Roma Capoccia e Per le Strade di Roma non sono solo due titoli di canzoni, ma esprimono un’idea di appartenenza alla città che ciascun artista racconta a modo suo. Antonello Venditti canta che “a Roma ce so nato, t’ho scoperta stamamattina” quando sembra “che er tempo se sia fermato qui…dove vedo la maestà del Colosseo, vedo la santità der Cupolone… na carozzella va co du stranieri e un robivecchi te chiede un po’ di stracci”. Francesco De Gregori canta Roma dove “ci sono facce nuove e lingue da imparare, vino da bere subito e pane da non buttare. E musica che arriva da chissà dove e donne da guardare, posti dove nascondersi e case da occupare. Roma dove c’è un tempo per vendere e un tempo per amare e c’è uno stile di vita e un certo modo di non sembrare, quando scende la notte e il buio diventa brina…e tutto si consuma e tutto si combina, per le strade di Roma”. A Roma, dove tutto è cominciato per Venditti e De Gregori, il 18 giugno si terrà un concerto che ha il sapore dell’evento perché dopo 50 anni i due artisti si esibiranno insieme, per la prima volta allo Stadio Olimpico, tempio delle grandi emozioni romane, anche musicali. Un unico palco, un’unica band, un unico suono perché la musica è valore unificante, soprattutto quando un artista canta e suona, con l’altro, le canzoni dell’altro, quelle che hanno scritto la storia della musica italiana e continuano a esprimere sentimenti universali. “Ammazza che bello, ma tu hai scritto veramente questa cosa qui? Ma è un capolavoro!” Eccola la romanità di Venditti e De Gregori, il linguaggio genuino che racconta lo stupore del riscoprire e ragionare insieme sui reciproci testi, mentre si cantano, con una nuova consapevolezza, brani di inalterato valore simbolico che conservano la stessa potenza espressiva di quando sono stati scritti. Con Generale De Gregori incontra il nostro tempo, lo racconta oggi dopo averlo anticipato ieri, perché ci sono temi e patemi che si affezionano all’umanità e quel “Generale, dietro la collina, ci sta la notte crucca e assassina, e in mezzo al prato c’è una contadina curva al tramonto, sembra una bambina di cinquant’anni e di cinque figli, venuti al mondo come conigli, partiti al mondo come soldati e non ancora tornati” sottolinea il ripetersi di un dolore universale. Al di là dell’amico ritrovato o delle passate incomprensioni, l’unica cosa che oggi interessa è l’incontro di due artisti immensi che tornano a fare musica insieme, sommano emozioni, condividono stupori e reciproche conferme. “Francesco, coma hai trovato Antonello dopo 50 anni? Uguale”, “Antonello e tu come hai trovato Francesco? Uguale”. La loro forza è la musica, la molla che li ha spinti a suonare insieme, un’idea che aleggiava da tempo ma che si è si è fatta progetto concreto in occasione di un pranzo, durato qualche ora. Nasce Venditti & De Gregori, il concerto evento, il tour estivo, l’approdo autunnale nei teatri, un disco, il 45 giri da collezione con i classici Ricordati di me e Generale. Musica all’insegna della costruzione di un racconto comune, brani scelti dai rispettivi repertori senza una logica da “manuale Cencelli, uno mio e uno tuo”, sottolinea De Gregori, canzoni destinate a cambiare nel corso del tour, che sarà un lungo viaggio precisa Venditti, perché oltre le tappe estive all’aperto, anche un concerto all’Arena di Verona in programma il 12 luglio, proseguirà nei teatri e cambierà pelle, diventando un altro show. La band, composta da musicisti che da anni collaborano con i due artisti, racconta le due storie, la componente ritmica con basso e batteria è affidata ai musicisti di Venditti, il piano e le chitarre sono di De Gregori, ma ci sono anche hammond, sax, pedal steel e mandolino e saranno possibili nuovi innesti, perché il viaggio è appena cominciato e, come dice De Gregori “abbiamo un grande futuro davanti a noi”. Antonello e Francesco si conoscono da adolescenti, al mitico Folkstudio di Trastevere, il luogo musicale alternativo della canzone italiana, sono “fratelli allattati dalla stessa Lupa”, hanno condiviso un album di esordio, Theorius Campus, si sono allontanati e ritrovati ma la loro musica va oltre tutto questo e suonata insieme fa quello che la musica deve fare, emoziona. Venditti parla di “due storie che si sono divise subito, hanno percorso strade parallele che oggi confluiscono in maniera assolutamente naturale” in un progetto artistico che parla a generazioni diverse con canzoni senza tempo e senza età. “Siamo stati allattati dallo stesso latte”, parole poetiche con le quali Francesco De Gregori presenta Venditti, se stesso e la comune origine romana.
Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Francesco De Gregori per approfondire il tema della romanità nella musica che appartiene a entrambi, a Venditti & De Gregori.
Roma nutre tutti i suoi figli musicali allo stesso modo?
Forse non tutti nello stesso modo, ognuno prende quello che può e che vuole ma certamente Roma è per tutti gli artisti che ci sono nati o vivono lì gli anni della loro formazione una formidabile iniziazione al bello, alla vita, alla storia. L’Auditorium di Renzo Piano, nato per la musica classica, apre volentieri le porte anche alla musica popolare, e poi ci sono i club grandi e piccoli dove si fa ottima musica dal vivo, e ci sono le strade e le piazze. Non dimentichiamo che i Maneskin hanno cominciato la loro carriera suonando sul marciapiede di Via del Corso e sono arrivati a essere uno dei gruppi più affermati sul palcoscenico internazionale. Ennio Morricone e Nicola Piovani sono due grandi artisti che tutto il mondo conosce, saldamente radicati nella realtà di Roma.
Quali elementi della romanità compaiono sempre?
In un artista come il mio amico Antonello Venditti, gli elementi di romanità sono più immediatamente percepibili, lui ha anche usato splendidamente il romanesco in più di una canzone. E poi vorrei ricordare Gabriella Ferri, inarrivabile voce della canzone popolare romana.
Roma nella sua musica dove la troviamo?
Io credo di aver attinto al panorama di Roma solo in un paio di canzoni, una si chiama San Lorenzo e racconta il bombardamento degli alleati sulla città nel 1943, un’altra si intitola proprio Per Le Strade di Roma ed è una canzone un po’ amara. Anche Roma, come tutte le grandi città, vive momenti di disagio e di contraddizione.
Il progetto artistico che condivide con Antonello Venditti, riporta l’uno nella storia dell’altro, e ciascuno di voi appartiene alla storia fortemente identitaria, non solo musicale, di Roma. La vostra musica sarebbe stata la stessa senza Roma?
Onestamente nel mio caso penso di no, anche se è difficile dirlo. Ma certo se fossi nato a Il Cairo avrei scritto canzoni diverse. O forse non avrei mai scritto una canzone.
Per gli Italiani che vivono all’estero la musica di Venditti e De Gregori canta e racconta Roma nel mondo. Questa caratterizzazione è per voi motivo di orgoglio o rischia di essere limitante?
Noi siamo felici ogni volta che ci capita di esibirci al di fuori dei nostri confini. Siamo consapevoli di portare agli Italiani che vivono lontani dall’Italia, insieme alla nostra musica, un pezzo della loro casa e della nostra identità. E lo facciamo con orgoglio e ci consideriamo dei privilegiati a poterlo fare.
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Musica che racconta l’Italia “L’Italia liberata, l’Italia del valzer e l’Italia del caffè, l’Italia derubata e colpita al cuore, Viva l’Italia, l’Italia che non muore”.