Il Molise, la regione più giovane d’Italia, istituita solo nel 1963, la più piccola, quella con il minor numero di abitanti, due sole province, con tre deputati e due senatori che la rappresentano in Parlamento, ultima in molte classifiche per condizione socio-economica, si è svegliata e da Cenerentola è diventata Principessa. Regina tra le mete turistiche dell’estate italiana, ha registrato un aumento di presenze del 300% rispetto allo scorso anno, quando il New York Times la inserì tra i “52 Places to go” del 2020. Parte dall’America la riscossa del Molise? L’Italia aveva un tesoro e non lo sapeva? Un territorio di 4.438 Km2, con paesaggi naturali incontaminati, montani e marini, oasi WWF, riserve naturali, un parco fluviale, montagne dove sciare d’inverno e una costa di 36 Km per assaporare pienamente l’estate, si svela come luogo ricco di storia, culla della civiltà sannita e romana, con tanti borghi antichi, dove sopravvive l’Italia autentica che piace agli Americani. Il Molise, terra di emigrazione, fino a poco tempo fa difficile da indicare con coordinate esatte a chi la raccontava nel mondo, custodisce con fierezza un importante patrimonio storico, archeologico e antropologico, orgogliosa di tradizioni popolari che continuano, come la transumanza e di antiche arti, come la produzione delle campane di Agnone, che risuonano in tutto il mondo e dell’antico strumento della zampogna, fino alle apprezzate tradizioni enogastronomiche.
Per capire le ragioni del fenomeno sociale, con quali politiche culturali, turistiche ed economiche capitalizzare la nuova primavera del Molise, Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Enzo Di Nuoscio, molisano doc, professore di Filosofia della scienza all’Università del Molise e docente di Metodologia delle scienze sociali presso l’Università LUISS di Roma.
Professor Di Nuoscio, cos’è la filosofia della scienza e come entra nel racconto del fenomeno Molise?
La filosofia della scienza propone una riflessione sul metodo scientifico, per cercare di capire quali sono i meccanismi attraverso i quali avanza la scienza e più in generale la conoscenza umana. Indagando le procedure conoscitive, la filosofia della scienza cerca di potenziare la capacità di problem solving dei singoli e di una società nel suo complesso. Essa favorisce la costruzione di una mente critica che possa gestire le informazioni ed eviti di cadere nella trappola, sempre in agguato, di aderire a credenze false o infondate. E questo è un rischio che si corre costantemente nella web society. La riflessione sul metodo scientifico aiuta inoltre a ricostruire le ragioni degli altri, soprattutto quando sono molto lontane dalle nostre ed è per questo che può essere di aiuto per raccontare quello che sta succedendo al Molise.
Il New York Times inserisce il Molise nella classifica dei “52 Places to go” e la regione si trasforma da Cenerentola a Principessa. È una scoperta o un incantesimo?
Non è stato un incantesimo. Il Molise era uno dei posti d’Italia meno conosciuti, pressoché ignoto al turismo di massa, essendo privo di città d’arte e poco competitivo per il turismo balneare. Il suo isolamento e l’essere tagliato fuori dalle grandi vie di comunicazione ha poi fatto il resto. E’ un territorio scoperto in questo tempo di pandemia, da un turismo che ha maturato nuove forme di sensibilità e ha imparato ad apprezzare quello che la regione offre.
Il Molise che storia racconta?
Racconta soprattutto la storia delle zone interne dell’Italia. E’ una regione fatta di tanti piccoli paesi sempre più spopolati, che nei decenni passati hanno affrontato una vita dura, con una industrializzazione che ha avuto un certo peso solo a partire dagli anni Settanta. E’ la storia di uno sviluppo ritardato rispetto a molte aree del Paese. E tuttavia, nel tempo dell’economia della conoscenza, dell’innovazione tecnologica e nella società della comunicazione, anche questi territori potrebbero avere inedite opportunità di sviluppo. Occorre il capitale umano per trasformare in fattori di sviluppo la natura incontaminata, i borghi bellissimi, le risorse naturalistiche, demoetnoantropologiche, culturali e archeologiche di cui la regione è ricca. La grande sfida è quella di intercettare una nuova sensibilità, sempre più diffusa, di un turismo che rifugge dai circuiti tradizionali per concentrarsi sui borghi e sulla loro cultura.
Perché il Molise ha avuto uno sviluppo ritardato?
Il processo di industrializzazione, iniziato negli anni ’70, è stato più lento rispetto ad altre zone del Paese, per ragioni legate alla struttura produttiva della regione, ai trasporti mai completamente sviluppati, al progressivo spopolamento, a un’emigrazione che ha privato questo territorio di un notevole capitale umano, alla parcellizzazione in tanti piccoli centri in cui c’è poca densità, demografica e conoscitiva.
E’ un ritardo che può essere recuperato?
Le nuove tecnologie e il loro avanzamento veloce consentono di saltare rapidamente le tappe evolutive, ciò significa che anche regioni e aree geografiche tradizionalmente sacrificate, possono recuperare facilmente terreno, investendo su tecnologia, conoscenza e infrastrutture telematiche. E’ quello che sta lentamente succedendo in Molise e vedremo, come e se, le nuove forme di lavoro a distanza favoriranno queste zone. Nella società dell’informazione, nel mondo della competizione globale si può più rapidamente che in passato guadagnare terreno, ma si può anche perderlo. E’ una guerra di movimento che si combatte con le armi della conoscenza, della formazione, delle infrastrutture e con classi dirigenti capaci di guardare avanti, per vedere l’immenso oceano che circonda la loro piccola isola fatta di interessi di brevissimo periodo.
L’Italia ha imparato, negli ultimi anni, a valorizzare il turismo culturale, a promuovere i borghi antichi e le tradizioni di cui sono espressione. Eppure l’attenzione sul Molise è partita dall’America. Che riflessione pone questo dato?
La riscoperta del Molise è partita dall’America anche perché è stata terra di emigrazione verso gli Stati Uniti e perché oggi può offrire uno stile di vita, un senso di comunità e di appartenenza molto forte, che affascina chi vive nel caos metropolitano. Scoprendo il Molise, l’America scopre un’Italia diversa rispetto alla realtà delle grandi città d’arte, delle montagne alpine o dei rinomati luoghi di mare incorniciati dalle cartoline.
Per il New York Times il Molise è meta imperdibile non solo per i paesaggi incontaminati ma perché vi sopravvive l’Italia autentica. L’Italia cosa può raccontare, di non ancora narrato, all’estero?
Il Molise può sicuramente raccontare il paesaggio, un po’ demodée, della vita nei borghi, che non è una storia superata, non serve solo a sapere come eravamo ieri. Visitare i suoi borghi, entrare nello spirito della gente che li abita, significa conoscere un mondo particolare, dove è forte il senso di appartenenza e di comunità, tra persone e tra famiglie che si conoscono da generazioni, legate da un vincolo forte e consapevoli del loro comune destino. Questo tessuto sociale è una risorsa esistenziale che viene apprezzata da chi non la vive, da chi è stordito dal cemento e dai rumori delle città e schiacciato dall’anonimato delle metropoli. E’ una vita legata a tradizioni e vincoli, fatta di legami profondi. E’ una vita che scorre più lenta, che spinge a mettere in sospensione la fretta, a concentrarsi sulle cose veramente importanti, a essere più leggeri per salire più in alto, a porsi qualche interrogativo in più sulla vita.
La comunicazione corre sul web e la rete ha in qualche circostanza, irriso il Molise per il suo essere ultimo. Il refrain “Il Molise non esiste” è diventato virale. La riscossa di oggi è la rivincita della vita reale sulla vita virtuale?
La virtualità del web ha aiutato molto la riscossa della vita reale, perché non ci poteva essere uno slogan pubblicitario più geniale. “Il Molise non esiste”, così virale in rete, ha catalizzato l’attenzione di molti e attirato tanti turisti. La scoperta del Molise è il prodotto della tecnologia, della modernità, ma anche dell’evoluzione di un nuovo turismo di massa che dopo aver viaggiato nel mondo, ha maturato l’esigenza di aggiungere alle mete tradizionali, italiane e internazionali, una nuova categoria di luoghi, come i borghi, con la loro vita, la loro cultura, le loro tradizioni e, non ultima, la loro offerta enogastronomica.
Il turismo di prossimità è un fenomeno collegato solo al tempo di pandemia che viviamo o porterà a una nuova consapevolezza di luoghi e temi?
E’ un elemento che potrebbe diventare strutturale e non legato solo alla contingenza del nostro tempo. Incontra un nuovo stile del turista che cerca nuove esperienze. I territori come il Molise devono essere pronti ad accrescere e migliorare la loro offerta per andare incontro a questi nuovi flussi, in modo da creare un circolo virtuoso che sappia rispondere a un’esigenza che non credo sia solo momentanea.
Il Molise oggi da chi e in cosa deve essere aiutato per cogliere l’attimo?
Servono soprattutto infrastrutture, a cominciare dai trasporti e da quelle telematiche, strutture ricettive, con politiche mirate a promuovere le risorse, archeologiche e paesaggistiche, che fino a qualche anno fa sono state un tesoro nascosto. Sepino è uno degli insediamenti romani più famosi, che si è conservato bene nel tempo. Il paese di Sepino ha dato anche i natali a Vincenzo Tiberio, un grande scienziato italiano che ha scoperto la penicillina 35 anni prima di Fleming. C’è poi il Museo Paleolitico di Isernia, uno degli insediamenti archeologici più importanti a livello europeo. Tutto ciò è stato finora scarsamente valorizzato, per i ritardi della politica che non ha capito l’importanza di investire su queste risorse. Ora le cose cominciano ad andare nella giusta direzione, ma siamo solo all’inizio.
La visibilità che il Molise oggi assume contribuisce a costruire una nuova consapevolezza identitaria?
Assolutamente si e fa capire che insieme ai luoghi e alle tradizioni più note di questo Paese dai 100 volti che è l’Italia, c’è anche un altro tipo di cultura e di identità. La nuova visibilità favorisce una migliore collocazione del Molise nel panorama italiano, con tutte le sue peculiarità. Le campagne mediatiche per il Molise, in buona parte non pianificate a tavolino, sono state molto efficaci e hanno contribuito a far conoscere una identità che viaggia bene, non solo in Italia.
Gli operatori culturali e i luoghi di cultura come possono capitalizzare questo interesse?
Le istituzioni possono fare molto, i comuni stanno già facendo quello che è nelle loro possibilità. Finora è forse mancato un progetto complessivo sulla cultura, identità e sviluppo turistico del Molise. L’Università del Molise ha avuto un ruolo importante, è la principale istituzione culturale della Regione che, attraverso la ricerca e la didattica, ha dato un contributo alla conoscenza di questo territorio, offrendo sempre una generosa collaborazione con le istituzioni politiche e un prezioso contributo per lo sviluppo del Molise.
L’interesse per il Molise oggi rappresenta un fenomeno sociale o una moda estemporanea?
Le mode sono fenomeni superficiali che durano poco, non si radicano nelle pratiche sociali, né nei modi di fare delle persone. Se la riscoperta del Molise non è una moda ma un fenomeno sociale più profondo, legato a un bisogno dei turisti di aggiungere esperienze diverse alla propria vita, lo vedremo con il tempo. Io sono ottimista. Penso ci sia il bisogno di sentirsi parte di una comunità. Cesare Pavese ha scritto che “Un paese, vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo e anche quando non ci sei, resta ad aspettarti”. Credo che anche questo bisogno antropologico dell’uomo contemporaneo abbia spinto a cercare il Molise, i suoi borghi, le sue persone e a far entrare nella propria vita una nuova ricchezza esistenziale.
Cosa racconta il Molise ai Molisani che vivono altrove?
La storia del Molise è una grande e dolorosa storia di emigrazione, quasi in ogni parte del mondo. Se questa regione ha potuto produrre tante intelligenze, se si è potuta elevare di un livello di istruzione che nel secondo dopoguerra sfiorava un diffuso analfabetismo, lo deve anche ai sacrifici e alla dura fatica di quelle generazioni che presero la via dell’emigrazione per dare un futuro migliore ai propri figli e alla propria terra. E’ soprattutto per questo motivo che il Molise ha un forte legame con gli emigrati che a loro volta conservano nel tempo un rapporto intenso con la terra di origine. Oggi è impossibile pensare all’identità di questa regione senza riconoscere come parte fondamentale della sua storia, il ruolo che ha avuto l’emigrazione e il legame ancestrale che ancora oggi lega questa terra ai Molisani emigrati in tutto il mondo.
La Cenerentola che diventa Principessa cosa può significare, simbolicamente e metaforicamente, per un Paese come l’Italia che un po’ Cenerentola forse lo è sempre stata?
Può significare che alcuni elementi considerati penalizzanti, possono oggi trasformarsi in risorse, che i vincoli possono diventare possibilità. Basta crederci e investire in quella che oggi è la vera ricchezza delle nazioni, la conoscenza. E’ questa la speranza per la nuova primavera del nostro Molise.