglie i visitatori nel cortile di Palazzo Braschi. A corollario della mostra e per approfondire la conoscenza di aspetti particolari relativi alla vita e all’opera di Canova, sono previsti focus con curatori ed esperti aperti gratuitamente a tutti, per apprezzare con consapevolezza, suggestioni e sensazioni affidate a opere e sculture di fine Settecento e inizio Ottocento che viaggiano nel tempo, regalando emozioni senza tempo. Antonio Canova, ultimo artista tra gli antichi e primo dei moderni, il più celebre scultore del suo tempo, è oggi accolto e celebrato in una Roma che fa parte della sua storia, a cui è legata la sua fama e gli dedica una mostra che parla di un artista e racconta una città.